Nella lessicografia indiana in principio fu l’“ordine”: O. Böhtlingk; R. Roth, Sanskrit-Wörterbuch, 7 voll., rist. Motilal Banarsidass, Delhi, 1990 (ed. orig. 1855 (1° fasc. 1852) - 1875), col. 1046 davano di r̥tá- (sost.; la parola ha un impiego anche aggettivale) come 1° significato “feste Ordnung, Bestimmung, Entscheidung”, proseguendo tuttavia (col. 1048) con “das Rechte, Wahre; Recht, Wahrheit, besonders die religiöse Wahrheit, = satya”. Sulla sua falsariga H. Grassmann, Wörterbuch zum Rig-Veda, 6a ed. rielaborata e integrata a cura di Maria Kozianka, Harrassowitz, Wiesbaden, 1996 (ed. orig. 1873-1875), p. 282 pose come significato fondamentale “das Festgesetzte, das göttliche Gesetz, die unveränderliche Ordnung oder Regel”, ma anche, immediatamente dopo questo significato del sost. – e “von dem vorigen oft nicht zu sondern” –, “die ewige, göttliche Wahrheit” (e poi ancora “Recht, Gebühr”). La problematica di ved. r̥tá- è inscindibile da quella dell’avestico aṣ̌a- (che, a differenza del suo parente vedico, conosce un abbozzo di personificazione, venendo a far parte delle ‘entità’ al seguito di Ahura Mazdā); per questo corrispondente avestico, in C. Bartholomae, Altiranisches Wörterbuch, 2a ed. immutata De Gruyter, Berlin, 1961 (ed. orig. 1904), col. 229 la prima parola della glossatura è invece “Wahrheit”, e la seconda “Recht”, ma così si prosegue sotto A) I) (coll. 229-230): “Inbegriff dessen, was wahr und recht ist, das ahurische Reich der Wahrheit und seine Ordnung; heiliges, ewiges Recht, göttliche Ordnung”. Come si vede, si tratta di un “ordine”, se tale fosse, alquanto disordinato. Intese uscire da questo disordine Heinrich Lüders nel suo Varuṇa, pubblicato postumo a cura di L. Alsdorf (2 voll., Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1951-1959): la soluzione, limpidamente argomentata, di Lüders fu quella di eliminare precisamente l’“ordine” e lasciare r̥tá- = “verità”. Restava tuttavia un problema: in questo modo, il significato di r̥tá- veniva a essere schiacciato su quello di satyá-, anch’esso agg. e sost., derivato in -ya- dal participio pres. di as- “essere”. A questa difficoltà si propose di ovviare Benfried Schlerath in una serie di interventi il primo dei quali in un convegno moscovita del 1960, poi in più diffuse pubblicazioni (Gedanke, Wort und Werk im Veda und Awesta, in Antiquitates Indogermanicae. Studien zur indogermanischen Altertumskunde und zur Sprach- und Kulturgeschichte der indogermanischen Völker. Gedenkschrift für H. Güntert zur 25. Wiederkehr seines Todes am 23. April 1973, a c. di M. Mayrhofer e all., Innsbruck, Institut für Sprachwissenschaft der Universität Innsbruck, 1974, poi in B. S., Kleine Schriften, 2 voll., Dettelbach, Röll, 2000, p. 220 = II, 525; Die Problematik der Metaphern in den Gathas, in StII XI-XII (1986) [1987], pp. 199-200; aṧa-, in Encyclopaedia Iranica, ed. digitalizzata (http://www.iranicaonline.org/), voce aggiornata 2011): si tratta di distinguere fra “verità” come corrispondenza fra parola e realtà (sátya-) e “verità” come corrispondenza fra due concetti (r̥tá-), dunque espressione dei “luoghi di articolazione dell’ordine cosmico” in quanto manifestati – ma nello stesso tempo creati – verbalmente: è quel che la vecchia traduzione di r̥tá- come “ordine cosmico”, respinta da Lüders, solo parzialmente e imperfettamente metteva in luce. Dal punto di vista etimologico, tale corrispondenza e articolazione verbale è del tutto coerente con uno r̥tá- in prima istanza participio pf. passivo da una radice ar- apparentata con quella di gr. ἀραρίσκω (cfr. Cronaca di etimologia sanscrita. Parte III, in SSL LIV (2016) 1, p. 97ss.; notevole il confronto etimologico con il gr. ἀρετή recentemente proposto da Laura Massetti, Gr. ἀρετή, ved. r̥tá-, av. aṣ̌a- e l’eccellenza come ordine aggiustato, in MSS LVII (2013-2014) 2, pp. 123-148. Av. aṧa- < *arta- sostantivizzazione di i.