Una ricca selezione di immagini e topoi con implicazioni simboliche o allegoriche risulta da tempo indagata entro il corpus poetico anglosassone. Una recente nuova edizione, corredata da approfondita analisi, del testo del 'Seafarer' da parte dell’Autrice ha dimostrato che temi come il viaggio per mare, la nave e il freddo invernale erano ampiamente diffusi e accettati dagli scopas in un senso metaforico, principalmente come simboli cristiani rispettivamente della vita dell’uomo, della Chiesa (o della fede cristiana, o dell’anima) e del peccato. L’etica o gli ideali germanici possono naturalmente rimanere sullo sfondo, e in effetti si dimostrano talvolta decisivi nel dotare la poesia di quella forza realistica e di quella vitalità così peculiari alla tradizione inglese antica. Ma gran parte della produzione poetica anglosassone – annotata su manoscritto in epoca stabilmente cristiana ed in ambiente monastico – mostra chiaramente di derivare da fonti cristiane, in ultima analisi dalla letteratura patristica in latino. Le opere dei Padri, a loro volta, filtrano non solo le Scritture, bensì anche i modelli retorici e i temi poetici della tradizione classica; sicché, alla fine, tutte queste tracce si rinvengono nitide e chiare anche sul suolo anglosassone. Lo scopo di questo articolo risulta nell’indagare su quanto alcune di tali immagini – in particolare il freddo invernale e la nave in viaggio sul mare – funzionino come simboli anche nella tradizione medievale scandinava, vale a dire nella letteratura islandese antica e sulle pietre runiche dell’età vichinga; al fine di stabilire, infine, fino a che punto sia possibile parlare di un sentire comune rispetto ad una serie di ideali tradizionali e cristiani condivisi dai poeti a dagli artisti in tutto l’ambiente germanico. L’Autrice esamina dapprima le immagini del ghiaccio e del freddo entro la poesia inglese antica e norrena, fino alla tradizione del Rinascimento svedese nella 'Historia de gentibus septentrionalibus' di Olao Magno e attingendo a fini comparativi indietro nel tempo fino al repertorio poetico latino presumibilmente noto ai litterati nell’Inghilterra e nell’Islanda medievali (§ 2). Idee ed espressioni ricorrenti risultano comuni agli autori latini e germanici, ad esempio in relazione al freddo invernale che lega o blocca il terreno, al ghiaccio che costruisce ‘ponti’ (ovvero consente di camminare dove di solito scorrono le acque dei fiumi o i flutti del mare). Nel trattamento e nella costruzione linguistica di tali immagini nelle due tradizioni si rintraccia una grande vicinanza, così che legami di freddo e ponti di ghiaccio, ma anche alcuni altri indizi di freddo estremo, come i capelli e la barba irrigiditi in ghiaccioli, si incontrano frequentemente nelle descrizioni naturali della Scythia (da parte degli autori latini) e dell’Europa del Nord (da parte degli autori scandinavi e anglosassoni), divenendo allo stesso tempo segnali di profondo disagio psicologico e di stato miserevole dell’animo. Sebbene tale questione sia stata occasionalmente indagata per la poesia anglosassone, l’Autrice dimostra che esiste un atteggiamento del tutto parallelo fra i poeti anglosassoni e norreni verso le immagini metaforiche del freddo, dove si sviluppa un senso di ostilità, perdita e morte che spiega facilmente il successo del nuovo repertorio di simboli cristiani del freddo derivato dalla tradizione patristica. La ricezione scandinava della ricca tradizione simbolica cristiana sulla nave e la navigazione per mare costituisce il secondo punto di questo saggio (§ 3). In primo luogo (§ 3.1), la nave compare sulle incisioni rupestri fin dall’età del bronzo, risulta connessa alle incisioni e ai riti funerari dell’età vichinga, ed è spesso disegnata sul terreno in allineamenti di ‘bautastenar’ (sved. skipsättningar, dan. skibssætninger) nei cimiteri pagani della Scanidinavia. La si