The sharing of digital data on the Web begins from early childhood and, sometimes, even before birth, when parents decide to publish the first ultrasound of their unborn child on social media to announce the pregnancy. The dataisation of the little ones is then repeated in widespread practices ranging from the use of wearable devices for monitoring the vital parameters of newborns to sharenting, the latter term indicating the parental habit of compulsively sharing information and photos of their children on social media, exposing them to constant exhibition and the showcase of their private life. From this phenomenon derives, then, that of parental micro-celebrities, with considerable consensus and a significant ability to influence, and of baby influencers with an autonomous social profile, frequently followed by a large number of followers. However, the risks associated with this situation are evident, capable of putting at risk not only the privacy of minors, but the interested parties themselves, unknowns amplified by the potentially unlimited and uncontrolled methods of information dissemination and the almost constant storage capacity, typical of the Web. Added to these are further critical issues concerning the digital footprint determined by sharenting, capable of contributing to outlining the future public image of minors, often incorrectly, affecting their future digital reputation and fueling fears of cyberbullying episodes and running into problems upon entering in the world of work. If the Italian jurisprudence on sharenting outlines a rather homogeneous orientation - centered on the best interests of the minor, on the protection of privacy and personal image - on a regulatory level, there is not yet, in our country, a specific law regarding online sharing of digital materials of minor children, referring to the general rules regarding privacy, image protection and parental duties of care, protection and education of their offspring. Beyond the use of specific IT measures and the issuing of ad hoc rules to combat the main dysfunctionalities of sharenting, the need emerges for a constant commitment of educators and parents, subjects at the forefront in the protection of the rights of minors in relationship to digital media by transmitting to new generations safe ways of inhabiting the virtual world, guaranteeing its use as free from dangers as possible.

La condivisione nel Web di dati digitali ha inizio sin dalla più tenera infanzia, talvolta, ancor prima della nascita, quando i genitori decidono di pubblicare nei social la prima ecografia del nascituro per annunciare la gravidanza. La datizzazione dei più piccoli si ripete, poi, in diffuse pratiche che vanno dall’uso di dispositivi indossabili per il monitoraggio dei parametri vitali dei neonati allo sharenting, termine, quest’ultimo, che indica l’abitudine genitoriale di condividere compulsivamente nei social le foto dei figli, esponendoli ad una costante esibizione e alla vetrinizzazione della vita privata. Da tale fenomeno derivano, poi, quello delle microcelebrità genitoriali, con un notevole consenso e una significativa capacità d’influenza, e dei baby influencer dotati di un autonomo profilo social, frequentemente seguito da un gran numero di followers. Evidenti sono, tuttavia, i rischi connessi a tale situazione, capaci di porre a rischio non solo la privacy dei minori, ma gli stessi interessati, incognite amplificate dalle modalità, potenzialmente illimitate e incontrollate, di diffusione informativa e dalla capacità di memorizzazione, pressoché perenne, tipica del Web. A queste si aggiungono ulteriori criticità concernenti l’impronta digitale determinata dallo sharenting, capace di contribuire a delineare la futura immagine pubblica dei minori, spesso in maniera scorretta, intaccandone la futura reputazione digitale ed alimentando i timori di episodi di cyberbullismo e di incorrere in problemi all’ingresso nel mondo del lavoro. Se la giurisprudenza italiana in materia di sharenting delinea un orientamento piuttosto omogeneo - centrato nel superiore interesse del minore, nella tutela della privacy e dell’immagine personale - sul piano normativo non esiste ancora, nel nostro Paese, una specifica legge riguardante la condivisione online di materiali digitali dei figli minorenni, facendosi rimando alle regole generali in materia di privacy, di tutela dell’immagine e ai doveri genitoriali di cura, protezione ed educazione della prole. Al di là dell’impiego di appositi accorgimenti informatici e dell’emanazione di norme ad hoc di contrasto delle precipue disfunzionalità dello sharenting, emerge l’esigenza di un costante impegno di educatori e genitori, soggetti in prima linea nella tutela dei diritti dei minori in rapporto ai media digitali con il trasmettere alle nuove generazioni modalità sicure di abitare il virtuale, garantendone un utilizzo il più possibile scevro da pericoli.

Sharenting e tutela dei minori, riflessioni informatico-giuridiche tra diritto alla privacy e diritto all’immagine.