-ir. *Hr̥tá- sec. Almut Hintze, Avestan research 1991-2017, in Krat LXII (2017), p. 48, con rinvio a un suo studio precedente). Eppure, nei decenni trascorsi dall’apparizione dell’opera di Lüders si coglie nella bibliografia una sorta di fatale attrazione verso un ritorno all’“ordine” – intendo dire all’“ordine” come parte della descrizione semantica stessa di r̥tá- –; esemplare è a questo proposito la glossatura di r̥tá- sost. nel nuovo dizionario del Rigveda in corso di pubblicazione (T. Krisch, RIVELEX. Rigveda Lexikon /A Rigvedic Lexikon, vol. II: Wörter beginnend mit anderen Vokalen als “a”/ Words beginning with others vowels than “a”, con la collaboraz. di Christina Katsikadeli, S. Niederreiter, K. Sampanis, Sabine Ziegler e (per le trad. ingl.) T. Kaltenbacher e A. Hörlberger, Graz, Leykam, 2012, p. 461 (voce firmata da S. Niederreiter): “(adj.) «WAHRHAFT, RECHT»; n. «WAHRHEIT, (WELT-)ORDNUNG; OPFER» (adj., subst. verwendet) – (adj.) [«]RIGHT, TRUE, PROPER»; (adj., nom. use) «TRUTH, ORDER / WORLD ORDER; SACRIFICE»”. Come si vede, non è con ciò cambiato alcunché rispetto alla semplice giustapposizione di “verità” e “ordine” dei primi dizionari. Anche poi laddove si accolga senz’altro “verità”, come da parte di S.W. Jamison e J.P. Brereton nell’introduzione alla loro recente traduzione del Rigveda (The Rigveda. The earliest religious poetry of India, 3 voll., New York, NY, Oxford University Press, 2014, vol. I, p. 22): The word for “truth” is r̥tá, a crucially resonant word that, with some reason, some other translators have rendered “order” or “cosmic order.” The term r̥tá essentially defines what a being or object is and what it does, and it structures the relationships of beings and objects with other beings and objects. By speaking these truths of essence and relationship, the poets could make the truths real and actual in the present, c’è da lamentarsi anche qui di come si trascuri la problematica del rapporto con satyá-, dal quale un tale r̥tá- rimarrebbe indistinguibile. Ora, il ved. r̥tá- sembra riempire, nella costellazione dei termini indiani di cultura maggiormente rilevanti, la casella occupata in età classica da dharma-, già in concorrenza – nella forma dhárman- – con r̥tá- nel Rigveda; dharma- è l’etichetta di ciò che in India corrisponde – ciò detto con tutti i distinguo del caso – alla nostra idea di diritto, derivando del resto trasparentemente da dhr̥- “tener fermo”. r̥tá- è posto inoltre, nella poesia vedica, tipicamente sotto l’egida di Varuṇa, il dio dei temuti legami, il dio re e punitore, che, se avesse anche qui ragione Lüders a vedervi la personificazione del concetto di “giuramento” (come Mitra del “contratto”), sarebbe anche per questo rispetto correlato all’applicazione del diritto, in quanto il giuramento poteva svolgere il ruolo di asserzione di verità in una controversia giudiziaria (sul fatto tuttavia che il concetto di “giuramento” sia da considerare punto di partenza esclusivo della regalità varuṇiana cfr. già la cautela di B. Schlerath, Königtum im Rig- und Atharvaveda, Wiesbaden, Steiner, 1960, p. 156). Se però “ordine” si correlerebbe in modo del tutto naturale a “legge”, come starebbero le cose con “verità” – e specificamente, si diceva, una “verità” diversa da quella veicolata da sátya- –? Una soluzione potrebbe essere quella di ravvisare nello r̥tá- la proiezione