rintraccia inoltre comunemente sulle pietre pittoriche del Gotland (cfr. FIG. 2), e occasionalmente anche sulle steli runiche dell’età vichinga, monumenti funerari epigrafici di impostazione standard – ma anche di varia realizzazione artistica –, prodotti a centinaia in Svezia, Norvegia e Danimarca fra il IX e l’XI secolo, sui quali essa ricorre con o senza legame diretto con il contenuto delle iscrizioni (cfr. FIGG. 3-4). Fra le pietre runiche selezionate, alcune risultano particolarmente rilevanti in termini allegorici cristiani. In particolare si tratta di monumenti svedesi, sui quali la forma della nave appare sormontata da una grande croce ornamentale (FIGG. 5-9). Essi costituiscono un gruppo tipologicamente omogeneo, in cui il disegno compositivo – privo di ogni indizio realistico di vela e albero maestro dietro la grande croce decorata – punta certamente ad un significato simbolico. L’Autrice seleziona numerosi passi della letteratura patristica in cui questa metaforica nave ‘crociata’ simboleggia la Chiesa, che garantisce ai fedeli un sicuro transito sul mare di questo mondo verso l’eterna beatitudine. Più specificamente, questa nave può essere considerata Cristo stesso crocifisso, e la facile vicinanza visuale dell’albero incrociato dal pennone con la croce stessa (crux dissimulata) aiuta i Padri – così come gli autori e gli artisti cristiani dall’età romana fino al medioevo germanico e all’arte runica vichinga – a elaborare quest’immagine come una delle più potenti allegorie della dottrina cristiana. Alla fine, i maestri runici svedesi dovettero volgersi alla nave guidata dalla croce come un’allusione ‘naturale’, appropriata in un contesto funerario commemorativo, sia all’ultimo viaggio 'post mortem' della tradizione germanica sia alla Chiesa che conduce i cristiani all’eterna salvezza. Nella Svezia del secolo XI, questa allusione doveva essere tanto diretta da produrre effetto sugli agricoltori neo-convertiti dei più remoti distretti nelle regioni centro-meridionali, così come tanto ricca di implicazioni dottrinali da parlare appropriatamente agli ecclesiastici e ai laici cristiani nelle pievi più stabilmente radicate della stessa area, in particolare nel Södermanland e nel Götaland. L’esame delle allegorie navali nella tradizione nordica antica riguarda infine (§ 3.2) la letteratura omiletica, entro la quale si rintracciano alcuni interessanti esempi di testi simbolici in forma di catalogo, che sono stati sinora pressoché ignorati dagli studiosi. Anche nel corpus poetico islandese antico si incontrano occasionalmente casi di trattamento allegorico della nave (ad esempio nel 'Hôfuðlausn' di Egill Skalla-Grímsson o nel 'Sólarljóð'), e in questa sede vengono inoltre discussi alcuni passi della letteratura della saga (ad esempio dalle ultime sezioni della 'Njála' e della 'Laxdœla'), nei quali si deve presupporre un senso metaforico – tradizionale o cristiano – della nave per comprendere adeguatamente il messaggio dell’autore. Dunque, la ‘imagery’ della nave deve essere considerata come profondamente radicata nella cultura islandese antica, e non sorprende che essa risulti ampiamente frequentata anche entro la produzione omiletica. Nel secondo libro del cosiddetto ‘Manoscritto del Fisiologo’ (AM 673 a II, 4°), che è uno dei manoscritti più antichi d’Islanda, si trova un frammento omiletico con due diverse allegorie navali. Esso è presevato sui ff. 8r-9r (cfr. FIGG. 11-13), che risultano gravemente danneggiati a causa dello stato deteriorato della pergamena. Ciò, insieme alla opportunità di correggere alcune letture nelle ormai remote edizioni precedenti (il testo è stato pubblicato per la prima volta da E. Kölbing nel 1879 e poi più accuratamente da L. Larsson nel 1891), ha condotto l’Autrice a presentare in Appendice una nuova edizione semi-diplomatica del frammento omiletico corredata di note testuali. Entrambe le