Stiamo vivendo un cambio di paradigma. Sovente si ricorre all’espressione “l’attuale crisi economico-finanziaria”, ma la crisi è un fenomeno che si presenta di breve durata “un turbamento vasto e profondo nella vita di una collettività, di un gruppo, di una società, di uno Stato (e anche nella vicenda delle attività spirituali […] momento difficile e decisivo” dal quale si determinano “mutamenti, trasformazioni ingenti” (Battaglia, 2008). Considerando che l’anno prossimo ricorrerà il decimo anno dall’inizio della crisi finanziaria, sulla base della definizione data probabilmente si sta commettendo un errore a chiamare crisi l’attuale stato economico poiché questa situazione perdura ormai da troppo tempo. E’ in questo contesto che l’Associazione Nazionale Calzaturifici Italiani (ANCI) ed il Dipartimento di Economia e Diritto dell’Università degli Studi di Macerata (DED) hanno avviato una collaborazione volta ad approfondire come le imprese calzaturiere hanno affrontato le sfide dell’ultimo decennio e se sono individuabili best practice che possano essere considerate come punti di riferimento nello sviluppo non solo del settore calzaturiero, ma anche di quelli che presentano similarità competitive. Competizione, globalizzazione, burocrazia, crisi economica: sono alcuni dei problemi che il tessuto imprenditoriale si trova ad affrontare quotidianamente. La ricerca di strategie virtuose per migliorare produttività e forza competitiva delle imprese poggia su ricette che prendono in considerazione l’azienda nel suo complesso: l’organizzazione, l’offerta, le strategie di internazionalizzazione, la composizione delle fonti di finanziamento. In particolare, gli elementi che sono maggiormente ricorrenti riguardano: • l’aumento delle dimensioni tramite aggregazioni in un contesto globalizzato in cui la dimensione troppo piccola non consente di competere; • il rafforzamento del processo di innovazione in quanto le imprese italiane sono accusate di investire poco in ricerca e sviluppo; • la focalizzazione su produzioni a maggiore valore aggiunto in quanto la competizione di prezzo è perdente rispetto a offerte provenienti da altre aree del mondo; • l’implementazione di un processo di internazionalizzazione coerente con le capacità e le caratteristiche aziendali; • l’affermazione di un sistema manageriale alla guida dell’azienda; • il riequilibrio delle fonti di finanziamento attraverso un percorso di patrimonializzazione e diversificazione delle fonti di finanziamento, in modo da diminuire la dipendenza dal debito, soprattutto bancario e a breve termine. Tra le molteplici domande che è possibile porsi, risaltano le seguenti: • qual è stata la performance economico‐finanziaria delle imprese calzaturiere? • che grado di attenzione viene posta verso le problematiche della composizione delle fonti di finanziamento? • qual è la percezione del rapporto con gli intermediari finanziari bancari? • che grado di apertura presentano le imprese verso investitori professionali? • quanto hanno inciso il posizionamento di mercato e le strategie di marketing sulle performance? • quali criticità affrontano le imprese nel processo di internazionalizzazione e che risposte hanno trovato? Per rispondere ai quesiti è stata svolta un’analisi quantitativa e qualitativa. In particolare, sono state esaminate le performance attraverso l’elaborazione dei dati di bilancio del decennio 2005-2014, mentre le informazioni qualitative, sulla produzione, sui mercati, sulle strategie, sulle scelte di finanziamento, sulla percezione del rating, sulla relazione con gli intermediari finanziari e sull’apertura verso investitori esterni sono state acquisite tramite la somministrazione di un questionario e l’effettuazione di interviste. Lo studio mostra come il settore calzaturiero analizzato, relativo alle province di Ascoli Piceno, Fermo, Macerata, Ancona e Forlì-Cesena, abbia saputo rispondere alle turbolenze, mostrando nel complesso una crescita nel periodo. Le imprese hanno investito, sebbene meno di quanto desiderato, in un contesto di riduzione dell’incidenza delle fonti di finanziamento di terzi. La sottocapitalizzazione che caratterizza il tessuto imprenditoriale italiano, presente anche in quello calzaturiero, è migliorata grazie ad un contenimento dei debiti e all’incremento dei mezzi propri. Contemporaneamente si mantiene stabile la redditività