del diritto al suo livello più alto, nel senso della forma del diritto, la necessità della coerenza interna delle sue manifestazioni verbali. La struttura tipica, secondo Schlerath, di un’espressione conforme allo r̥tá- è un’identificazione, p.e. “Ahura Mazdā (è) il padre di Aṣ̌a”, che è “vera” non perché corrisponda alla realtà, ma perché internamente coerente – e internamente coerente perché resa tale dalla tradizione. Potrebbe non essere fuori luogo, a questo proposito, richiamare la struttura tipicamente bimembre delle Leggi delle XII tavole romane (p.e. I, 4 Adsiduo vindex adsiduus esto). Quanto detto si inserisce adeguatamente in una rete di relazioni. P. Olivelle; M. McClish, The four feet of legal procedure and the origins of jurisprudence in ancient India, in JAOS CXXXV (2015) 1, pp. 33- 47 hanno recentemente mostrato come la classificazione, corrente nei testi di legge indiani, della procedura legale in “quattro piedi” provenga in realtà dalla reinterpretazione di un più generale “sistema gerarchico di domini giuridici” valido per lo stato di Kauṭilya come testimoniato nell’Arthaśāstra. Questi ultimi sono appunto quattro e, tralasciando il vyavahāra- “transactional law”, in quanto specificamente legato all’emergere della forma di stato kauṭiliano, interessa qui il rapporto fra il dharma- (sing., da distinguere dai dharma- plur.) e il caritra-, che è un insieme di norme, precisamente un “aggregate of various rule sets prevailing among private groups” (il quarto dominio, che ha con il dharma- un rapporti analogo, è costituito dalle “disposizioni regali” ¬– rājaśāsana- nelle Smṛti, saṁsthāna- nell’Arthaśāstra). Il rapporto fra dharma- e caritra- in particolare sembra così ripetere quello esistente nella poesia vedica antica fra r̥tá- (/dhárman-) e vratá-, che, come emerge con chiarezza dalla discussione svolta da H.-P. Schmidt nella sua monografia (Vedisch vratá und awestisch urvā̆ta, Hamburg, Cram, de Gruyter & Co, 1958, pp. 87-98) sui passi vedici antichi pertinenti in proposito, è un rapporto dialettico di unità/varietà. Queste considerazioni di Schmidt restano valide anche se sembra ormai difficile da seguire l’estensione al vedico antico del significato più tardo di “voto” per vratá- da lui sostenuta (cfr. in partic. T. Lubin, Custom in the Vedic ritual codes as an emergent legal principle, in JAOS CXXXVI (2016) 4, pp. 669-687; J.-S. Kim, Vratāni der Menschen im Atharvaveda, in HS CXXV (2012) [2014], pp. 179-190). I diversi modi in cui è sembrato possibile tradurre vratá- nei diversi contesti dipendono in realtà dai rapporti sintattici intrattenuti dalla parola con determinazioni, eventualmente implicite, oggettive o soggettive: “dovere” o “funzione” renderebbero ragione, dato il vratá- di qualcuno, di quel qualcuno in quanto esecutore di compiti (“ordinamento” a cui ci si conforma), “comandamento” o “desiderio, volontà”, di qualcuno che sia determinatore di compiti (“ordinamento” in quanto dettato, che scaturisce da una fonte giuridica) e infine, più tardi, “voto”, di qualcuno che ne sia allo stesso tempo esecutore e determinatore. Questa articolazione fra r̥tá- e vratá- potrebbe trovare un punto – etimologico – di snodo nel nome del dio che è il guardiano dello r̥tá- ma anche la fonte (insieme con altri dei, fra cui in particolare Agni) del vratá-, cioè Varuṇa, se il nome di questi e vratá- derivassero da una medesima radice, che altra allora non potrebbe essere se non una delle radici i.e. per il “dire” (gr. εἴρηκα ecc.). Intorno al “dire” e la sua interna conformità si svilupperebbe così questo antico avvio di una sistemazione di concetti giuridici.

