Il lavoro è un saggio di commento critico all’ordinanza 21 luglio 2010 della Corte costituzionale, relativa all’art.6 l. n.140/2003, ossia ai limiti posti alle intercettazioni ai membri del Parlamento in attuazione del disposto dell’art.68 Cost., novellato dalla l. n.3/1993. Nello studio, si ripercorre la giurisprudenza costituzionale relativa alla delimitazione degli ambiti di operatività degli artt.4 e 6 l. n.140/2003, che prevedono l’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare da sottoporre a captazione, l’uno preventiva e l’altro successiva all’intercettazione. In particolare, si ricostruisce il percorso esegetico che ha condotto a delineare, come criterio discretivo tra le due ipotesi, l’oggettiva direzione dell’atto di indagine, verso il parlamentare o verso il quivis de populo, considerando la prima ipotesi come caso di intercettazione “mirata” (e quindi legittima solo previa autorizzazione parlamentare) e la seconda casuale (quindi spendibile previa autorizzazione ex post). Si sottopone quindi a critica questa ricostruzione esegetica per la difficoltà di darvi attuazione pratica senza sconfinare nell’intollerabile concessione di aree di ingiustificato privilegio per i membri del Parlamento. Si delineano, altresì, ulteriori profili di tensione del dettato normativo con il dettato costituzionale.

Sulle intercettazioni a carico dei parlamentari, si consolida una linea esegetica densa di incognite.

CESARI, Claudia
2010-01-01

Abstract

Il lavoro è un saggio di commento critico all’ordinanza 21 luglio 2010 della Corte costituzionale, relativa all’art.6 l. n.140/2003, ossia ai limiti posti alle intercettazioni ai membri del Parlamento in attuazione del disposto dell’art.68 Cost., novellato dalla l. n.3/1993. Nello studio, si ripercorre la giurisprudenza costituzionale relativa alla delimitazione degli ambiti di operatività degli artt.4 e 6 l. n.140/2003, che prevedono l’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare da sottoporre a captazione, l’uno preventiva e l’altro successiva all’intercettazione. In particolare, si ricostruisce il percorso esegetico che ha condotto a delineare, come criterio discretivo tra le due ipotesi, l’oggettiva direzione dell’atto di indagine, verso il parlamentare o verso il quivis de populo, considerando la prima ipotesi come caso di intercettazione “mirata” (e quindi legittima solo previa autorizzazione parlamentare) e la seconda casuale (quindi spendibile previa autorizzazione ex post). Si sottopone quindi a critica questa ricostruzione esegetica per la difficoltà di darvi attuazione pratica senza sconfinare nell’intollerabile concessione di aree di ingiustificato privilegio per i membri del Parlamento. Si delineano, altresì, ulteriori profili di tensione del dettato normativo con il dettato costituzionale.
2010
Giuffrè
Nazionale
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