Jean Nabert, sebbene non sia tra i filosofi francesi più noti del XX secolo, non è mai stato del tutto assente dallo scenario filosofico, soprattutto grazie al suo più celebre allievo, P. Ricoeur. Questi, già nel 1962 con l’articolo "L’atto e il segno secondo Jean Nabert" , aveva colto il carattere intrinsecamente “ermeneutico” della riflessione nabertiana, sottolineando come, per Nabert, ogni “atto” della coscienza, per comprendersi, debba mediarsi in “segni” che, manifestandolo e occultandolo, devono essere, a loro volta, interpretati. Ripartendo dalla tesi esposta nell’articolo del 1962, Ricoeur è tornato, negli ultimi anni, sul pensiero nabertiano con il saggio "Jean Nabert: une relecture". Rilettura che il filosofo aveva proposto al pubblico dell’Institut Catholique di Parigi nel marzo 2001, in occasione della séance inaugurale del “Fonds Nabert”, fondo di ricerca nel quale sono raccolti inediti e testi pubblicati da e su Nabert. Questa relecture, oggi, chiude uno dei volumi più recenti dedicati al filosofo francese e pubblicato a cura di Ph. Capelle, "Jean Nabert et la question du divin". Il volume è composto da sei saggi, scritti dai membri del comitato scientifico del “Fonds Nabert” (Philippe Capelle, Emmanuel Doucy, Jean Greisch, Paul Ricoeur, Stéphane Robillard, Maria Villela-Petit) in occasione di un seminario di studi dedicato all’autore e organizzato dalla facoltà di filosofia dell’istituto parigino. Seminario che ha riaperto il dibattito attorno ad un filosofo la cui lettura, dopo le vicende filosofiche del XX secolo, può sembrare inattuale e di cui questo articolo dà criticamente conto.
Un’ermeneutica tra finitezza e divino: a proposito di una recente raccolta di saggi su Jean Nabert
CANULLO, Carla
2004-01-01
Abstract
Jean Nabert, sebbene non sia tra i filosofi francesi più noti del XX secolo, non è mai stato del tutto assente dallo scenario filosofico, soprattutto grazie al suo più celebre allievo, P. Ricoeur. Questi, già nel 1962 con l’articolo "L’atto e il segno secondo Jean Nabert" , aveva colto il carattere intrinsecamente “ermeneutico” della riflessione nabertiana, sottolineando come, per Nabert, ogni “atto” della coscienza, per comprendersi, debba mediarsi in “segni” che, manifestandolo e occultandolo, devono essere, a loro volta, interpretati. Ripartendo dalla tesi esposta nell’articolo del 1962, Ricoeur è tornato, negli ultimi anni, sul pensiero nabertiano con il saggio "Jean Nabert: une relecture". Rilettura che il filosofo aveva proposto al pubblico dell’Institut Catholique di Parigi nel marzo 2001, in occasione della séance inaugurale del “Fonds Nabert”, fondo di ricerca nel quale sono raccolti inediti e testi pubblicati da e su Nabert. Questa relecture, oggi, chiude uno dei volumi più recenti dedicati al filosofo francese e pubblicato a cura di Ph. Capelle, "Jean Nabert et la question du divin". Il volume è composto da sei saggi, scritti dai membri del comitato scientifico del “Fonds Nabert” (Philippe Capelle, Emmanuel Doucy, Jean Greisch, Paul Ricoeur, Stéphane Robillard, Maria Villela-Petit) in occasione di un seminario di studi dedicato all’autore e organizzato dalla facoltà di filosofia dell’istituto parigino. Seminario che ha riaperto il dibattito attorno ad un filosofo la cui lettura, dopo le vicende filosofiche del XX secolo, può sembrare inattuale e di cui questo articolo dà criticamente conto.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.