La storia del sistema calzaturiero marchigiano viene ripercorsa nell’intento di mettere in rilievo gli assetti organizzativi, sociali e istituzionali nell’epoca della manifattura; nel periodo della parziale transizione al sistema di fabbrica (1924-1945) e in quello della crescita del distretto industriale (1946-70). Per il periodo della manifattura, l’analisi delle cause discusse davanti al Giudice conciliatore di due cittadine calzaturiere (Monte San Giusto: 1909-1930; Sant’Elpidio a Mare: 1899-1904;1910-12) ha consentito di fornire evidenze sui nessi fra le diverse cittadine calzaturiere dell’area (liti riguardanti il lavoro inviato, l’acquisto di materiali o partite di calzature) e sulla funzione di coordinamento svolta dai maggiori manifattori, soprattutto da coloro che alla produzione univano il commercio di pellami e articoli per calzature. Il numero di liti (da attori o convenuti) e l’oggetto del contendere li individua come i nodi della rete produttiva (liti con i calzolai, che rappresentano all’occorrenza mogli e figli orlatrici e che hanno contenziosi con gli apprendisti), commerciale (cause con commercianti di calzature di molte città italiane e con i venditori ambulanti) e creditizia (piccoli prestiti e anticipo di somme a calzolai; credito di fornitura a minori capi di bottega). Come attestano altre fonti, i manifattori, che sempre più spesso figurano come consiglieri e sindaci nelle amministrazioni municipali, sono anche i nodi della rete associativa: circoli anticlericali, filodrammatici o di divertimento e, soprattutto, società di mutuo soccorso. Le norme che regolano i rapporti tra calzolai e manifattori, in assenza di un contratto, basate sugli “usi del mestiere”, cui si attiene anche il Giudice conciliatore, non sono in grado di porre rimedio ai mali cronici della manifattura( certezza nei tempi di consegna, danneggiamento o sottrazione di materiali etc.). Nel primo decennio del ‘900, quando si costituiscono le leghe di miglioramento, che ottengono un aumento delle retribuzione, concordano la tariffa cittadina dei cottimi e stabiliscono la prassi della contrattazione, i principali ‘usi del mestiere’, in particolare l’ingaggio, cadono in disuso. Tra le due guerre molto cambia; dal 1923-24 si diffondono l’uso di macchinario e il sistema di fabbrica, che non soppiantano i laboratori e il lavoro a domicilio, mentre cominciano a sorgere aziende che producono parti o accessori oppure svolgono fasi, in un primo abbozzo della nuova divisione del lavoro, tipica del distretto industriale postbellico. La fabbrica elimina ovviamente gran parte dei motivi di contenzioso –e i rapporti con le famiglie dei calzolai - tipici della manifattura: non vi sono più liti fra calzolai-capifamiglia e manifattori né tra calzolai e apprendisti ma neanche scioperi e associazioni sindacali se non quella fascista; i salari e le condizioni di lavoro sono stabiliti dai ‘contratti provinciali’ - quanto rispettati non è dato sapere così come non si hanno informazioni sull’iscrizione degli operai al sindacato, che è invece imposta agli imprenditori, spesso recalcitranti. La centralizzazione statalista, che porta allo svuotamento di associazioni, rappresentanze e organismi territoriali fu, in buona parte, una costruzione effimera; tanto per fare un esempio, dopo la seconda guerra mondiale e fino al 1969, gli imprenditori calzaturieri marchigiani non aderirono all’Associazione nazionale dei calzaturifici italiani. Lascito duraturo è invece la nuova struttura del sistema bancario locale, derivante dalla razionalizzazione del 1927-37, che nell’immediato suscitò proteste degli imprenditori ma che rafforzò gli istituti locali di credito, peraltro sollecitati a introdurre nuovi criteri ( giro d’affari, puntualità nella restituzione) nell’erogazione di sovvenzioni alle imprese, fino ad allora basate unicamente