In this article, I propose a unitary vision that links vulnerability and autonomy together. The aim is to rethink a number of crucial issues related to justice. Firstly, I undertake an in-depth consideration of human vulnerability. By human beings, I understand instances of “embodied consciousness”, who inhabit the placedness of the world not simply by li- ving in it but also by living on it. Openness, exposure and exchange are ontological features through which human beings both receive and cause harm and injuries, but also receive and cause enjoyment and fulfillment. Secondly, I point out that the condition of human interdependency does not require us to give up the demand to pursue “autonomy”. On the contrary, autonomy needs to be rethought, by presenting it as something that is constitutively relational. Finally, I argue for the centrality of issues concerning justice, for human beings develop by constantly establishing relations with human and non-human alterities. The model of subordination, though, should be avoided. My aim is to go beyond the sterile opposition between context perspectives emphasized by care ethics and universalistic approaches endorsed by the ethics of rights. The goals are to build a world where everyone can live one’s ontological inter-dependency without paternalism or subordination, can be protected from avoidable vulnerabilities and have the opportunity to develop and to perform one’s autonomy. This raises issues about the distribution of goods in the social-economic sphere, but also on the management of social infrastructures and the recognitional practices in societies: which are all always placed.

“Vivere nel mondo”: ripensare la giustizia a partire dalla riconsiderazione della vulnerabilità e autonomia Il testo propone una visione unitaria che connette vulnerabilità e autonomia, nell’intento di ripensare il nesso che tali questioni cruciali hanno con la giustizia. Comprendendo l’essere umano come “coscienza incarnata” che abita la locicità del mondo non semplicemente vivendo in, ma di esso, in primo luogo cerca perciò di approfondire come debba pensarsi la vulnerabilità umana. Si precisa così che apertura, esposizione e scambio sono caratteristiche on- tologiche attraverso cui gli esseri umani possono ricevere e causare danni e mali ma anche soddisfazione e appa- gamento. In secondo luogo viene messo in luce che la condizione di interdipendenza degli esseri umani non richiede che si abbandoni l’esigenza di perseguire l’“autonomia”. Al contrario, si tratta di ripensarla: comprendendola come essenzialmente relazionale. Infine, poiché appunto gli esseri umani vivono di relazioni costitutive con le realtà umane e non umane, l’istanza di evitare subordinazione e dominio pone una questione di giustizia. L’intento, qui, è di andare oltre la sterile opposizione tra prospettiva contestuale, propria delle etiche della cura, e approccio universalistico, tipico delle etiche dei diritti. Se si intende costruire un mondo in cui ciascuno possa vivere la propria interdipendenza ontologica senza subire paternalismi o subordinazioni, in cui ciascuno possa essere protetto dalle vulnerabilità evi- tabili e avere l’opportunità di sviluppare e di agire la propria autonomia, si devono sollevare esigenze di distrubuzione di beni in ambito socio-economico, ma anche di gestione delle infrastrutture sociali e di riconsiderazione delle pra- tiche di riconoscimento, di cui una società vive: le relazioni sono, sempre, allocate in un luogo.

“Living on the world”: rethinking justice by reconsidering vulnerability and autonomy

C. Danani
2020-01-01

Abstract

In this article, I propose a unitary vision that links vulnerability and autonomy together. The aim is to rethink a number of crucial issues related to justice. Firstly, I undertake an in-depth consideration of human vulnerability. By human beings, I understand instances of “embodied consciousness”, who inhabit the placedness of the world not simply by li- ving in it but also by living on it. Openness, exposure and exchange are ontological features through which human beings both receive and cause harm and injuries, but also receive and cause enjoyment and fulfillment. Secondly, I point out that the condition of human interdependency does not require us to give up the demand to pursue “autonomy”. On the contrary, autonomy needs to be rethought, by presenting it as something that is constitutively relational. Finally, I argue for the centrality of issues concerning justice, for human beings develop by constantly establishing relations with human and non-human alterities. The model of subordination, though, should be avoided. My aim is to go beyond the sterile opposition between context perspectives emphasized by care ethics and universalistic approaches endorsed by the ethics of rights. The goals are to build a world where everyone can live one’s ontological inter-dependency without paternalism or subordination, can be protected from avoidable vulnerabilities and have the opportunity to develop and to perform one’s autonomy. This raises issues about the distribution of goods in the social-economic sphere, but also on the management of social infrastructures and the recognitional practices in societies: which are all always placed.
2020
Università Cattolica del Sacro Cuore
“Vivere nel mondo”: ripensare la giustizia a partire dalla riconsiderazione della vulnerabilità e autonomia Il testo propone una visione unitaria che connette vulnerabilità e autonomia, nell’intento di ripensare il nesso che tali questioni cruciali hanno con la giustizia. Comprendendo l’essere umano come “coscienza incarnata” che abita la locicità del mondo non semplicemente vivendo in, ma di esso, in primo luogo cerca perciò di approfondire come debba pensarsi la vulnerabilità umana. Si precisa così che apertura, esposizione e scambio sono caratteristiche on- tologiche attraverso cui gli esseri umani possono ricevere e causare danni e mali ma anche soddisfazione e appa- gamento. In secondo luogo viene messo in luce che la condizione di interdipendenza degli esseri umani non richiede che si abbandoni l’esigenza di perseguire l’“autonomia”. Al contrario, si tratta di ripensarla: comprendendola come essenzialmente relazionale. Infine, poiché appunto gli esseri umani vivono di relazioni costitutive con le realtà umane e non umane, l’istanza di evitare subordinazione e dominio pone una questione di giustizia. L’intento, qui, è di andare oltre la sterile opposizione tra prospettiva contestuale, propria delle etiche della cura, e approccio universalistico, tipico delle etiche dei diritti. Se si intende costruire un mondo in cui ciascuno possa vivere la propria interdipendenza ontologica senza subire paternalismi o subordinazioni, in cui ciascuno possa essere protetto dalle vulnerabilità evi- tabili e avere l’opportunità di sviluppare e di agire la propria autonomia, si devono sollevare esigenze di distrubuzione di beni in ambito socio-economico, ma anche di gestione delle infrastrutture sociali e di riconsiderazione delle pra- tiche di riconoscimento, di cui una società vive: le relazioni sono, sempre, allocate in un luogo.
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