Nel presente saggio, si ricostruisce l’orientamento recessivo della Corte di cassazione in ordine alle dichiarazioni spontanee rese dall’indagato alla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 350 co. 7 Cpp, fermo nel ritenere che tali informazioni, ricevute anche in assenza del difensore e senza l’avviso di poter esercitare il diritto al silenzio, siano utilizzabili nella fase procedimentale, e dunque nell'incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta. Secondo la Corte, le dichiarazioni rese spontaneamente rappresenterebbero la scelta personalissima dell’indagato di esporre liberamente la propria versione dei fatti, che in quanto tale giustificherebbe il venir meno della comunicazione in ordine ai diritti processuali che costituiscono lo schema minimo del diritto di difesa. L’Autrice, prendendo le mosse dalla disciplina generale di garanzia di cui agli artt. 63 e 64 Cpp, sottopone a critica tale impostazione, ritenendo che solo se l’indagato è conscio dei suoi diritti e delle conseguenze del proprio contegno dichiarativo può parlarsi di spontaneità. Le garanzie difensive predisposte dall’ordinamento devono, dunque, essere sempre assicurate, a maggior ragione nella fase più delicata, quella delle indagini preliminari, quando l’indagato entra in contatto con la polizia giudiziaria.
Le dichiarazioni spontanee alla polizia giudiziaria: il rischio di una pericolosa caduta per le garanzie dell’indagato
Bosco
2018-01-01
Abstract
Nel presente saggio, si ricostruisce l’orientamento recessivo della Corte di cassazione in ordine alle dichiarazioni spontanee rese dall’indagato alla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 350 co. 7 Cpp, fermo nel ritenere che tali informazioni, ricevute anche in assenza del difensore e senza l’avviso di poter esercitare il diritto al silenzio, siano utilizzabili nella fase procedimentale, e dunque nell'incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta. Secondo la Corte, le dichiarazioni rese spontaneamente rappresenterebbero la scelta personalissima dell’indagato di esporre liberamente la propria versione dei fatti, che in quanto tale giustificherebbe il venir meno della comunicazione in ordine ai diritti processuali che costituiscono lo schema minimo del diritto di difesa. L’Autrice, prendendo le mosse dalla disciplina generale di garanzia di cui agli artt. 63 e 64 Cpp, sottopone a critica tale impostazione, ritenendo che solo se l’indagato è conscio dei suoi diritti e delle conseguenze del proprio contegno dichiarativo può parlarsi di spontaneità. Le garanzie difensive predisposte dall’ordinamento devono, dunque, essere sempre assicurate, a maggior ragione nella fase più delicata, quella delle indagini preliminari, quando l’indagato entra in contatto con la polizia giudiziaria.File | Dimensione | Formato | |
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