L'articolo muove dalla considerazione di due contributi scritti da Alessandro Pace, a distanza di cinquant'anni l'uno dall'altro, sui temi dell'ordine pubblico e della sicurezza, temi che, dall'inizio del nuovo millennio e con fasi alterne, hanno suscitato un rinnovato interesse in corrispondenza dell'esplosione di episodi di terrorismo internazionale e delle migrazioni di massa. Nel primo contributo, risalente agli anni sessanta, l'Autore muove dalla considerazione che , mentre nel regime fascista, il concetto di ordine pubblico coincideva con la difesa dell'ordinamento politico costituito nello Stato, affidato ad apposita milizia e ad un Tribunale speciale, prevalente sui diritti, nell'ordinamento liberal-democratico disegnato dalla Costituzione repubblicana, in cui è riconosciuta la piena circolarità del potere e sono poste al centro le libertà, sarebbe illogico e contraddittorio ritenere sussistente un "ordine pubblico ideale" (corrispondente a "principi di regime") capace di legittimare generalizzate limitazioni di libertà, In questa prospettiva, si rivela criticabile l'indirizzo espresso dalla giurisprudenza costituzionale di quegli anni, volto a "recuperare" l'esistenza di un limite implicito alle libertà costituito dall'ordine pubblico del regime vigente, palesemente contrastante con i fondamenti del costituzionalismo garantista, che tutela la libertà fino al punto di lasciare ampio spazio alla critica e al dissenso nei confronti dei principi di regime. Dopo cinquant'anni, il quadro di riferimento relativo al rapporto fra sicurezza e libertà si è fatto più fosco, nonostante il percorso di attuazione della Costituzione. La stagione del terrorismo internazionale ha indotto molti autori a ravvisare, nelle maglie della Costituzione, i fondamenti (Impliciti) di un preteso diritto fondamentale alla sicurezza, coincidente con la pretesa ad un'attività statale di tutela preventiva da rischi e pericoli sociali, condizionante l'esercizio delle libertà. Un diritto che, lungi dal trovare le sue basi nelle dichiarazioni rivoluzionarie settecentesche, si rivela in aperto contrasto proprio con i principi del costituzionalismo garantista e nelle regole in cui quei principi si sono tradotti nella Costituzione italiana. In nome del preteso diritto alla sicurezza sono numerose le disposizioni introdotte, sulla scia di indicazioni europee e internazionali (che vengono richiamate), che hanno inciso pesantemente sui diritti, giustificando la normalizzazione dell'emergenza. Occorre, tuttavia, tener conto che, se è mutata la "percezione" della sicurezza, non sono mutate le disposizioni costituzionali che assegnano ad essa (e all'inespresso ordine pubblico) un posto preciso e limitato, volto ad assicurare solo la conservazione dello stato materiale di pace e a giustificare limiti alle libertà nei soli casi e modi in cui sia espressamente previsto.

Il "posto" di sicurezza e ordine pubblico nella Costituzione italiana, nel pensiero di Alessandro Pace. Nel segno del costituzionalismo garantista

Raffaella Niro
2019-01-01

Abstract

L'articolo muove dalla considerazione di due contributi scritti da Alessandro Pace, a distanza di cinquant'anni l'uno dall'altro, sui temi dell'ordine pubblico e della sicurezza, temi che, dall'inizio del nuovo millennio e con fasi alterne, hanno suscitato un rinnovato interesse in corrispondenza dell'esplosione di episodi di terrorismo internazionale e delle migrazioni di massa. Nel primo contributo, risalente agli anni sessanta, l'Autore muove dalla considerazione che , mentre nel regime fascista, il concetto di ordine pubblico coincideva con la difesa dell'ordinamento politico costituito nello Stato, affidato ad apposita milizia e ad un Tribunale speciale, prevalente sui diritti, nell'ordinamento liberal-democratico disegnato dalla Costituzione repubblicana, in cui è riconosciuta la piena circolarità del potere e sono poste al centro le libertà, sarebbe illogico e contraddittorio ritenere sussistente un "ordine pubblico ideale" (corrispondente a "principi di regime") capace di legittimare generalizzate limitazioni di libertà, In questa prospettiva, si rivela criticabile l'indirizzo espresso dalla giurisprudenza costituzionale di quegli anni, volto a "recuperare" l'esistenza di un limite implicito alle libertà costituito dall'ordine pubblico del regime vigente, palesemente contrastante con i fondamenti del costituzionalismo garantista, che tutela la libertà fino al punto di lasciare ampio spazio alla critica e al dissenso nei confronti dei principi di regime. Dopo cinquant'anni, il quadro di riferimento relativo al rapporto fra sicurezza e libertà si è fatto più fosco, nonostante il percorso di attuazione della Costituzione. La stagione del terrorismo internazionale ha indotto molti autori a ravvisare, nelle maglie della Costituzione, i fondamenti (Impliciti) di un preteso diritto fondamentale alla sicurezza, coincidente con la pretesa ad un'attività statale di tutela preventiva da rischi e pericoli sociali, condizionante l'esercizio delle libertà. Un diritto che, lungi dal trovare le sue basi nelle dichiarazioni rivoluzionarie settecentesche, si rivela in aperto contrasto proprio con i principi del costituzionalismo garantista e nelle regole in cui quei principi si sono tradotti nella Costituzione italiana. In nome del preteso diritto alla sicurezza sono numerose le disposizioni introdotte, sulla scia di indicazioni europee e internazionali (che vengono richiamate), che hanno inciso pesantemente sui diritti, giustificando la normalizzazione dell'emergenza. Occorre, tuttavia, tener conto che, se è mutata la "percezione" della sicurezza, non sono mutate le disposizioni costituzionali che assegnano ad essa (e all'inespresso ordine pubblico) un posto preciso e limitato, volto ad assicurare solo la conservazione dello stato materiale di pace e a giustificare limiti alle libertà nei soli casi e modi in cui sia espressamente previsto.
2019
Giuffrè Francis Lefebvre
Nazionale
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