conseguita dalle aziende, sebbene non assuma valori apprezzabili. Va ricordato che si tratta per la maggior parte di imprese a carattere familiare in cui la tensione verso la massimizzazione della performance aziendale è importante ma non è la priorità. Solo le imprese di maggiori dimensioni conseguono risultati apprezzabili. Proprio la variabile dimensionale rappresenta una discriminante importante, con le imprese maggiori che conseguono migliori risultati assoluti e dinamici sia in termini di crescita dei ricavi, di performance reddituali, sia in termini di solidità finanziaria. A supporto dell’analisi quantitativa, lo studio si è avvalso di un’indagine svolta attraverso interviste e questionario. Il risultato seppur relativo ad un numero di rispondenti più ristretto rispetto a quello iniziale riguardante una popolazione statistica più numerosa conferma alcune delle caratteristiche stilizzate dalla principale letteratura sul rapporto banca-impresa. In particolare, sebbene le imprese dichiarino di mostrare attenzione verso la determinazione quali-quantitativa del fabbisogno finanziario, a livello organizzativo, la funzione finanziaria appare concepita come residuale all'interno dell'organigramma, demandando a questa la mera funzione esecutiva. Ciò comporta che il rapporto sia orientato alla transazione e non alla relazione; la tipologia di informazioni processate riguarda solo marginalmente l'attività di pianificazione (sia annuale che pluriennale), con la presentazione di budget e piani industriali che risulta residuale. Coerentemente con quanto appena detto, tutte le imprese intrattengono rapporti con più banche. Di rilevanza preminente è il processo di internazionalizzazione, desumibile dal diffuso ricorso a intrattenere rapporti con operatori che hanno una dimensione internazionale oppure sono emanazione di soggetti stranieri. Nel complesso le imprese analizzate hanno espresso una valutazione positiva rispetto all’operato dell’intermediario di riferimento ed in generale verso gli intermediari con cui intrattengono rapporti. Occorre dire che questo giudizio va inserito nel contesto che vede l’utilizzo di prodotti e servizi di banking tradizionale e quasi assenti prodotti e servizi di investment banking. Viene confermato il problema avvertito dalle imprese rispetto alla distanza tra impresa e organo deliberante dell’intermediario, auspicando l’accorciamento della catena di controllo nel rapporto con l’intermediario, in modo che l’imprenditore possa percepire appieno l’importanza di quest’area, permettendo l’affermazione di un rapporto relazionale. Il ricorso a società specializzate in leasing ed in factoring è diffuso, sebbene non esteso a tutte le realtà esaminate. Diverse imprese ricorrono ai confidi, mentre nessuna ha avuto rapporti con intermediari professionali nell’investimento in capitale di rischio. Le imprese partecipanti alle interviste dichiarano di non aver subito razionamento del credito, ma sovente una revisione dei fidi. In termini di servizi e prodotti, come già accennato, si constata un limitato livello di innovazione. Per esempio pur operando su mercati internazionali non si riscontra il ricorso all’utilizzo di strumenti derivati che permettano di coprire direttamente o indirettamente l’azienda dall’andamento avverso nei tassi di cambio. Pressoché nulla è l’apertura ad investitori esterni. La spiegazione di questo risultato deriva dal fatto che c'è una visione della proprietà che tende a mantenere la sua unicità; si tratta di imprese gestite su base familiare dove l’abitudine ad operare in un contesto autonomo, mal si concilia con modelli in cui le decisioni devono essere prese su una base allargata. Sul fronte delle strategie di internazionalizzazione, si nota come la presenza nei mercati internazionali sia ormai un dato di fatto per le imprese del settore, anche se ad aver accumulato una maggiore esperienza oltre confine sono state soprattutto le imprese di medie, medio-grandi dimensioni. Le aree di sbocco privilegiate sono principalmente quelle con minor distanza culturale e geografica, essenzialmente i principali stati europei. Anche in questo caso sono le aziende di dimensioni maggiori ad aver rivolto l’attenzione a mercati differenti, principalmente i paesi BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), mentre ancora poco viene invece fatto in Medio Oriente e Sud