Arianna Maceratini
2024-01-01

Abstract

The sharing of digital data on the Web begins from early childhood and, sometimes, even before birth, when parents decide to publish the first ultrasound of their unborn child on social media to announce the pregnancy. The dataisation of the little ones is then repeated in widespread practices ranging from the use of wearable devices for monitoring the vital parameters of newborns to sharenting, the latter term indicating the parental habit of compulsively sharing information and photos of their children on social media, exposing them to constant exhibition and the showcase of their private life. From this phenomenon derives, then, that of parental micro-celebrities, with considerable consensus and a significant ability to influence, and of baby influencers with an autonomous social profile, frequently followed by a large number of followers. However, the risks associated with this situation are evident, capable of putting at risk not only the privacy of minors, but the interested parties themselves, unknowns amplified by the potentially unlimited and uncontrolled methods of information dissemination and the almost constant storage capacity, typical of the Web. Added to these are further critical issues concerning the digital footprint determined by sharenting, capable of contributing to outlining the future public image of minors, often incorrectly, affecting their future digital reputation and fueling fears of cyberbullying episodes and running into problems upon entering in the world of work. If the Italian jurisprudence on sharenting outlines a rather homogeneous orientation - centered on the best interests of the minor, on the protection of privacy and personal image - on a regulatory level, there is not yet, in our country, a specific law regarding online sharing of digital materials of minor children, referring to the general rules regarding privacy, image protection and parental duties of care, protection and education of their offspring. Beyond the use of specific IT measures and the issuing of ad hoc rules to combat the main dysfunctionalities of sharenting, the need emerges for a constant commitment of educators and parents, subjects at the forefront in the protection of the rights of minors in relationship to digital media by transmitting to new generations safe ways of inhabiting the virtual world, guaranteeing its use as free from dangers as possible.
2024
EUT, Edizioni Università di Trieste
La condivisione nel Web di dati digitali ha inizio sin dalla più tenera infanzia, talvolta, ancor prima della nascita, quando i genitori decidono di pubblicare nei social la prima ecografia del nascituro per annunciare la gravidanza. La datizzazione dei più piccoli si ripete, poi, in diffuse pratiche che vanno dall’uso di dispositivi indossabili per il monitoraggio dei parametri vitali dei neonati allo sharenting, termine, quest’ultimo, che indica l’abitudine genitoriale di condividere compulsivamente nei social le foto dei figli, esponendoli ad una costante esibizione e alla vetrinizzazione della vita privata. Da tale fenomeno derivano, poi, quello delle microcelebrità genitoriali, con un notevole consenso e una significativa capacità d’influenza, e dei baby influencer dotati di un autonomo profilo social, frequentemente seguito da un gran numero di followers. Evidenti sono, tuttavia, i rischi connessi a tale situazione, capaci di porre a rischio non solo la privacy dei minori, ma gli stessi interessati, incognite amplificate dalle modalità, potenzialmente illimitate e incontrollate, di diffusione informativa e dalla capacità di memorizzazione, pressoché perenne, tipica del Web. A queste si aggiungono ulteriori criticità concernenti l’impronta digitale determinata dallo sharenting, capace di contribuire a delineare la futura immagine pubblica dei minori, spesso in maniera scorretta, intaccandone la futura reputazione digitale ed alimentando i timori di episodi di cyberbullismo e di incorrere in problemi all’ingresso nel mondo del lavoro. Se la giurisprudenza italiana in materia di sharenting delinea un orientamento piuttosto omogeneo - centrato nel superiore interesse del minore, nella tutela della privacy e dell’immagine personale - sul piano normativo non esiste ancora, nel nostro Paese, una specifica legge riguardante la condivisione online di materiali digitali dei figli minorenni, facendosi rimando alle regole generali in materia di privacy, di tutela dell’immagine e ai doveri genitoriali di cura, protezione ed educazione della prole. Al di là dell’impiego di appositi accorgimenti informatici e dell’emanazione di norme ad hoc di contrasto delle precipue disfunzionalità dello sharenting, emerge l’esigenza di un costante impegno di educatori e genitori, soggetti in prima linea nella tutela dei diritti dei minori in rapporto ai media digitali con il trasmettere alle nuove generazioni modalità sicure di abitare il virtuale, garantendone un utilizzo il più possibile scevro da pericoli.
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