Che cosa ne è della “funzione meta-” dopo il momento storico che l’ha vista in questione e, dunque, dopo la riflessione di Stanislas Breton e Paul Ricoeur, che per primi ne hanno proposto l’individuazione, rimarcando la vitalità del prefisso anche dopo la crisi della metafisica? È, soprattutto, un artificio per continuare a parlare di “metafisica” dopo la fenomenologia e l’ermeneutica o declina ancora e di nuovo le possibilità della metafisica? Un significato che “meta” possiede nel suo senso avverbiale, il significato di “tra”, riapre il discorso della metafisica rilanciandone un nuovo senso: l’uso avverbiale di meta colloca il “tra” nel nome stesso della metafisica. Essa è per sua natura “apertura a” e “verso”, passaggio principiale che conduce a ricadere nella "physikè" facendovi transitare, fendendola senza identificarvisi e consegnandola alla sua intima mobilità senza fissarsi in “(s)oggetto”, restando sempre il “tra” della e nella "physikè". In questo senso il “tra” spinge verso la "physikè" senza mai identificarvisi, “oltre dell’oltre”, invariato avverbio che varia ciò che può variare e muoversi, ossia l’ambito delle "physika", destinando al passaggio verso la "physikè" stessa ma trattenendosi prima del passaggio, nel “tra”. Tale “oltre dell’oltre” come interstizio della “metafisica” stessa è stato pensato nella direzione dell’infinito in atto (o “transfinito”) del matematico tedesco Georg Cantor, a partire dal quale, rileggendo l’infinito cartesiano e la sua variante levinasiana, si è cercato di riformulare il rapporto tra metafisica e teologia oltre le formulazioni ontoteologica e della teologia razionale.
“Tra” metafisica e teologia: su un significato di "meta"
CANULLO, Carla
2009-01-01
Abstract
Che cosa ne è della “funzione meta-” dopo il momento storico che l’ha vista in questione e, dunque, dopo la riflessione di Stanislas Breton e Paul Ricoeur, che per primi ne hanno proposto l’individuazione, rimarcando la vitalità del prefisso anche dopo la crisi della metafisica? È, soprattutto, un artificio per continuare a parlare di “metafisica” dopo la fenomenologia e l’ermeneutica o declina ancora e di nuovo le possibilità della metafisica? Un significato che “meta” possiede nel suo senso avverbiale, il significato di “tra”, riapre il discorso della metafisica rilanciandone un nuovo senso: l’uso avverbiale di meta colloca il “tra” nel nome stesso della metafisica. Essa è per sua natura “apertura a” e “verso”, passaggio principiale che conduce a ricadere nella "physikè" facendovi transitare, fendendola senza identificarvisi e consegnandola alla sua intima mobilità senza fissarsi in “(s)oggetto”, restando sempre il “tra” della e nella "physikè". In questo senso il “tra” spinge verso la "physikè" senza mai identificarvisi, “oltre dell’oltre”, invariato avverbio che varia ciò che può variare e muoversi, ossia l’ambito delle "physika", destinando al passaggio verso la "physikè" stessa ma trattenendosi prima del passaggio, nel “tra”. Tale “oltre dell’oltre” come interstizio della “metafisica” stessa è stato pensato nella direzione dell’infinito in atto (o “transfinito”) del matematico tedesco Georg Cantor, a partire dal quale, rileggendo l’infinito cartesiano e la sua variante levinasiana, si è cercato di riformulare il rapporto tra metafisica e teologia oltre le formulazioni ontoteologica e della teologia razionale.File | Dimensione | Formato | |
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