su garanzie reali. Dopo la seconda guerra mondiale, le rinnovate amministrazioni comunali si impegnano in una incisiva politica di opere pubbliche e vengono varati interventi volti a migliorare l’industria: la Scuola di calzaturificio di sant’Elpidio a Mare (1954) e la decade della calzatura (1950). La proliferazione di aziende e laboratori, già chiara all’inizio degli anni ’50, è poi sostenuta dalla valanga di leggi che incentivano le piccole imprese, agricole, industriali e artigianali, di cui la più importante è quella sulle aree depresse. Per oltre venti anni il distretto marchigiano conosce i maggiori tassi di crescita fra i sistemi calzaturieri italiani. La forte ascesa della domanda rende semplice creare nuove imprese: basta produrre e lavorare sodo, poiché non vi sono problemi di sbocchi, il macchinario costa poco ed è facilmente acquistabile di seconda mano, si può fare affidamento sulle economie esterne del distretto, la pratica della dilazione dei pagamenti è diffusa, la fiscalità leggera, i profitti elevati, i controlli inesistenti. Le aziende create da artigiani, piccoli commercianti o ex operai del settore, tutti con un livello d’istruzione modesto e nati nel distretto, hanno molte debolezze (assenza di controllo di gestione o di pianificazione finanziaria, dipendenza da pochi o addirittura da un solo compratore) e infatti chiudono o falliscono in gran numero ma la mortalità, per il momento, è più che compensata dalle nascite. Anche l’offerta di lavoro proveniente da un enorme serbatoio agricolo eccede largamente la domanda; e la rivoluzione industriosa dei giovani provenienti da famiglie mezzadrili, che rifiutano il lavoro dei campi e aspirano a migliorare il loro tenore di vita, permette una crescita basata su bassi salari e condizioni di lavoro spesso irregolari.

Société et institutions dans le développement des districts des Chaussures des Marches, 1880-1970

SABBATUCCI SEVERINI, Patrizia
2010-01-01

Abstract

La storia del sistema calzaturiero marchigiano viene ripercorsa nell’intento di mettere in rilievo gli assetti organizzativi, sociali e istituzionali nell’epoca della manifattura; nel periodo della parziale transizione al sistema di fabbrica (1924-1945) e in quello della crescita del distretto industriale (1946-70). Per il periodo della manifattura, l’analisi delle cause discusse davanti al Giudice conciliatore di due cittadine calzaturiere (Monte San Giusto: 1909-1930; Sant’Elpidio a Mare: 1899-1904;1910-12) ha consentito di fornire evidenze sui nessi fra le diverse cittadine calzaturiere dell’area (liti riguardanti il lavoro inviato, l’acquisto di materiali o partite di calzature) e sulla funzione di coordinamento svolta dai maggiori manifattori, soprattutto da coloro che alla produzione univano il commercio di pellami e articoli per calzature. Il numero di liti (da attori o convenuti) e l’oggetto del contendere li individua come i nodi della rete produttiva (liti con i calzolai, che rappresentano all’occorrenza mogli e figli orlatrici e che hanno contenziosi con gli apprendisti), commerciale (cause con commercianti di calzature di molte città italiane e con i venditori ambulanti) e creditizia (piccoli prestiti e anticipo di somme a calzolai; credito di fornitura a minori capi di bottega). Come attestano altre fonti, i manifattori, che sempre più spesso figurano come consiglieri e sindaci nelle amministrazioni municipali, sono anche i nodi della rete associativa: circoli anticlericali, filodrammatici o di divertimento e, soprattutto, società di mutuo soccorso. Le norme che regolano i rapporti tra calzolai e manifattori, in assenza di un contratto, basate sugli “usi del mestiere”, cui si attiene anche il Giudice conciliatore, non sono in grado di porre rimedio ai mali cronici della manifattura( certezza nei tempi di consegna, danneggiamento o sottrazione