Africa. In ottica prospettica due elementi preoccupano: l’efficacia delle strategie competitive ed il raggiungimento di solide condizioni di equilibrio finanziario. Per quanto concerne le strategie competitive, ancora poche sono le aziende che affrontano i mercati, soprattutto quelli internazionali, in ottica proattiva. L’innovazione è principalmente legata alla realizzazione dei campionari della stagione successiva e la spinta all’internazionalizzazione è soprattutto collegata al reperimento di nuovi mercati di sbocco. Dunque è di carattere strettamente commerciale. La produzione di calzature è soprattutto interna o al più si poggia sulla collaborazione di aziende distrettuali. Pochi sono gli esempi di delocalizzazione produttiva: essa si concentra solitamente su alcune fasi produttive (taglio laser delle pelli, attaccatura del tacco, lavorazione delle tomaie). Le principali difficoltà incontrate nell’attività internazionali sono dovute alla presenza di barriere tariffarie e all’instabilità economica di alcuni paesi. Poco sentito come elemento di criticità è la distanza culturale, probabilmente a ragione del forte significato attribuito al Made in Italy delle calzature, che rende meglio comprensibile l’offerta e più semplice la penetrazione internazionale. Una scarsa proattività emerge anche dall’interpretazione delle scelte relative alle modalità di ingresso sui mercati oltre confine. Prevale l’esportazione diretta, spesso realizzata dalla sede produttiva e commerciale dell’azienda, quindi dall’Italia verso i clienti esteri. Essa non si configura come una scelta aziendale, quanto come il risultato della ricezione di ordini non sollecitati, oppure come conseguenza di accordi firmati con partner stranieri (importatori o distributori locali). Ancora, con il crescere della dimensione aziendale corrisponde la scelta di modalità di ingresso che comprendano, in mix, anche forme che consentono un maggiore controllo del mercato estero. Da ultimo, in riferimento alle strategie di marketing, risulta in aumento la percezione dell’importanza di strutturare le proprie azioni e decisioni in termini di prezzo, prodotto, comunicazione, distribuzione e assistenza secondo criteri di localizzazione. Cresce la consapevolezza che le esigenze internazionali sono variegate e che anche in questo settore si pone il problema di avvicinarsi al cliente e alle peculiarità fisiche e culturali. Quanto alla strategia di composizione delle fonti di finanziamento, questo aspetto tocca un ambito ampio e variegato che spazia dalla cultura finanziaria al tema della comunicazione, elementi fondamentali della “buona gestione” e basilari per lo sviluppo di una relazione trasparente con gli stakeholder finanziari, primi tra tutti gli intermediari bancari. Il credito bancario, rappresenta la fonte principale di finanziamento per le piccole e medie imprese italiane, stante l’elevata frammentazione del tessuto industriale nazionale e la mancanza di mercati finanziari coerenti e adeguati con la piccola dimensione. La drastica riduzione degli affidamenti registratasi a seguito della crisi globale ha portato molte aziende a ridurre e addirittura in molti casi ad annullare i propri piani di sviluppo. Appare evidente come il mercato del credito sia destinato a cambiare i propri parametri operativi, con il processo di affidamento meno fondato sulla logica di un rapporto bilaterale, in cui le garanzie hanno un ruolo centrale, e più su una logica di mercato, in cui la comprensione della natura dei fabbisogni finanziari e delle possibili risposte nonché la capacità di relazionarsi con una platea di interlocutori che si sta evolvendo appare acquisire rilevanza fondamentale. Le imprese calzaturiere mostrano in larga parte elementi di solidità, ma in molti casi si caratterizzano per un atteggiamento attendista, vengono rinviati processi di investimento, confermano l’approccio individualista, tipico del capitalismo italiano, applicando in rari casi una visione di sistema. Emerge un panorama in cui sul fronte delle fonti di finanziamento si confermano, in larga parte, le problematiche del tessuto imprenditoriale italiano ossia sottocapitalizzazione e contenuta cultura finanziaria. Una grandezza chiave, che rappresenta uno spartiacque, è quella della dimensione: le imprese più grandi sono quelle che conseguono performance migliori, presentano fonti di finanziamento