L’indagine storiografica condotta nel saggio prende significativamente spunto dal giudizio demolitorio sull’utilità e la pregnanza della generazione ai fini della ricerca storica, espresso da Lucien Febvre nel 1929. Tale giudizio contiene al suo interno un motivo di polemica che si accompagna da sempre al tema della generazione sociale: se sia o meno possibile comprendere quali soggetti ne facciano parte, quindi determinarne la durata temporale, ed infine promuoverla ad efficace categoria storico-interpretativa. In altre parole, se la generazione in quanto tale esista davvero. La critica di Febvre all’indirizzo della generazione sociale, in quanto nozione priva di qualsivoglia scientificità, era certamente coerente con quel progetto di "nouvelle histoire" con cui agli inizi degli anni Trenta, e cioè di fronte – e forse in risposta – alla Grande Depressione ed al pieno dilagare dei fascismi in Europa, si intendevano valorizzare la lunga e media durata dei processi storici, le transizioni graduali e spesso inavvertite, i processi di composizione sociale e culturale, assai più che le cesure ed i bruschi passaggi di rotta, restituendo il senso della continuità piuttosto che della rottura storica. D’altronde vi sarà chi, al di là del discusso valore euristico della categoria di generazione, ne suggerirà più tardi l’utilizzo in chiave “metaforica” allo scopo, appunto, di cogliere i tratti della crisi ed evidenziare i fattori di opposizione e di rottura che sempre si accompagnerebbero al verificarsi di certi eventi. Riprendendo il nesso tra eventi maggiori e generazione, e combinandolo con l’idea già formulata da Reinhart Koselleck di «contemporaneità del non contemporaneo» quale tratto specifico della temporalità moderna, ho seguito la storiografia più recente – e non solo d’Oltralpe – sulla Rivoluzione francese, per verificare la mia potesi di partenza: nessuno dei filoni storiografici che inquadrano l’evento rivoluzionario nel solco della discontinuità ha realmente costruito una storia del concetto di generazione in rapporto allo specifico contesto tardo-Settecentesco e rivoluzionario francese. Il saggio rappresenta cioè uno sforzo storiografico che, raccogliendo l’eredità dell’ultimo Koselleck, mette al centro la generazione, resa non più nozione sociologica o criterio di classificazione storico-letteraria, ma concetto nel quale si addensa una percezione rinnovata dell’agire politico collettivo che rimanda ad una visione del tempo storico essa pure rinnovata. Quando Koselleck, che da parte sua descrive il moderno ripensamento della successione generazionale sotto il duplice profilo della compresenza – e sovente della confliggenza – in un unico contesto sociale di più generazioni, ciascuna portatrice di una sua specifica percezione temporale, nonché del costituirsi della generazione politica quale soggetto storico, parla del costituirsi dello spazio di esperienza generazionale come di uno spazio antropologicamente connotato, la cui osservazione «richiede necessariamente la mediazione di un punto di vista estraneo e riflessivo sull’universo degli eventi storici, il punto di vista, cioè, caratteristico della storiografia» , sta di fatto enunciando un programma che – mi pare di poter dire – ben pochi hanno raccolto, almeno per la storia della Rivoluzione francese.

Tempo, rivoluzione, costituzione: un bilancio storiografico

PERSANO, PAOLA
2005-01-01

Abstract

L’indagine storiografica condotta nel saggio prende significativamente spunto dal giudizio demolitorio sull’utilità e la pregnanza della generazione ai fini della ricerca storica, espresso da Lucien Febvre nel 1929. Tale giudizio contiene al suo interno un motivo di polemica che si accompagna da sempre al tema della generazione sociale: se sia o meno possibile comprendere quali soggetti ne facciano parte, quindi determinarne la durata temporale, ed infine promuoverla ad efficace categoria storico-interpretativa. In altre parole, se la generazione in quanto tale esista davvero. La critica di Febvre all’indirizzo della generazione sociale, in quanto nozione priva di qualsivoglia scientificità, era certamente coerente con quel progetto di "nouvelle histoire" con cui agli inizi degli anni Trenta, e cioè di fronte – e forse in risposta – alla Grande Depressione ed al pieno dilagare dei fascismi in Europa, si intendevano valorizzare la lunga e media durata dei processi storici, le transizioni graduali e spesso inavvertite, i processi di composizione sociale e culturale, assai più che le cesure ed i bruschi passaggi di rotta, restituendo il senso della continuità piuttosto che della rottura storica. D’altronde vi sarà chi, al di là del discusso valore euristico della categoria di generazione, ne suggerirà più tardi l’utilizzo in chiave “metaforica” allo scopo, appunto, di cogliere i tratti della crisi ed evidenziare i fattori di opposizione e di rottura che sempre si accompagnerebbero al verificarsi di certi eventi. Riprendendo il nesso tra eventi maggiori e generazione, e combinandolo con l’idea già formulata da Reinhart Koselleck di «contemporaneità del non contemporaneo» quale tratto specifico della temporalità moderna, ho seguito la storiografia più recente – e non solo d’Oltralpe – sulla Rivoluzione francese, per verificare la mia potesi di partenza: nessuno dei filoni storiografici che inquadrano l’evento rivoluzionario nel solco della discontinuità ha realmente costruito una storia del concetto di generazione in rapporto allo specifico contesto tardo-Settecentesco e rivoluzionario francese. Il saggio rappresenta cioè uno sforzo storiografico che, raccogliendo l’eredità dell’ultimo Koselleck, mette al centro la generazione, resa non più nozione sociologica o criterio di classificazione storico-letteraria, ma concetto nel quale si addensa una percezione rinnovata dell’agire politico collettivo che rimanda ad una visione del tempo storico essa pure rinnovata. Quando Koselleck, che da parte sua descrive il moderno ripensamento della successione generazionale sotto il duplice profilo della compresenza – e sovente della confliggenza – in un unico contesto sociale di più generazioni, ciascuna portatrice di una sua specifica percezione temporale, nonché del costituirsi della generazione politica quale soggetto storico, parla del costituirsi dello spazio di esperienza generazionale come di uno spazio antropologicamente connotato, la cui osservazione «richiede necessariamente la mediazione di un punto di vista estraneo e riflessivo sull’universo degli eventi storici, il punto di vista, cioè, caratteristico della storiografia» , sta di fatto enunciando un programma che – mi pare di poter dire – ben pochi hanno raccolto, almeno per la storia della Rivoluzione francese.
2005
Nazionale
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