allegorie navali si presentano come cataloghi nautici, dove parti della nave vengono paragonate a elementi dottrinli o temi generali cristiani (ad esempio l’intera nave al mondo, la chiglia alla vera fede, le assi al battesimo etc., nella prima allegoria) o al canone liturgico e monastico (ad esempio la nave alla messa, i remi alle Ore, la chiglia al Te Deum etc., nella seconda allegoria). Poi, entrambe procedono ad una esposizione più generale, espandendo la sintassi e facendo uso di strumenti retorici al fine di istruire e convincere il pubblico. Testi catalogici di questo tipo sono noti alla esegesi cristiana e in questo saggio appaiono selezionati numerosi passi tratti dalla letteratura patristica latina. Nessuno di essi può essere identificato come la fonte unica e diretta del nostro omileta islandese, ma tale tradizione costituisce certamente il suo background di riferimento. Inoltre, è stato possibile selezionare alcune fonti scritturali e alcune connessioni esegetiche mai segnalate prima: il lungo passo sulla lingua nella prima allegoria è particolarmente degno di nota in questo senso, anche perché esso dimostra come il predicatore combini con successo la dottrina cristiana con il tradizionale modo di pensare islandese. In conclusione, sebbene ovviamente l’omileta islandese del ‘Manoscritto del Fisiologo’ faccia riferimento per le sue allegorie navali ad un repertorio letterario molto diffuso, egli mostra occasionalmente un certa originalità nella scelta e combinazione degli elementi allegorici, nell’attenzione alla loro disposizione formale e nella inserzione di dettagli realistici che puntano molto più alla vita quotidiana che non alle fonti esegetiche, come ad esempio i ribattini dei chiodi, che tengono insieme le assi della nave secondo la tecnica avanzata delle costruzioni navali vichinghe.
En kjolrinn jarteinir tru retta. Incidenza di tropi classici e cristiani sulle tradizioni anglosassone e scandinava
CUCINA, Carla
2010-01-01
Abstract
Una ricca selezione di immagini e topoi con implicazioni simboliche o allegoriche risulta da tempo indagata entro il corpus poetico anglosassone. Una recente nuova edizione, corredata da approfondita analisi, del testo del 'Seafarer' da parte dell’Autrice ha dimostrato che temi come il viaggio per mare, la nave e il freddo invernale erano ampiamente diffusi e accettati dagli scopas in un senso metaforico, principalmente come simboli cristiani rispettivamente della vita dell’uomo, della Chiesa (o della fede cristiana, o dell’anima) e del peccato. L’etica o gli ideali germanici possono naturalmente rimanere sullo sfondo, e in effetti si dimostrano talvolta decisivi nel dotare la poesia di quella forza realistica e di quella vitalità così peculiari alla tradizione inglese antica. Ma gran parte della produzione poetica anglosassone – annotata su manoscritto in epoca stabilmente cristiana ed in ambiente monastico – mostra chiaramente di derivare da fonti cristiane, in ultima analisi dalla letteratura patristica in latino. Le opere dei Padri, a loro volta, filtrano non solo le Scritture, bensì anche i modelli retorici e i temi poetici della tradizione classica; sicché, alla fine, tutte queste tracce si rinvengono nitide e chiare anche sul suolo anglosassone. Lo scopo di questo articolo risulta nell’indagare su quanto alcune di tali immagini – in particolare il freddo invernale e la nave in viaggio sul mare – funzionino come simboli anche nella tradizione medievale scandinava, vale a dire nella letteratura islandese antica e sulle pietre runiche dell’età vichinga; al fine di stabilire, infine, fino a che punto sia possibile parlare di un sentire comune rispetto ad una serie di ideali tradizionali e cristiani condivisi dai poeti a dagli artisti in tutto l’ambiente germanico. L’Autrice esamina dapprima le immagini del ghiaccio e del freddo entro la poesia inglese antica e norrena, fino alla