Nel saggio la discussione intorno alla formazione dello stato e al ruolo svolto nella elaborazione delle politiche sociali inglesi introduce all’analisi critica della dicotomia tra regolazione e controllo sociale della povertà, tradizionalmente ricondotta all’alternativa tra stato e ‘autonomia privata’, reinterpretata alla luce della centralità della produzione delle risorse, in cui si inquadrano il tema dell’accesso ai commons e delle enclosures e le relative esigenze di limitazione all’utilizzo che si traducono nell’istituto del settlement, profilando le politiche sulla povertà come un esempio moderno di azione collettiva. Alcune recenti riletture del dualismo tra ‘controllo sociale’ e ‘regolazione morale’, generalmente argomentato in base alla pretesa centralità dello stato nella elaborazione delle politiche ‘di contrasto’ alla povertà e in riferimento alla categoria del deserving poor, mostrano che una spiegazione in termini di controllo sociale come azione coercitiva riconducibile in via esclusiva allo stato offusca la molteplicità delle fonti e dei contesti del controllo, ossia delle misure che prescindono da modalità repressive: la ‘disciplina’ dei poveri, che spazia dal sistema educativo alla gestione del rischio epidemiologico e della fertilità, il cui controllo costituisce una condizione delle erogazioni, consiste in un processo di risocializzazione dei poveri che trova giustificazione nella connessione tra povertà, welfare e crimine che appare una costante delle ricostruzioni storiografiche e del dibattito culturale, secondo cui allo stato di povertà corrisponderebbe una particolare vulnerabilità alla commissione di reati a cui non è estraneo il progressivo processo di burocratizzazione del management delle politiche e delle strutture assistenziali di cui si da conto nel saggio.

Alle origini delle politiche sociali. La regolazione della povertà in Inghilterra

RAITERI, Monica
2006-01-01

Abstract

Nel saggio la discussione intorno alla formazione dello stato e al ruolo svolto nella elaborazione delle politiche sociali inglesi introduce all’analisi critica della dicotomia tra regolazione e controllo sociale della povertà, tradizionalmente ricondotta all’alternativa tra stato e ‘autonomia privata’, reinterpretata alla luce della centralità della produzione delle risorse, in cui si inquadrano il tema dell’accesso ai commons e delle enclosures e le relative esigenze di limitazione all’utilizzo che si traducono nell’istituto del settlement, profilando le politiche sulla povertà come un esempio moderno di azione collettiva. Alcune recenti riletture del dualismo tra ‘controllo sociale’ e ‘regolazione morale’, generalmente argomentato in base alla pretesa centralità dello stato nella elaborazione delle politiche ‘di contrasto’ alla povertà e in riferimento alla categoria del deserving poor, mostrano che una spiegazione in termini di controllo sociale come azione coercitiva riconducibile in via esclusiva allo stato offusca la molteplicità delle fonti e dei contesti del controllo, ossia delle misure che prescindono da modalità repressive: la ‘disciplina’ dei poveri, che spazia dal sistema educativo alla gestione del rischio epidemiologico e della fertilità, il cui controllo costituisce una condizione delle erogazioni, consiste in un processo di risocializzazione dei poveri che trova giustificazione nella connessione tra povertà, welfare e crimine che appare una costante delle ricostruzioni storiografiche e del dibattito culturale, secondo cui allo stato di povertà corrisponderebbe una particolare vulnerabilità alla commissione di reati a cui non è estraneo il progressivo processo di burocratizzazione del management delle politiche e delle strutture assistenziali di cui si da conto nel saggio.
2006
Nazionale
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