I luoghi del lavoro: “dalla conservazione degli edifici in uso al riuso delle architetture conservate” . La definizione, in epigrafe, apre un campo di indagine apparentemente generico ed individua due istanze non sempre contemperate nelle azioni conseguenti: conservazione e riuso. Il presupposto di tale intitolazione risiede nella volontà di introdurre quegli aspetti che hanno informato lo studio di organismi edilizi anche molto eterogenei, ma accomunati dal rapporto tra lavoro e forme costruite, nonché fortemente connotati da una rapida obsolescenza congiunta ai repentini mutamenti della organizzazione produttiva, tradottasi, in molti casi, nel loro totale abbandono. La velocità che ha contraddistinto lo sviluppo economico e sociale del ventesimo secolo, con particolare riferimento alle Marche, ha determinato, peraltro, una sorta di rimozione collettiva del valore di tali testimonianze materiali per la ricostruzione delle storie e delle identità locali, relegandole al semplice ruolo di residui, spesso indesiderati, di forme ed attività produttive superate ed inconsuete. Al contrario, in molti casi, esse rappresentano l’evoluzione recente del lavoro compiuto per secoli nelle campagne, nelle botteghe artigiane e nei luoghi di trasformazione delle materie prime, segni “in corpore vili” dello sviluppo di una struttura sociale e produttiva moderna. Venendo quindi al campo di indagine, la definizione “luoghi del lavoro” sembra la più appropriata per descrivere una realtà, come quella marchigiana, in cui, sino al secondo dopoguerra, persistono strutture produttive che si potrebbero definire protoindustriali, caratterizzate da ridotte dimensioni, dall’uso di forze motrici naturali, dal carattere essenzialmente manifatturiero e dalla stretta connessione al mondo rurale ed ai suoi prodotti, evitando pertanto riferimenti espliciti ad ambiti forse più consueti quali quello dell’archeologia industriale che, pur nelle sue differenti declinazioni , appare non sempre idoneo a descrivere tali peculiarità. Definito quindi l’ambito di ricerca, gli studi condotti hanno cercato di mettere a punto proposte di intervento in grado di perseguire le due istanze citate: la conservazione della consistenza materica delle fabbriche, ponendo attenzione anche agli aspetti strettamente connessi alle attività produttive che vi si svolgevano, ( caratteri distributivi, dotazioni tecnologiche ed impiantistiche) ed il possibile e necessario riuso, contraddistinto dalla introduzione di nuovi “segni”, dichiaratamente contemporanei, seguendo un processo di addizione controllato e dialogante con le preesistenze.
I luoghi del lavoro: dalla conservazione degli edifici in uso al riuso delle architetture conservate
SARACCO, MAURO
2008-01-01
Abstract
I luoghi del lavoro: “dalla conservazione degli edifici in uso al riuso delle architetture conservate” . La definizione, in epigrafe, apre un campo di indagine apparentemente generico ed individua due istanze non sempre contemperate nelle azioni conseguenti: conservazione e riuso. Il presupposto di tale intitolazione risiede nella volontà di introdurre quegli aspetti che hanno informato lo studio di organismi edilizi anche molto eterogenei, ma accomunati dal rapporto tra lavoro e forme costruite, nonché fortemente connotati da una rapida obsolescenza congiunta ai repentini mutamenti della organizzazione produttiva, tradottasi, in molti casi, nel loro totale abbandono. La velocità che ha contraddistinto lo sviluppo economico e sociale del ventesimo secolo, con particolare riferimento alle Marche, ha determinato, peraltro, una sorta di rimozione collettiva del valore di tali testimonianze materiali per la ricostruzione delle storie e delle identità locali, relegandole al semplice ruolo di residui, spesso indesiderati, di forme ed attività produttive superate ed inconsuete. Al contrario, in molti casi, esse rappresentano l’evoluzione recente del lavoro compiuto per secoli nelle campagne, nelle botteghe artigiane e nei luoghi di trasformazione delle materie prime, segni “in corpore vili” dello sviluppo di una struttura sociale e produttiva moderna. Venendo quindi al campo di indagine, la definizione “luoghi del lavoro” sembra la più appropriata per descrivere una realtà, come quella marchigiana, in cui, sino al secondo dopoguerra, persistono strutture produttive che si potrebbero definire protoindustriali, caratterizzate da ridotte dimensioni, dall’uso di forze motrici naturali, dal carattere essenzialmente manifatturiero e dalla stretta connessione al mondo rurale ed ai suoi prodotti, evitando pertanto riferimenti espliciti ad ambiti forse più consueti quali quello dell’archeologia industriale che, pur nelle sue differenti declinazioni , appare non sempre idoneo a descrivere tali peculiarità. Definito quindi l’ambito di ricerca, gli studi condotti hanno cercato di mettere a punto proposte di intervento in grado di perseguire le due istanze citate: la conservazione della consistenza materica delle fabbriche, ponendo attenzione anche agli aspetti strettamente connessi alle attività produttive che vi si svolgevano, ( caratteri distributivi, dotazioni tecnologiche ed impiantistiche) ed il possibile e necessario riuso, contraddistinto dalla introduzione di nuovi “segni”, dichiaratamente contemporanei, seguendo un processo di addizione controllato e dialogante con le preesistenze.File | Dimensione | Formato | |
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