più diversificate ed un maggior grado di patrimonializzazione. Il cambiamento di paradigma comporta che la competizione sui mercati non si possa affrontare solamente attraverso la qualità del prodotto. Occorre investire nel trasferimento tecnologico, nel processo produttivo, nella catena distributiva, fino a giungere a considerare anche il sistema dei trasporti. Questi investimenti richiedono un’organizzazione che presenti elevati livelli di preparazione manageriale e fondi, poiché è evidente che solo attraverso la prima si possano reperire i secondi. In questo senso la dimensione rappresenta un elemento fondamentale, da raggiungere attraverso processi di aggregazione per fusione o accordi contrattuali, che possono avvenire solo in un contesto manageriale in cui l’obiettivo sia di lungo periodo. Collegato a quanto appena detto è l’aspetto che riguarda le risorse umane. L’attuale ciclo economico indica che ci troviamo in una situazione controversa in cui ci sono aziende che riducono il personale e altre, invece, che lo desiderano aumentare. Di fatto già da alcuni anni diverse imprese stanno affrontando una situazione che assumerà maggior rilevanza nell’arco di un decennio: il rischio di perdita di professionalità a causa dell’incapacità di riuscire a sostituire quei lavoratori che escono dalla fase lavorativa per ragioni anagrafiche e che sono quelli che permettono di ottenere un prodotto artigianale di elevato standard. Ed allora, agli investimenti che le imprese devono compiere se ne deve aggiungere uno che riguarda l’ambito scuola-lavoro-università, in cui le imprese supportano ulteriormente la scuola di formazione, per diffondere tra i giovani la cultura del lavoro manuale ultra-qualificato, mentre l’università crea percorsi mirati per formare personale qualificato capace di affrontare le mutazioni del mercato, per esempio, esperti in marketing, e tesorieri d’impresa. È in questo contesto che l’ANCI ed il Dipartimento di Economia e Diritto dell’Università degli Studi di Macerata, hanno dato avvio ad un percorso di cui questo studio rappresenta un primo momento.

Le strategie di internazionalizzazione e posizionamento di mercato delle imprese

CEDROLA, ELENA
2016-01-01

Abstract

Stiamo vivendo un cambio di paradigma. Sovente si ricorre all’espressione “l’attuale crisi economico-finanziaria”, ma la crisi è un fenomeno che si presenta di breve durata “un turbamento vasto e profondo nella vita di una collettività, di un gruppo, di una società, di uno Stato (e anche nella vicenda delle attività spirituali […] momento difficile e decisivo” dal quale si determinano “mutamenti, trasformazioni ingenti” (Battaglia, 2008). Considerando che l’anno prossimo ricorrerà il decimo anno dall’inizio della crisi finanziaria, sulla base della definizione data probabilmente si sta commettendo un errore a chiamare crisi l’attuale stato economico poiché questa situazione perdura ormai da troppo tempo. E’ in questo contesto che l’Associazione Nazionale Calzaturifici Italiani (ANCI) ed il Dipartimento di Economia e Diritto dell’Università degli Studi di Macerata (DED) hanno avviato una collaborazione volta ad approfondire come le imprese calzaturiere hanno affrontato le sfide dell’ultimo decennio e se sono individuabili best practice che possano essere considerate come punti di riferimento nello sviluppo non solo del settore calzaturiero, ma anche di quelli che presentano similarità competitive. Competizione, globalizzazione, burocrazia, crisi economica: sono alcuni dei problemi che il tessuto imprenditoriale si trova ad affrontare quotidianamente. La ricerca di strategie virtuose per migliorare produttività e forza competitiva delle imprese poggia su ricette che prendono in considerazione l’azienda nel suo complesso: l’organizzazione, l’offerta, le strategie di internazionalizzazione, la composizione delle fonti di finanziamento. In particolare, gli elementi che sono maggiormente ricorrenti riguardano: • l’aumento delle dimensioni tramite aggregazioni in un contesto globalizzato in cui la dimensione troppo piccola non consente di competere; • il rafforzamento del processo di innovazione in quanto le imprese italiane sono accusate di investire poco in ricerca e sviluppo; • la focalizzazione su produzioni a maggiore valore aggiunto in quanto la competizione di prezzo è perdente rispetto a offerte provenienti da altre aree