di materiali etc.). Nel primo decennio del ‘900, quando si costituiscono le leghe di miglioramento, che ottengono un aumento delle retribuzione, concordano la tariffa cittadina dei cottimi e stabiliscono la prassi della contrattazione, i principali ‘usi del mestiere’, in particolare l’ingaggio, cadono in disuso. Tra le due guerre molto cambia; dal 1923-24 si diffondono l’uso di macchinario e il sistema di fabbrica, che non soppiantano i laboratori e il lavoro a domicilio, mentre cominciano a sorgere aziende che producono parti o accessori oppure svolgono fasi, in un primo abbozzo della nuova divisione del lavoro, tipica del distretto industriale postbellico. La fabbrica elimina ovviamente gran parte dei motivi di contenzioso –e i rapporti con le famiglie dei calzolai - tipici della manifattura: non vi sono più liti fra calzolai-capifamiglia e manifattori né tra calzolai e apprendisti ma neanche scioperi e associazioni sindacali se non quella fascista; i salari e le condizioni di lavoro sono stabiliti dai ‘contratti provinciali’ - quanto rispettati non è dato sapere così come non si hanno informazioni sull’iscrizione degli operai al sindacato, che è invece imposta agli imprenditori, spesso recalcitranti. La centralizzazione statalista, che porta allo svuotamento di associazioni, rappresentanze e organismi territoriali fu, in buona parte, una costruzione effimera; tanto per fare un esempio, dopo la seconda guerra mondiale e fino al 1969, gli imprenditori calzaturieri marchigiani non aderirono all’Associazione nazionale dei calzaturifici italiani. Lascito duraturo è invece la nuova struttura del sistema bancario locale, derivante dalla razionalizzazione del 1927-37, che nell’immediato suscitò proteste degli imprenditori ma che rafforzò gli istituti locali di credito, peraltro sollecitati a introdurre nuovi criteri ( giro d’affari, puntualità nella restituzione) nell’erogazione di sovvenzioni alle imprese, fino ad allora basate unicamente su garanzie reali. Dopo la seconda guerra mondiale, le rinnovate amministrazioni comunali si impegnano in una incisiva politica di opere pubbliche e vengono varati interventi volti a migliorare l’industria: la Scuola di calzaturificio di sant’Elpidio a Mare (1954) e la decade della calzatura (1950). La proliferazione di aziende e laboratori, già chiara all’inizio degli anni ’50, è poi sostenuta dalla valanga di leggi che incentivano le piccole imprese, agricole, industriali e artigianali, di cui la più importante è quella sulle aree depresse. Per oltre venti anni il distretto marchigiano conosce i maggiori tassi di crescita fra i sistemi calzaturieri italiani. La forte ascesa della domanda rende semplice creare nuove imprese: basta produrre e lavorare sodo, poiché non vi sono problemi di sbocchi, il macchinario costa poco ed è facilmente acquistabile di seconda mano, si può fare affidamento sulle economie esterne del distretto, la pratica della dilazione dei pagamenti è diffusa, la fiscalità leggera, i profitti elevati, i controlli inesistenti. Le aziende create da artigiani, piccoli commercianti o ex operai del settore, tutti con un livello d’istruzione modesto e nati nel distretto, hanno molte debolezze (assenza di controllo di gestione o di pianificazione finanziaria, dipendenza da pochi o addirittura da un solo compratore) e infatti chiudono o falliscono in gran numero ma la mortalità, per il momento, è più che compensata dalle nascite. Anche l’offerta di lavoro proveniente da un enorme serbatoio agricolo eccede largamente la domanda; e la rivoluzione industriosa dei giovani provenienti da famiglie mezzadrili, che rifiutano il lavoro dei campi e aspirano a migliorare il loro tenore di vita, permette una crescita basata su bassi salari e condizioni di lavoro spesso irregolari.
2010
9782940235551
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