Il presente contributo intende analizzare da una prospettiva eccentrica in che modo si cercò di costruire una nuova identità di genere maschile cercando di contrastare la vera e propria militarizzazione dell’immaginario infantile promossa dal regime fascista e definitivamente imposta dall’irruzione della guerra totale nel fronte interno, anche attraverso una accanita campagna di stampa per il disarmo del giocattolo italiano. In un paese che stava cercando di riemergere dalle rovine del conflitto appena terminato, con un elevatissimo tasso di mortalità e/o minorazione fisica infantile a causa della deflagrazione di ordigni bellici inesplosi, la lotta contro la proliferazione delle armi giocattolo assunse un elevato valore simbolico. Fu una lotta – come già era accaduto anche per i giornali a fumetti e per il cinema – condotta su più fronti, spesso politicamente contrapposti: tanto i cattolici quanto i comunisti e le rispettive organizzazioni femminili, infatti, si impegnarono a boicottare i cosiddetti «giocattoli di guerra»; dall’altra parte, le associazioni di categoria che riunivano gli industriali del giocattolo cercarono di difendere strenuamente i propri prodotti, dichiarandone l’inoffensività e presentandoli inoltre come possibile volano della ripresa economica nazionale. Sullo sfondo di questo scontro aleggiavano lo spettro della guerra fredda, la corsa agli armamenti e i pacifismi di diversa impronta, ma si affermava anche con sempre maggiore forza l’esigenza di mettere definitivamente da parte balilla e sciuscià e costruire un nuovo modello d’infanzia democratica, che – come prescriveva la carta fondamentale del nuovo stato repubblicano – ripudiasse i conflitti «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

«Non giocate col fuoco!». L’infanzia italiana, la ridefinizione dell’identità di genere maschile e la campagna per il disarmo del giocattolo (1946-1956)

MEDA, JURI
2014-01-01

Abstract

Il presente contributo intende analizzare da una prospettiva eccentrica in che modo si cercò di costruire una nuova identità di genere maschile cercando di contrastare la vera e propria militarizzazione dell’immaginario infantile promossa dal regime fascista e definitivamente imposta dall’irruzione della guerra totale nel fronte interno, anche attraverso una accanita campagna di stampa per il disarmo del giocattolo italiano. In un paese che stava cercando di riemergere dalle rovine del conflitto appena terminato, con un elevatissimo tasso di mortalità e/o minorazione fisica infantile a causa della deflagrazione di ordigni bellici inesplosi, la lotta contro la proliferazione delle armi giocattolo assunse un elevato valore simbolico. Fu una lotta – come già era accaduto anche per i giornali a fumetti e per il cinema – condotta su più fronti, spesso politicamente contrapposti: tanto i cattolici quanto i comunisti e le rispettive organizzazioni femminili, infatti, si impegnarono a boicottare i cosiddetti «giocattoli di guerra»; dall’altra parte, le associazioni di categoria che riunivano gli industriali del giocattolo cercarono di difendere strenuamente i propri prodotti, dichiarandone l’inoffensività e presentandoli inoltre come possibile volano della ripresa economica nazionale. Sullo sfondo di questo scontro aleggiavano lo spettro della guerra fredda, la corsa agli armamenti e i pacifismi di diversa impronta, ma si affermava anche con sempre maggiore forza l’esigenza di mettere definitivamente da parte balilla e sciuscià e costruire un nuovo modello d’infanzia democratica, che – come prescriveva la carta fondamentale del nuovo stato repubblicano – ripudiasse i conflitti «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
2014
VIELLA
Nazionale
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