Appunti bibliografici sulla problematica relativa a vedico r̥tá-

Maggi Daniele
2022-01-01

Abstract

Nella lessicografia indiana in principio fu l’“ordine”: O. Böhtlingk; R. Roth, Sanskrit-Wörterbuch, 7 voll., rist. Motilal Banarsidass, Delhi, 1990 (ed. orig. 1855 (1° fasc. 1852) - 1875), col. 1046 davano di r̥tá- (sost.; la parola ha un impiego anche aggettivale) come 1° significato “feste Ordnung, Bestimmung, Entscheidung”, proseguendo tuttavia (col. 1048) con “das Rechte, Wahre; Recht, Wahrheit, besonders die religiöse Wahrheit, = satya”. Sulla sua falsariga H. Grassmann, Wörterbuch zum Rig-Veda, 6a ed. rielaborata e integrata a cura di Maria Kozianka, Harrassowitz, Wiesbaden, 1996 (ed. orig. 1873-1875), p. 282 pose come significato fondamentale “das Festgesetzte, das göttliche Gesetz, die unveränderliche Ordnung oder Regel”, ma anche, immediatamente dopo questo significato del sost. – e “von dem vorigen oft nicht zu sondern” –, “die ewige, göttliche Wahrheit” (e poi ancora “Recht, Gebühr”). La problematica di ved. r̥tá- è inscindibile da quella dell’avestico aṣ̌a- (che, a differenza del suo parente vedico, conosce un abbozzo di personificazione, venendo a far parte delle ‘entità’ al seguito di Ahura Mazdā); per questo corrispondente avestico, in C. Bartholomae, Altiranisches Wörterbuch, 2a ed. immutata De Gruyter, Berlin, 1961 (ed. orig. 1904), col. 229 la prima parola della glossatura è invece “Wahrheit”, e la seconda “Recht”, ma così si prosegue sotto A) I) (coll. 229-230): “Inbegriff dessen, was wahr und recht ist, das ahurische Reich der Wahrheit und seine Ordnung; heiliges, ewiges Recht, göttliche Ordnung”. Come si vede, si tratta di un “ordine”, se tale fosse, alquanto disordinato. Intese uscire da questo disordine Heinrich Lüders nel suo Varuṇa, pubblicato postumo a cura di L. Alsdorf (2 voll., Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1951-1959): la soluzione, limpidamente argomentata, di Lüders fu quella di eliminare precisamente l’“ordine” e lasciare r̥tá- = “verità”. Restava tuttavia un problema: in questo modo, il significato di r̥tá- veniva a essere schiacciato su quello di satyá-, anch’esso agg. e sost., derivato in -ya- dal participio pres. di as- “essere”. A questa difficoltà si propose di ovviare Benfried Schlerath in una serie di interventi il primo dei quali in un convegno moscovita del 1960, poi in più diffuse pubblicazioni (Gedanke, Wort und Werk im Veda und Awesta, in Antiquitates Indogermanicae. Studien zur indogermanischen Altertumskunde und zur Sprach- und Kulturgeschichte der indogermanischen Völker. Gedenkschrift für H. Güntert zur 25. Wiederkehr seines Todes am 23. April 1973, a c. di M. Mayrhofer e all., Innsbruck, Institut für Sprachwissenschaft der Universität Innsbruck, 1974, poi in B. S., Kleine Schriften, 2 voll., Dettelbach, Röll, 2000, p. 220 = II, 525; Die Problematik der Metaphern in den Gathas, in StII XI-XII (1986) [1987], pp. 199-200; aṧa-, in Encyclopaedia Iranica, ed. digitalizzata (http://www.iranicaonline.org/), voce aggiornata 2011): si tratta di distinguere fra “verità” come corrispondenza fra parola e realtà (sátya-) e “verità” come corrispondenza fra due concetti (r̥tá-), dunque espressione dei “luoghi di articolazione dell’ordine cosmico” in quanto manifestati – ma nello stesso tempo creati – verbalmente: è quel che la vecchia traduzione di r̥tá- come “ordine cosmico”, respinta da Lüders, solo parzialmente e imperfettamente metteva in luce. Dal punto di vista etimologico, tale corrispondenza e articolazione verbale è del tutto coerente con uno r̥tá- in prima istanza participio pf. passivo da una radice ar- apparentata con quella di gr. ἀραρίσκω (cfr. Cronaca di etimologia sanscrita. Parte III, in SSL LIV (2016) 1, p. 97ss.; notevole il confronto etimologico con il gr. ἀρετή recentemente proposto da Laura Massetti, Gr. ἀρετή, ved. r̥tá-, av. aṣ̌a- e l’eccellenza come ordine aggiustato, in MSS LVII (2013-2014) 2, pp. 123-148. Av. aṧa- < *arta- sostantivizzazione di i.