Nella realtà francese e italiana dello Stato pontificio (rappresentativo anche delle altre esperienze italiane preunitarie) il dato quantitativo del crimine di parricidio risulta rilevante e suggestivo perché nel crimine di parricidio si incrociano non solo i linguaggi scientifici della dottrina e dei legislatori ma anche alcuni fattori (antropologici e fisico-sociali) criminogeni. La permanenza di una pena – capitale e infamante fin dal medioevo e speciale sin dal diritto romano – è indicativa di alcuni caratteri fondativi su cui si è costruita la società europea prima del secolo della democrazia. Fin dalla realtà storico-giuridica romana la legislazione civile ruota intorno all’istituzionalizzazione dell’ordine patriarcale-familiare e lo fa con l’invenzione della patria potestas. Un potere assoluto che è matrice e modello di tutti gli altri poteri e che si poteva spingere fino allo ius vitae et necis. Il potere del padre, riconosciuto come bene meritevole di una difesa giuridica, era all’origine del parricidio, figura di reato meritevole di una speciale pena, il culleo. Nel medioevo l’omicidio del parente stretto è poi qualificato come atroce perché contrario ai comandi divini e alle leggi di natura, sino ad arrivare dentro l’Ottocento dei codici come fattispecie separata degna sempre della pena estrema, esemplare e teatrale. Nel XIX secolo paradigmatico è l’esempio del codice penale francese che all’art. 299 qualifica reo di parricidio l’omicida volontario degli ascendenti legittimi (naturali o adottivi) escludendo dall’incriminazione la discendenza. In corrispondenza, la pena capitale infamante e inasprita dalla mutilazione dell’art. 13, magnifica, a livello penalistico, la centralità assoluta dell’autorità paterna, nuovo cardine della famiglia post-rivoluzionaria, anche in forza della puissance paternelle e maritale reintrodotti nel Code civil 1804. La comunità politica risponde in un’apparente armonia di valutazione tra opinione pubblica e scienza penale alla gravissima violazione dell’ordine patriarcale, pensato come ancestrale e fondante. Una centralità imperitura, quella del pater familias, anche nel contesto italiano preunitario dove serve da tramite per la tutela penale di una cerchia parentale diversamente definita da quella d’oltralpe. Negli stati italiani essa è comprensiva dei legami legittimi (di cui non sempre fa parte il vincolo d’adozione) e naturali ma è allargata anche ai discendenti. La sua definizione è discussa dalla dottrina che fonda l’incriminazione per parricidio sulla qualità delle persone distinguendo fermamente il parricidio dall’omicidio per questo. Nonostante il modello francese in cui la difesa della massima autorità familiare, cui si deve rispetto e soggezione, richiama gerarchie politiche e sociali, nella nostra esperienza la causa prima (la ratio, il formante) del crimine è in effetti il vincolo di sangue, come elemento primigenio e naturale su cui poggia l’aggregato familiare. Anche per il forte ancoraggio all’antico regime, quello che simbolicamente e metaforicamente ne deriva viene dopo, tanto che l’uxoricidio compreso nella stessa categoria giuridica è però valutato come un’offesa minore alla società, quindi come parricidio improprio. Le ragioni dell’ordine nella Francia napoleonica e il rispetto del sangue nella vicenda italiana preunitaria sono gli elementi di giustificazione della condivisa durezza repressiva della legislazione penale, la quale però non ha riscontro, almeno nel caso dello Stato pontificio, con la giustizia praticata. In effetti, lo iato tra la misura delle incriminazioni e quella delle condanne effettive rende lo spazio di un temperamento indispensabile al mantenimento dell’ordine pubblico e alla non enfatizzazione di un fenomeno già assai significativo.

Il crimine di parricidio nel XIX secolo. Dal modello normativo francese alla realtà italiana dello Stato pontificio.

CONTIGIANI, Ninfa
2007-01-01

Abstract

Nella realtà francese e italiana dello Stato pontificio (rappresentativo anche delle altre esperienze italiane preunitarie) il dato quantitativo del crimine di parricidio risulta rilevante e suggestivo perché nel crimine di parricidio si incrociano non solo i linguaggi scientifici della dottrina e dei legislatori ma anche alcuni fattori (antropologici e fisico-sociali) criminogeni. La permanenza di una pena – capitale e infamante fin dal medioevo e speciale sin dal diritto romano – è indicativa di alcuni caratteri fondativi su cui si è costruita la società europea prima del secolo della democrazia. Fin dalla realtà storico-giuridica romana la legislazione civile ruota intorno all’istituzionalizzazione dell’ordine patriarcale-familiare e lo fa con l’invenzione della patria potestas. Un potere assoluto che è matrice e modello di tutti gli altri poteri e che si poteva spingere fino allo ius vitae et necis. Il potere del padre, riconosciuto come bene meritevole di una difesa giuridica, era all’origine del parricidio, figura di reato meritevole di una speciale pena, il culleo. Nel medioevo l’omicidio del parente stretto è poi qualificato come atroce perché contrario ai comandi divini e alle leggi di natura, sino ad arrivare dentro l’Ottocento dei codici come fattispecie separata degna sempre della pena estrema, esemplare e teatrale. Nel XIX secolo paradigmatico è l’esempio del codice penale francese che all’art. 299 qualifica reo di parricidio l’omicida volontario degli ascendenti legittimi (naturali o adottivi) escludendo dall’incriminazione la discendenza. In corrispondenza, la pena capitale infamante e inasprita dalla mutilazione dell’art. 13, magnifica, a livello penalistico, la centralità assoluta dell’autorità paterna, nuovo cardine della famiglia post-rivoluzionaria, anche in forza della puissance paternelle e maritale reintrodotti nel Code civil 1804. La comunità politica risponde in un’apparente armonia di valutazione tra opinione pubblica e scienza penale alla gravissima violazione dell’ordine patriarcale, pensato come ancestrale e fondante. Una centralità imperitura, quella del pater familias, anche nel contesto italiano preunitario dove serve da tramite per la tutela penale di una cerchia parentale diversamente definita da quella d’oltralpe. Negli stati italiani essa è comprensiva dei legami legittimi (di cui non sempre fa parte il vincolo d’adozione) e naturali ma è allargata anche ai discendenti. La sua definizione è discussa dalla dottrina che fonda l’incriminazione per parricidio sulla qualità delle persone distinguendo fermamente il parricidio dall’omicidio per questo. Nonostante il modello francese in cui la difesa della massima autorità familiare, cui si deve rispetto e soggezione, richiama gerarchie politiche e sociali, nella nostra esperienza la causa prima (la ratio, il formante) del crimine è in effetti il vincolo di sangue, come elemento primigenio e naturale su cui poggia l’aggregato familiare. Anche per il forte ancoraggio all’antico regime, quello che simbolicamente e metaforicamente ne deriva viene dopo, tanto che l’uxoricidio compreso nella stessa categoria giuridica è però valutato come un’offesa minore alla società, quindi come parricidio improprio. Le ragioni dell’ordine nella Francia napoleonica e il rispetto del sangue nella vicenda italiana preunitaria sono gli elementi di giustificazione della condivisa durezza repressiva della legislazione penale, la quale però non ha riscontro, almeno nel caso dello Stato pontificio, con la giustizia praticata. In effetti, lo iato tra la misura delle incriminazioni e quella delle condanne effettive rende lo spazio di un temperamento indispensabile al mantenimento dell’ordine pubblico e alla non enfatizzazione di un fenomeno già assai significativo.
2007
Nazionale
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