del mondo; • l’implementazione di un processo di internazionalizzazione coerente con le capacità e le caratteristiche aziendali; • l’affermazione di un sistema manageriale alla guida dell’azienda; • il riequilibrio delle fonti di finanziamento attraverso un percorso di patrimonializzazione e diversificazione delle fonti di finanziamento, in modo da diminuire la dipendenza dal debito, soprattutto bancario e a breve termine. Tra le molteplici domande che è possibile porsi, risaltano le seguenti: • qual è stata la performance economico‐finanziaria delle imprese calzaturiere? • che grado di attenzione viene posta verso le problematiche della composizione delle fonti di finanziamento? • qual è la percezione del rapporto con gli intermediari finanziari bancari? • che grado di apertura presentano le imprese verso investitori professionali? • quanto hanno inciso il posizionamento di mercato e le strategie di marketing sulle performance? • quali criticità affrontano le imprese nel processo di internazionalizzazione e che risposte hanno trovato? Per rispondere ai quesiti è stata svolta un’analisi quantitativa e qualitativa. In particolare, sono state esaminate le performance attraverso l’elaborazione dei dati di bilancio del decennio 2005-2014, mentre le informazioni qualitative, sulla produzione, sui mercati, sulle strategie, sulle scelte di finanziamento, sulla percezione del rating, sulla relazione con gli intermediari finanziari e sull’apertura verso investitori esterni sono state acquisite tramite la somministrazione di un questionario e l’effettuazione di interviste. Lo studio mostra come il settore calzaturiero analizzato, relativo alle province di Ascoli Piceno, Fermo, Macerata, Ancona e Forlì-Cesena, abbia saputo rispondere alle turbolenze, mostrando nel complesso una crescita nel periodo. Le imprese hanno investito, sebbene meno di quanto desiderato, in un contesto di riduzione dell’incidenza delle fonti di finanziamento di terzi. La sottocapitalizzazione che caratterizza il tessuto imprenditoriale italiano, presente anche in quello calzaturiero, è migliorata grazie ad un contenimento dei debiti e all’incremento dei mezzi propri. Contemporaneamente si mantiene stabile la redditività conseguita dalle aziende, sebbene non assuma valori apprezzabili. Va ricordato che si tratta per la maggior parte di imprese a carattere familiare in cui la tensione verso la massimizzazione della performance aziendale è importante ma non è la priorità. Solo le imprese di maggiori dimensioni conseguono risultati apprezzabili. Proprio la variabile dimensionale rappresenta una discriminante importante, con le imprese maggiori che conseguono migliori risultati assoluti e dinamici sia in termini di crescita dei ricavi, di performance reddituali, sia in termini di solidità finanziaria. A supporto dell’analisi quantitativa, lo studio si è avvalso di un’indagine svolta attraverso interviste e questionario. Il risultato seppur relativo ad un numero di rispondenti più ristretto rispetto a quello iniziale riguardante una popolazione statistica più numerosa conferma alcune delle caratteristiche stilizzate dalla principale letteratura sul rapporto banca-impresa. In particolare, sebbene le imprese dichiarino di mostrare attenzione verso la determinazione quali-quantitativa del fabbisogno finanziario, a livello organizzativo, la funzione finanziaria appare concepita come residuale all'interno dell'organigramma, demandando a questa la mera funzione esecutiva. Ciò comporta che il rapporto sia orientato alla transazione e non alla relazione; la tipologia di informazioni processate riguarda solo marginalmente l'attività di pianificazione (sia annuale che pluriennale), con la presentazione di budget e piani industriali che risulta residuale. Coerentemente con quanto appena detto, tutte le imprese intrattengono rapporti con più banche. Di rilevanza preminente è il processo di internazionalizzazione, desumibile dal diffuso ricorso a intrattenere rapporti con operatori che hanno una dimensione internazionale oppure sono emanazione di soggetti stranieri. Nel complesso le imprese analizzate hanno espresso una valutazione positiva rispetto all’operato dell’intermediario di riferimento ed in generale verso gli intermediari con cui intrattengono rapporti. Occorre dire che questo giudizio va inserito nel contesto che vede l’utilizzo di prodotti e