Questo saggio cerca di rispondere ad una domanda apparentemente bizzarra: perché Platone parla di anamnesi proprio nel Menone? In effetti questa trattazione costituisce un inciso (80 D - 86 C) che non inerisce alla tematica in esame, la natura della virtù e la sua insegnabilità. Apparentemente Platone pre-senta una tesi di questa importanza senza alcuna ragione specifica, ponendo il lettore di fronte a due possibilità contrapposte: a) se è vero quanto affermato nell’esempio anamnestico, la scienza esclude in-segnamento e maestri; b) se è vero quanto sostenuto nella parte finale del dialogo, se non ci sono maestri e insegnamento non si dà scienza. La risposta viene cercata intrecciando passi del Menone e del Gorgia. Nel Menone prima si sostiene che la virtù o è scienza o non lo è, e solo nel primo caso può essere in-segnata (87 C ss.). Il gioco successivo di Platone si basa su una continua oscillazione tra due estremi: da una parte si sottolinea il nesso tra fronesis e virtù tanto che a volte sembra che ci sia una sorta di identità, dall’altra si fornisce una serie di segnali, che l’articolo analizza in modo approfondito, per rimarcare che non è così. La fronesis sempre meno appare identica alla virtù mentre si chiarisce sempre meglio la sua funzione di guida, confermata stabilendo anche una sorta di processualità: la fronesis agisce sull’anima e questa sulle scelte della vita umana (88 D - 89 A). Questa tesi non viene affatto smentita, perché l’argomento successivo dimostra solo che di fatto nessuno possiede la virtù con scienza, il che non pro-va che nessuno possa averla; anzi il testo esplicitamente presenta l’ipotesi che ci sia un uomo capace di avere tale scienza (100 A). Inoltre la lunga riflessione sulla retta opinione (97 A - 99 A) mostra che sul piano pratico questa non è meno utile della scienza. Analogamente nel Gorgia Platone in molti modi, elencati nell’articolo, afferma che la vita buona e felice dipende dall’ordine e richiede la guida del pensiero e della conoscenza con una sottolineatura del-la dimensione matematica. Questo evidentemente manca agli attuali virtuosi: essi hanno il senso della misura, ma non la teoria che la fonda. Quanto all’insegnabilità della virtù, da una parte Socrate afferma ben due volte che non è possibile (Menone, 94 B 7-8, E 2), dall’altra si ipotizza che ci sia un uomo, diverso dai suoi simili, capace di ren-dere politici anche gli altri (Menone, 100 A). E noi sappiamo che Socrate è questo uomo (Gorgia, 521 D). L’articolo mostra anche, su base testuale, che per le tecniche un insegnamento si dà (90 B-E) e che il maestro opera anche per la virtù. Infatti nei due passi di Teognide si fa intendere che la virtù si apprende per comunanza di vita, mentre si esclude che si possa infondere nell’uomo il senno, quasi fosse una no-zione tecnica. Dunque, se per insegnamento si intende un indottrinamento, né filosofia né virtù si inse-gnano, a differenza delle tecniche; invece nel procedimento dialogico c’è un insegnamento che consen-te, nella comunanza di vita e di ricerca, di scoprire le cause superiori: la virtù può essere scoperta con l’apporto decisivo di quel tipo particolarissimo di insegnamento, fatto di ricerca comune, che rimanda a conoscenze superiori, che – dice il testo platonico - solo la reminiscenza rende possibile. Per questo Platone tratta della reminiscenza proprio in questo dialogo.

Socrate e Gorgia di fronte all’insegnamento della virtù

MIGLIORI, Maurizio
2007-01-01

Abstract

Questo saggio cerca di rispondere ad una domanda apparentemente bizzarra: perché Platone parla di anamnesi proprio nel Menone? In effetti questa trattazione costituisce un inciso (80 D - 86 C) che non inerisce alla tematica in esame, la natura della virtù e la sua insegnabilità. Apparentemente Platone pre-senta una tesi di questa importanza senza alcuna ragione specifica, ponendo il lettore di fronte a due possibilità contrapposte: a) se è vero quanto affermato nell’esempio anamnestico, la scienza esclude in-segnamento e maestri; b) se è vero quanto sostenuto nella parte finale del dialogo, se non ci sono maestri e insegnamento non si dà scienza. La risposta viene cercata intrecciando passi del Menone e del Gorgia. Nel Menone prima si sostiene che la virtù o è scienza o non lo è, e solo nel primo caso può essere in-segnata (87 C ss.). Il gioco successivo di Platone si basa su una continua oscillazione tra due estremi: da una parte si sottolinea il nesso tra fronesis e virtù tanto che a volte sembra che ci sia una sorta di identità, dall’altra si fornisce una serie di segnali, che l’articolo analizza in modo approfondito, per rimarcare che non è così. La fronesis sempre meno appare identica alla virtù mentre si chiarisce sempre meglio la sua funzione di guida, confermata stabilendo anche una sorta di processualità: la fronesis agisce sull’anima e questa sulle scelte della vita umana (88 D - 89 A). Questa tesi non viene affatto smentita, perché l’argomento successivo dimostra solo che di fatto nessuno possiede la virtù con scienza, il che non pro-va che nessuno possa averla; anzi il testo esplicitamente presenta l’ipotesi che ci sia un uomo capace di avere tale scienza (100 A). Inoltre la lunga riflessione sulla retta opinione (97 A - 99 A) mostra che sul piano pratico questa non è meno utile della scienza. Analogamente nel Gorgia Platone in molti modi, elencati nell’articolo, afferma che la vita buona e felice dipende dall’ordine e richiede la guida del pensiero e della conoscenza con una sottolineatura del-la dimensione matematica. Questo evidentemente manca agli attuali virtuosi: essi hanno il senso della misura, ma non la teoria che la fonda. Quanto all’insegnabilità della virtù, da una parte Socrate afferma ben due volte che non è possibile (Menone, 94 B 7-8, E 2), dall’altra si ipotizza che ci sia un uomo, diverso dai suoi simili, capace di ren-dere politici anche gli altri (Menone, 100 A). E noi sappiamo che Socrate è questo uomo (Gorgia, 521 D). L’articolo mostra anche, su base testuale, che per le tecniche un insegnamento si dà (90 B-E) e che il maestro opera anche per la virtù. Infatti nei due passi di Teognide si fa intendere che la virtù si apprende per comunanza di vita, mentre si esclude che si possa infondere nell’uomo il senno, quasi fosse una no-zione tecnica. Dunque, se per insegnamento si intende un indottrinamento, né filosofia né virtù si inse-gnano, a differenza delle tecniche; invece nel procedimento dialogico c’è un insegnamento che consen-te, nella comunanza di vita e di ricerca, di scoprire le cause superiori: la virtù può essere scoperta con l’apporto decisivo di quel tipo particolarissimo di insegnamento, fatto di ricerca comune, che rimanda a conoscenze superiori, che – dice il testo platonico - solo la reminiscenza rende possibile. Per questo Platone tratta della reminiscenza proprio in questo dialogo.
2007
9783896653574
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/44646
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