Dal punto di vista delle politiche penali con il papato di Gregorio XVI lo Stato pontificio vive un momento di concreta discontinuità con il suo passato giuridico perché diventano realtà alcuni dei Codici che dalla II Restaurazione si stava cercando di mettere in vigore. I Regolamenti penali gregoriani (1831-1832) infatti sembrarono portare dentro la peculiare Monarchia papale un elemento di modernità europea. Con il Regolamento organico e di procedura si individuò formalmente nel modello misto il riferimento per l’ordinatoria del processo, mentre venne confermato l’ordinamento giudiziario uniforme ed unitario edificato per la prima volta con il Motu proprio del 1816 ed anche mantenuta la napoleonica distinzione tra giurisdizione e amministrazione, tranne per la giustizia monocratica, in un contesto di professionalizzazione della figura del giudice che si trasformava in funzionario dello Stato. Nel penale sostanziale il Regolamento sui delitti e sulle pene strutturò un catalogo i reati bipartiti con relative pene. Essi erano certamente influenzati dalla generale intenzione intimidatoria delle norme e dalla straordinarietà della repressione diretta contro il dissenso politico, ma per la prima volta furono sistemati con i tratti formali di una parte generale distinta dalla speciale e con l’esplicitazione per entrambi i Regolamenti dell’abrogazione di tutte le norme precedenti. Tuttavia, negli anni successivi di vigenza dei Codici, al doppio livello di giustizia che emergeva nella distanza tra quella minacciata dalla nuova legge e quella praticata dai giudici, tradizionalmente paternalistica, si aggiunse la torsione continua dei numerosi tentativi di riforma a cui essi vennero sottoposti senza che si arrivasse mai sino in fondo. Così, se da un lato gli ecclesiastici più reazionari spinsero per il ritorno all’antico regime e all’arbitrium, dall’altro la cultura giuridica più accorta guardò avanti nel tentare di porre dei limiti ‘costituzionali’ al potere sovrano proprio a partire dall’ambito penalistico, perno e fulcro dell’incivilimento generale della società. Protagonista assoluto dei tentativi di riforma fu il criminalista Giuseppe Giuliani, di cui sono emersi dall’Archivio di Stato romano preunitario più progetti per i vari momenti riformisti. Nella fase delle speranze liberali, in coerenza con la concessione dello Statuto fondamentale, Giuliani propose una forte adequazione della scala penale nel sostanziale e il definitivo superamento del processo in realtà inquisitorio nel procedurale. Tuttavia, la vischiosità del sistema di giustizia pontificio e il rifiuto della legge rappresentativa portarono al forse inevitabile fallimento delle speranze liberali e alla fine degli anni Cinquanta, mentre ci si avviava verso il tramonto dello Stato, anche lo stesso Giuliani fece proposte meno avanzate e di puro contenimento.

Il processo penale pontificio tra ancoraggi inquisitori e spettro riformista (1831-1858)

CONTIGIANI, Ninfa
2007-01-01

Abstract

Dal punto di vista delle politiche penali con il papato di Gregorio XVI lo Stato pontificio vive un momento di concreta discontinuità con il suo passato giuridico perché diventano realtà alcuni dei Codici che dalla II Restaurazione si stava cercando di mettere in vigore. I Regolamenti penali gregoriani (1831-1832) infatti sembrarono portare dentro la peculiare Monarchia papale un elemento di modernità europea. Con il Regolamento organico e di procedura si individuò formalmente nel modello misto il riferimento per l’ordinatoria del processo, mentre venne confermato l’ordinamento giudiziario uniforme ed unitario edificato per la prima volta con il Motu proprio del 1816 ed anche mantenuta la napoleonica distinzione tra giurisdizione e amministrazione, tranne per la giustizia monocratica, in un contesto di professionalizzazione della figura del giudice che si trasformava in funzionario dello Stato. Nel penale sostanziale il Regolamento sui delitti e sulle pene strutturò un catalogo i reati bipartiti con relative pene. Essi erano certamente influenzati dalla generale intenzione intimidatoria delle norme e dalla straordinarietà della repressione diretta contro il dissenso politico, ma per la prima volta furono sistemati con i tratti formali di una parte generale distinta dalla speciale e con l’esplicitazione per entrambi i Regolamenti dell’abrogazione di tutte le norme precedenti. Tuttavia, negli anni successivi di vigenza dei Codici, al doppio livello di giustizia che emergeva nella distanza tra quella minacciata dalla nuova legge e quella praticata dai giudici, tradizionalmente paternalistica, si aggiunse la torsione continua dei numerosi tentativi di riforma a cui essi vennero sottoposti senza che si arrivasse mai sino in fondo. Così, se da un lato gli ecclesiastici più reazionari spinsero per il ritorno all’antico regime e all’arbitrium, dall’altro la cultura giuridica più accorta guardò avanti nel tentare di porre dei limiti ‘costituzionali’ al potere sovrano proprio a partire dall’ambito penalistico, perno e fulcro dell’incivilimento generale della società. Protagonista assoluto dei tentativi di riforma fu il criminalista Giuseppe Giuliani, di cui sono emersi dall’Archivio di Stato romano preunitario più progetti per i vari momenti riformisti. Nella fase delle speranze liberali, in coerenza con la concessione dello Statuto fondamentale, Giuliani propose una forte adequazione della scala penale nel sostanziale e il definitivo superamento del processo in realtà inquisitorio nel procedurale. Tuttavia, la vischiosità del sistema di giustizia pontificio e il rifiuto della legge rappresentativa portarono al forse inevitabile fallimento delle speranze liberali e alla fine degli anni Cinquanta, mentre ci si avviava verso il tramonto dello Stato, anche lo stesso Giuliani fece proposte meno avanzate e di puro contenimento.
2007
Nazionale
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