-ir. *Hr̥tá- sec. Almut Hintze, Avestan research 1991-2017, in Krat LXII (2017), p. 48, con rinvio a un suo studio precedente). Eppure, nei decenni trascorsi dall’apparizione dell’opera di Lüders si coglie nella bibliografia una sorta di fatale attrazione verso un ritorno all’“ordine” – intendo dire all’“ordine” come parte della descrizione semantica stessa di r̥tá- –; esemplare è a questo proposito la glossatura di r̥tá- sost. nel nuovo dizionario del Rigveda in corso di pubblicazione (T. Krisch, RIVELEX. Rigveda Lexikon /A Rigvedic Lexikon, vol. II: Wörter beginnend mit anderen Vokalen als “a”/ Words beginning with others vowels than “a”, con la collaboraz. di Christina Katsikadeli, S. Niederreiter, K. Sampanis, Sabine Ziegler e (per le trad. ingl.) T. Kaltenbacher e A. Hörlberger, Graz, Leykam, 2012, p. 461 (voce firmata da S. Niederreiter): “(adj.) «WAHRHAFT, RECHT»; n. «WAHRHEIT, (WELT-)ORDNUNG; OPFER» (adj., subst. verwendet) – (adj.) [«]RIGHT, TRUE, PROPER»; (adj., nom. use) «TRUTH, ORDER / WORLD ORDER; SACRIFICE»”. Come si vede, non è con ciò cambiato alcunché rispetto alla semplice giustapposizione di “verità” e “ordine” dei primi dizionari. Anche poi laddove si accolga senz’altro “verità”, come da parte di S.W. Jamison e J.P. Brereton nell’introduzione alla loro recente traduzione del Rigveda (The Rigveda. The earliest religious poetry of India, 3 voll., New York, NY, Oxford University Press, 2014, vol. I, p. 22): The word for “truth” is r̥tá, a crucially resonant word that, with some reason, some other translators have rendered “order” or “cosmic order.” The term r̥tá essentially defines what a being or object is and what it does, and it structures the relationships of beings and objects with other beings and objects. By speaking these truths of essence and relationship, the poets could make the truths real and actual in the present, c’è da lamentarsi anche qui di come si trascuri la problematica del rapporto con satyá-, dal quale un tale r̥tá- rimarrebbe indistinguibile. Ora, il ved. r̥tá- sembra riempire, nella costellazione dei termini indiani di cultura maggiormente rilevanti, la casella occupata in età classica da dharma-, già in concorrenza – nella forma dhárman- – con r̥tá- nel Rigveda; dharma- è l’etichetta di ciò che in India corrisponde – ciò detto con tutti i distinguo del caso – alla nostra idea di diritto, derivando del resto trasparentemente da dhr̥- “tener fermo”. r̥tá- è posto inoltre, nella poesia vedica, tipicamente sotto l’egida di Varuṇa, il dio dei temuti legami, il dio re e punitore, che, se avesse anche qui ragione Lüders a vedervi la personificazione del concetto di “giuramento” (come Mitra del “contratto”), sarebbe anche per questo rispetto correlato all’applicazione del diritto, in quanto il giuramento poteva svolgere il ruolo di asserzione di verità in una controversia giudiziaria (sul fatto tuttavia che il concetto di “giuramento” sia da considerare punto di partenza esclusivo della regalità varuṇiana cfr. già la cautela di B. Schlerath, Königtum im Rig- und Atharvaveda, Wiesbaden, Steiner, 1960, p. 156). Se però “ordine” si correlerebbe in modo del tutto naturale a “legge”, come starebbero le cose con “verità” – e specificamente, si diceva, una “verità” diversa da quella veicolata da sátya- –? Una soluzione potrebbe essere quella di ravvisare nello r̥tá- la proiezione del