servizi di banking tradizionale e quasi assenti prodotti e servizi di investment banking. Viene confermato il problema avvertito dalle imprese rispetto alla distanza tra impresa e organo deliberante dell’intermediario, auspicando l’accorciamento della catena di controllo nel rapporto con l’intermediario, in modo che l’imprenditore possa percepire appieno l’importanza di quest’area, permettendo l’affermazione di un rapporto relazionale. Il ricorso a società specializzate in leasing ed in factoring è diffuso, sebbene non esteso a tutte le realtà esaminate. Diverse imprese ricorrono ai confidi, mentre nessuna ha avuto rapporti con intermediari professionali nell’investimento in capitale di rischio. Le imprese partecipanti alle interviste dichiarano di non aver subito razionamento del credito, ma sovente una revisione dei fidi. In termini di servizi e prodotti, come già accennato, si constata un limitato livello di innovazione. Per esempio pur operando su mercati internazionali non si riscontra il ricorso all’utilizzo di strumenti derivati che permettano di coprire direttamente o indirettamente l’azienda dall’andamento avverso nei tassi di cambio. Pressoché nulla è l’apertura ad investitori esterni. La spiegazione di questo risultato deriva dal fatto che c'è una visione della proprietà che tende a mantenere la sua unicità; si tratta di imprese gestite su base familiare dove l’abitudine ad operare in un contesto autonomo, mal si concilia con modelli in cui le decisioni devono essere prese su una base allargata. Sul fronte delle strategie di internazionalizzazione, si nota come la presenza nei mercati internazionali sia ormai un dato di fatto per le imprese del settore, anche se ad aver accumulato una maggiore esperienza oltre confine sono state soprattutto le imprese di medie, medio-grandi dimensioni. Le aree di sbocco privilegiate sono principalmente quelle con minor distanza culturale e geografica, essenzialmente i principali stati europei. Anche in questo caso sono le aziende di dimensioni maggiori ad aver rivolto l’attenzione a mercati differenti, principalmente i paesi BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), mentre ancora poco viene invece fatto in Medio Oriente e Sud Africa. In ottica prospettica due elementi preoccupano: l’efficacia delle strategie competitive ed il raggiungimento di solide condizioni di equilibrio finanziario. Per quanto concerne le strategie competitive, ancora poche sono le aziende che affrontano i mercati, soprattutto quelli internazionali, in ottica proattiva. L’innovazione è principalmente legata alla realizzazione dei campionari della stagione successiva e la spinta all’internazionalizzazione è soprattutto collegata al reperimento di nuovi mercati di sbocco. Dunque è di carattere strettamente commerciale. La produzione di calzature è soprattutto interna o al più si poggia sulla collaborazione di aziende distrettuali. Pochi sono gli esempi di delocalizzazione produttiva: essa si concentra solitamente su alcune fasi produttive (taglio laser delle pelli, attaccatura del tacco, lavorazione delle tomaie). Le principali difficoltà incontrate nell’attività internazionali sono dovute alla presenza di barriere tariffarie e all’instabilità economica di alcuni paesi. Poco sentito come elemento di criticità è la distanza culturale, probabilmente a ragione del forte significato attribuito al Made in Italy delle calzature, che rende meglio comprensibile l’offerta e più semplice la penetrazione internazionale. Una scarsa proattività emerge anche dall’interpretazione delle scelte relative alle modalità di ingresso sui mercati oltre confine. Prevale l’esportazione diretta, spesso realizzata dalla sede produttiva e commerciale dell’azienda, quindi dall’Italia verso i clienti esteri. Essa non si configura come una scelta aziendale, quanto come il risultato della ricezione di ordini non sollecitati, oppure come conseguenza di accordi firmati con partner stranieri (importatori o distributori locali). Ancora, con il crescere della dimensione aziendale corrisponde la scelta di modalità di ingresso che comprendano, in mix, anche forme che consentono un maggiore controllo del mercato estero. Da ultimo, in riferimento alle strategie di marketing, risulta in aumento la percezione dell’importanza di strutturare le proprie azioni e decisioni in termini di prezzo, prodotto, comunicazione, distribuzione