tradizione del Rinascimento svedese nella 'Historia de gentibus septentrionalibus' di Olao Magno e attingendo a fini comparativi indietro nel tempo fino al repertorio poetico latino presumibilmente noto ai litterati nell’Inghilterra e nell’Islanda medievali (§ 2). Idee ed espressioni ricorrenti risultano comuni agli autori latini e germanici, ad esempio in relazione al freddo invernale che lega o blocca il terreno, al ghiaccio che costruisce ‘ponti’ (ovvero consente di camminare dove di solito scorrono le acque dei fiumi o i flutti del mare). Nel trattamento e nella costruzione linguistica di tali immagini nelle due tradizioni si rintraccia una grande vicinanza, così che legami di freddo e ponti di ghiaccio, ma anche alcuni altri indizi di freddo estremo, come i capelli e la barba irrigiditi in ghiaccioli, si incontrano frequentemente nelle descrizioni naturali della Scythia (da parte degli autori latini) e dell’Europa del Nord (da parte degli autori scandinavi e anglosassoni), divenendo allo stesso tempo segnali di profondo disagio psicologico e di stato miserevole dell’animo. Sebbene tale questione sia stata occasionalmente indagata per la poesia anglosassone, l’Autrice dimostra che esiste un atteggiamento del tutto parallelo fra i poeti anglosassoni e norreni verso le immagini metaforiche del freddo, dove si sviluppa un senso di ostilità, perdita e morte che spiega facilmente il successo del nuovo repertorio di simboli cristiani del freddo derivato dalla tradizione patristica. La ricezione scandinava della ricca tradizione simbolica cristiana sulla nave e la navigazione per mare costituisce il secondo punto di questo saggio (§ 3). In primo luogo (§ 3.1), la nave compare sulle incisioni rupestri fin dall’età del bronzo, risulta connessa alle incisioni e ai riti funerari dell’età vichinga, ed è spesso disegnata sul terreno in allineamenti di ‘bautastenar’ (sved. skipsättningar, dan. skibssætninger) nei cimiteri pagani della Scanidinavia. La si rintraccia inoltre comunemente sulle pietre pittoriche del Gotland (cfr. FIG. 2), e occasionalmente anche sulle steli runiche dell’età vichinga, monumenti funerari epigrafici di impostazione standard – ma anche di varia realizzazione artistica –, prodotti a centinaia in Svezia, Norvegia e Danimarca fra il IX e l’XI secolo, sui quali essa ricorre con o senza legame diretto con il contenuto delle iscrizioni (cfr. FIGG. 3-4). Fra le pietre runiche selezionate, alcune risultano particolarmente rilevanti in termini allegorici cristiani. In particolare si tratta di monumenti svedesi, sui quali la forma della nave appare sormontata da una grande croce ornamentale (FIGG. 5-9). Essi costituiscono un gruppo tipologicamente omogeneo, in cui il disegno compositivo – privo di ogni indizio realistico di vela e albero maestro dietro la grande croce decorata – punta certamente ad un significato simbolico. L’Autrice seleziona numerosi passi della letteratura patristica in cui questa metaforica nave ‘crociata’ simboleggia la Chiesa, che garantisce ai fedeli un sicuro transito sul mare di questo mondo verso l’eterna beatitudine. Più specificamente, questa nave può essere considerata Cristo stesso crocifisso, e la facile vicinanza visuale dell’albero incrociato dal pennone con la croce stessa (crux dissimulata) aiuta i Padri – così come gli autori e gli artisti cristiani dall’età romana fino al medioevo germanico e all’arte runica vichinga – a elaborare quest’immagine come una delle più potenti allegorie della dottrina cristiana. Alla fine, i maestri runici svedesi dovettero volgersi alla nave guidata dalla croce come un’allusione ‘naturale’, appropriata in un contesto funerario commemorativo, sia all’ultimo viaggio 'post mortem' della tradizione germanica sia alla Chiesa che conduce i cristiani all’eterna salvezza. Nella Svezia del secolo XI, questa allusione doveva essere tanto diretta da produrre effetto