diritto al suo livello più alto, nel senso della forma del diritto, la necessità della coerenza interna delle sue manifestazioni verbali. La struttura tipica, secondo Schlerath, di un’espressione conforme allo r̥tá- è un’identificazione, p.e. “Ahura Mazdā (è) il padre di Aṣ̌a”, che è “vera” non perché corrisponda alla realtà, ma perché internamente coerente – e internamente coerente perché resa tale dalla tradizione. Potrebbe non essere fuori luogo, a questo proposito, richiamare la struttura tipicamente bimembre delle Leggi delle XII tavole romane (p.e. I, 4 Adsiduo vindex adsiduus esto). Quanto detto si inserisce adeguatamente in una rete di relazioni. P. Olivelle; M. McClish, The four feet of legal procedure and the origins of jurisprudence in ancient India, in JAOS CXXXV (2015) 1, pp. 33- 47 hanno recentemente mostrato come la classificazione, corrente nei testi di legge indiani, della procedura legale in “quattro piedi” provenga in realtà dalla reinterpretazione di un più generale “sistema gerarchico di domini giuridici” valido per lo stato di Kauṭilya come testimoniato nell’Arthaśāstra. Questi ultimi sono appunto quattro e, tralasciando il vyavahāra- “transactional law”, in quanto specificamente legato all’emergere della forma di stato kauṭiliano, interessa qui il rapporto fra il dharma- (sing., da distinguere dai dharma- plur.) e il caritra-, che è un insieme di norme, precisamente un “aggregate of various rule sets prevailing among private groups” (il quarto dominio, che ha con il dharma- un rapporti analogo, è costituito dalle “disposizioni regali” ¬– rājaśāsana- nelle Smṛti, saṁsthāna- nell’Arthaśāstra). Il rapporto fra dharma- e caritra- in particolare sembra così ripetere quello esistente nella poesia vedica antica fra r̥tá- (/dhárman-) e vratá-, che, come emerge con chiarezza dalla discussione svolta da H.-P. Schmidt nella sua monografia (Vedisch vratá und awestisch urvā̆ta, Hamburg, Cram, de Gruyter & Co, 1958, pp. 87-98) sui passi vedici antichi pertinenti in proposito, è un rapporto dialettico di unità/varietà. Queste considerazioni di Schmidt restano valide anche se sembra ormai difficile da seguire l’estensione al vedico antico del significato più tardo di “voto” per vratá- da lui sostenuta (cfr. in partic. T. Lubin, Custom in the Vedic ritual codes as an emergent legal principle, in JAOS CXXXVI (2016) 4, pp. 669-687; J.-S. Kim, Vratāni der Menschen im Atharvaveda, in HS CXXV (2012) [2014], pp. 179-190). I diversi modi in cui è sembrato possibile tradurre vratá- nei diversi contesti dipendono in realtà dai rapporti sintattici intrattenuti dalla parola con determinazioni, eventualmente implicite, oggettive o soggettive: “dovere” o “funzione” renderebbero ragione, dato il vratá- di qualcuno, di quel qualcuno in quanto esecutore di compiti (“ordinamento” a cui ci si conforma), “comandamento” o “desiderio, volontà”, di qualcuno che sia determinatore di compiti (“ordinamento” in quanto dettato, che scaturisce da una fonte giuridica) e infine, più tardi, “voto”, di qualcuno che ne sia allo stesso tempo esecutore e determinatore. Questa articolazione fra r̥tá- e vratá- potrebbe trovare un punto – etimologico – di snodo nel nome del dio che è il guardiano dello r̥tá- ma anche la fonte (insieme con altri dei, fra cui in particolare Agni) del vratá-, cioè Varuṇa, se il nome di questi e vratá- derivassero da una medesima radice, che altra allora non potrebbe essere se non una delle radici i.e. per il “dire” (gr. εἴρηκα ecc.). Intorno al “dire” e la sua interna conformità si svilupperebbe così questo antico avvio di una sistemazione di concetti giuridici.
2022
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