e assistenza secondo criteri di localizzazione. Cresce la consapevolezza che le esigenze internazionali sono variegate e che anche in questo settore si pone il problema di avvicinarsi al cliente e alle peculiarità fisiche e culturali. Quanto alla strategia di composizione delle fonti di finanziamento, questo aspetto tocca un ambito ampio e variegato che spazia dalla cultura finanziaria al tema della comunicazione, elementi fondamentali della “buona gestione” e basilari per lo sviluppo di una relazione trasparente con gli stakeholder finanziari, primi tra tutti gli intermediari bancari. Il credito bancario, rappresenta la fonte principale di finanziamento per le piccole e medie imprese italiane, stante l’elevata frammentazione del tessuto industriale nazionale e la mancanza di mercati finanziari coerenti e adeguati con la piccola dimensione. La drastica riduzione degli affidamenti registratasi a seguito della crisi globale ha portato molte aziende a ridurre e addirittura in molti casi ad annullare i propri piani di sviluppo. Appare evidente come il mercato del credito sia destinato a cambiare i propri parametri operativi, con il processo di affidamento meno fondato sulla logica di un rapporto bilaterale, in cui le garanzie hanno un ruolo centrale, e più su una logica di mercato, in cui la comprensione della natura dei fabbisogni finanziari e delle possibili risposte nonché la capacità di relazionarsi con una platea di interlocutori che si sta evolvendo appare acquisire rilevanza fondamentale. Le imprese calzaturiere mostrano in larga parte elementi di solidità, ma in molti casi si caratterizzano per un atteggiamento attendista, vengono rinviati processi di investimento, confermano l’approccio individualista, tipico del capitalismo italiano, applicando in rari casi una visione di sistema. Emerge un panorama in cui sul fronte delle fonti di finanziamento si confermano, in larga parte, le problematiche del tessuto imprenditoriale italiano ossia sottocapitalizzazione e contenuta cultura finanziaria. Una grandezza chiave, che rappresenta uno spartiacque, è quella della dimensione: le imprese più grandi sono quelle che conseguono performance migliori, presentano fonti di finanziamento più diversificate ed un maggior grado di patrimonializzazione. Il cambiamento di paradigma comporta che la competizione sui mercati non si possa affrontare solamente attraverso la qualità del prodotto. Occorre investire nel trasferimento tecnologico, nel processo produttivo, nella catena distributiva, fino a giungere a considerare anche il sistema dei trasporti. Questi investimenti richiedono un’organizzazione che presenti elevati livelli di preparazione manageriale e fondi, poiché è evidente che solo attraverso la prima si possano reperire i secondi. In questo senso la dimensione rappresenta un elemento fondamentale, da raggiungere attraverso processi di aggregazione per fusione o accordi contrattuali, che possono avvenire solo in un contesto manageriale in cui l’obiettivo sia di lungo periodo. Collegato a quanto appena detto è l’aspetto che riguarda le risorse umane. L’attuale ciclo economico indica che ci troviamo in una situazione controversa in cui ci sono aziende che riducono il personale e altre, invece, che lo desiderano aumentare. Di fatto già da alcuni anni diverse imprese stanno affrontando una situazione che assumerà maggior rilevanza nell’arco di un decennio: il rischio di perdita di professionalità a causa dell’incapacità di riuscire a sostituire quei lavoratori che escono dalla fase lavorativa per ragioni anagrafiche e che sono quelli che permettono di ottenere un prodotto artigianale di elevato standard. Ed allora, agli investimenti che le imprese devono compiere se ne deve aggiungere uno che riguarda l’ambito scuola-lavoro-università, in cui le imprese supportano ulteriormente la scuola di formazione, per diffondere tra i giovani la cultura del lavoro manuale ultra-qualificato, mentre l’università crea percorsi mirati per formare personale qualificato capace di affrontare le mutazioni del mercato, per esempio, esperti in marketing, e tesorieri d’impresa. È in questo contesto che l’ANCI ed il Dipartimento di Economia e Diritto dell’Università degli Studi di Macerata, hanno dato avvio ad un percorso di cui questo studio rappresenta un primo momento.
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