Nella “traduzione intersemiotica” da Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968) di Philip K. Dick a Blade Runner (1982) di Ridley Scott, il rapporto binario tra umano/naturale e non-umano/artificiale viene quasi ribaltato, perché se nel romanzo gli androidi (i “replicanti”) appaiono quasi univocamente come figure negative in quanto prive di quell’empatia che le qualificherebbe come umane (e di converso gli esseri umani sembrano smarrire la loro empatia, e quindi la loro umanità, proprio perché devono agire come macchine senza scrupoli nell’eliminare androidi pressoché indistinguibili dagli esseri umani), nel film gli androidi vengono rappresentati come caratteri complessi e ambigui, e tutt’altro che completamente lucidi e razionali, e proprio per questo molto più “umani” di quanto dovrebbero essere, com’è testimoniato dalla scena in cui Roy Batty (Rutger Hauer) rinuncia a uccidere e anzi salva Rick Deckard (Harrison Ford), e muore pronunciando il suo famosissimo monologo – mostrando così proprio quell’empatia che a lui dovrebbe essere negata. Blade Runner 2049 fa un passo avanti, e la dialettica tra naturale e artificiale/umano e non-umano si somma a quella tra materiale e virtuale, non presente nel film di Scott: oltre alla concezione cartesiana del soggetto umano viene messa in discussione anche la visione “incarnata” della soggettività, ma senza che questo conduca a una esaltazione delle infinite possibilità garantite dai mondi virtuali o viceversa alla prefigurazione di un mondo distopico in cui il soggetto si è condannato a una irrecuperabile frammentazione nell’iperspazio informatizzato. Quel che emerge da Blade Runner 2049 è un’immagine di soggettività come costituita come un insieme di elementi (fisici e non fisici) in reciproca relazione e in costante cambiamento, al punto che la nozione stessa di “identità” (l’essere in un modo o nell’altro sempre eguali a sé stessi/e) va profondamente riconsiderata, nel senso che non può più essere ritenuta come un sostrato immutabile al quale si finisce sempre per tornare, ma deve viceversa essere riconcettualizzata nei termini del fine ultimo ma mai definitivo di un processo, dell’obiettivo di una costruzione del sé fondata sulla continuità relazionale, ovvero sulla incessante trasformazione di una rete di rapporti che costituisce il soggetto medesimo.
Postumano, troppo postumano. Identità in flusso nei due Blade Runner
De Angelis, V.
2022-01-01
Abstract
Nella “traduzione intersemiotica” da Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968) di Philip K. Dick a Blade Runner (1982) di Ridley Scott, il rapporto binario tra umano/naturale e non-umano/artificiale viene quasi ribaltato, perché se nel romanzo gli androidi (i “replicanti”) appaiono quasi univocamente come figure negative in quanto prive di quell’empatia che le qualificherebbe come umane (e di converso gli esseri umani sembrano smarrire la loro empatia, e quindi la loro umanità, proprio perché devono agire come macchine senza scrupoli nell’eliminare androidi pressoché indistinguibili dagli esseri umani), nel film gli androidi vengono rappresentati come caratteri complessi e ambigui, e tutt’altro che completamente lucidi e razionali, e proprio per questo molto più “umani” di quanto dovrebbero essere, com’è testimoniato dalla scena in cui Roy Batty (Rutger Hauer) rinuncia a uccidere e anzi salva Rick Deckard (Harrison Ford), e muore pronunciando il suo famosissimo monologo – mostrando così proprio quell’empatia che a lui dovrebbe essere negata. Blade Runner 2049 fa un passo avanti, e la dialettica tra naturale e artificiale/umano e non-umano si somma a quella tra materiale e virtuale, non presente nel film di Scott: oltre alla concezione cartesiana del soggetto umano viene messa in discussione anche la visione “incarnata” della soggettività, ma senza che questo conduca a una esaltazione delle infinite possibilità garantite dai mondi virtuali o viceversa alla prefigurazione di un mondo distopico in cui il soggetto si è condannato a una irrecuperabile frammentazione nell’iperspazio informatizzato. Quel che emerge da Blade Runner 2049 è un’immagine di soggettività come costituita come un insieme di elementi (fisici e non fisici) in reciproca relazione e in costante cambiamento, al punto che la nozione stessa di “identità” (l’essere in un modo o nell’altro sempre eguali a sé stessi/e) va profondamente riconsiderata, nel senso che non può più essere ritenuta come un sostrato immutabile al quale si finisce sempre per tornare, ma deve viceversa essere riconcettualizzata nei termini del fine ultimo ma mai definitivo di un processo, dell’obiettivo di una costruzione del sé fondata sulla continuità relazionale, ovvero sulla incessante trasformazione di una rete di rapporti che costituisce il soggetto medesimo.File | Dimensione | Formato | |
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