sugli agricoltori neo-convertiti dei più remoti distretti nelle regioni centro-meridionali, così come tanto ricca di implicazioni dottrinali da parlare appropriatamente agli ecclesiastici e ai laici cristiani nelle pievi più stabilmente radicate della stessa area, in particolare nel Södermanland e nel Götaland. L’esame delle allegorie navali nella tradizione nordica antica riguarda infine (§ 3.2) la letteratura omiletica, entro la quale si rintracciano alcuni interessanti esempi di testi simbolici in forma di catalogo, che sono stati sinora pressoché ignorati dagli studiosi. Anche nel corpus poetico islandese antico si incontrano occasionalmente casi di trattamento allegorico della nave (ad esempio nel 'Hôfuðlausn' di Egill Skalla-Grímsson o nel 'Sólarljóð'), e in questa sede vengono inoltre discussi alcuni passi della letteratura della saga (ad esempio dalle ultime sezioni della 'Njála' e della 'Laxdœla'), nei quali si deve presupporre un senso metaforico – tradizionale o cristiano – della nave per comprendere adeguatamente il messaggio dell’autore. Dunque, la ‘imagery’ della nave deve essere considerata come profondamente radicata nella cultura islandese antica, e non sorprende che essa risulti ampiamente frequentata anche entro la produzione omiletica. Nel secondo libro del cosiddetto ‘Manoscritto del Fisiologo’ (AM 673 a II, 4°), che è uno dei manoscritti più antichi d’Islanda, si trova un frammento omiletico con due diverse allegorie navali. Esso è presevato sui ff. 8r-9r (cfr. FIGG. 11-13), che risultano gravemente danneggiati a causa dello stato deteriorato della pergamena. Ciò, insieme alla opportunità di correggere alcune letture nelle ormai remote edizioni precedenti (il testo è stato pubblicato per la prima volta da E. Kölbing nel 1879 e poi più accuratamente da L. Larsson nel 1891), ha condotto l’Autrice a presentare in Appendice una nuova edizione semi-diplomatica del frammento omiletico corredata di note testuali. Entrambe le allegorie navali si presentano come cataloghi nautici, dove parti della nave vengono paragonate a elementi dottrinli o temi generali cristiani (ad esempio l’intera nave al mondo, la chiglia alla vera fede, le assi al battesimo etc., nella prima allegoria) o al canone liturgico e monastico (ad esempio la nave alla messa, i remi alle Ore, la chiglia al Te Deum etc., nella seconda allegoria). Poi, entrambe procedono ad una esposizione più generale, espandendo la sintassi e facendo uso di strumenti retorici al fine di istruire e convincere il pubblico. Testi catalogici di questo tipo sono noti alla esegesi cristiana e in questo saggio appaiono selezionati numerosi passi tratti dalla letteratura patristica latina. Nessuno di essi può essere identificato come la fonte unica e diretta del nostro omileta islandese, ma tale tradizione costituisce certamente il suo background di riferimento. Inoltre, è stato possibile selezionare alcune fonti scritturali e alcune connessioni esegetiche mai segnalate prima: il lungo passo sulla lingua nella prima allegoria è particolarmente degno di nota in questo senso, anche perché esso dimostra come il predicatore combini con successo la dottrina cristiana con il tradizionale modo di pensare islandese. In conclusione, sebbene ovviamente l’omileta islandese del ‘Manoscritto del Fisiologo’ faccia riferimento per le sue allegorie navali ad un repertorio letterario molto diffuso, egli mostra occasionalmente un certa originalità nella scelta e combinazione degli elementi allegorici, nell’attenzione alla loro disposizione formale e nella inserzione di dettagli realistici che puntano molto più alla vita quotidiana che non alle fonti esegetiche, come ad esempio i ribattini dei chiodi, che tengono insieme le assi della nave secondo la tecnica avanzata delle costruzioni navali vichinghe.File | Dimensione | Formato | |
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