Il presente lavoro si propone di analizzare i principali momenti della riflessione politico-costituzionale di Andrea Caffi, soffermandosi in particolare sulla sua proposta federalista. Per raggiungere tale obiettivo ci si confronterà con un corpus pubblicistico ampio e disorganico, disperso tra corrispondenze epistolari, articoli, collaborazioni a riviste e contributi vari. Il rapporto di Caffi con la politica conosce diverse fasi, caratterizzate da un certo andamento altalenante, di cui il lavoro di tesi proverà a dar conto. Iniziò da giovane con la sua militanza nel movimento rivoluzionario russo, al quale egli attribuiva il valore di un fenomeno d’avanguardia, capace di una trasformazione radicale della realtà attraverso l’azione politica, contribuendo così al rinnovamento dell’intera civiltà europea. Durante la sua vita Caffi nutrì un forte interesse verso l’esperienza di “Giustizia e Libertà” e le azioni intraprese da quest’ultima nell’ambito dell’antifascismo, diffidando tuttavia di alcuni strumenti, soprattutto della cospirazione e dell’ideologizzazione dell’antifascismo, che invece costituirono elementi chiave delle esperienze di “GL”. Motivo questo che lo condusse tra il ’35 e il ’36 a prendere le distanze dal movimento, determinando una vera e propria rottura all’interno dello stesso. In contrasto con altri esponenti di “GL”, Caffi non condivideva assolutamente l’analisi che riconduceva la crisi della civiltà europea alla presenza del fascismo. Egli collocava infatti tale fenomeno all’interno di una valutazione più generale su una crisi di civiltà che non nasceva nel ’22 ma nel 1914, con la Grande Guerra, considerata come il momento di frattura vero, di cui la Rivoluzione russa nel ’17, la nascita del fascismo nel ’22 e del nazismo nel ’33 erano state delle conseguenze, delle ripercussioni di lungo periodo, ma non la matrice originaria. Di conseguenza, egli metteva in guardia dal considerare risolta la crisi nel momento in cui il fascismo fosse stato sconfitto. Caffi attribuiva un ruolo fondamentale alla cultura e agli intellettuali nei processi di trasformazione della società. Riteneva che le forme di partecipazione e di auto-organizzazione della società, di coinvolgimento delle masse popolari, dovessero essere sempre guidate dalle élites di tipo intellettuale. Nell’ambito culturale e politico l’impegno di Caffi si caratterizza per il rifiuto del totalitarismo, la critica radicale all’idea dello Stato-nazione ed una concezione per molti versi originale del socialismo libertario. Animato da un sentimento fortemente critico verso gli elementi autodistruttivi del capitalismo e della cosiddetta economia di mercato, egli è attento agli effetti devastanti della meccanizzazione del mondo contemporaneo, ai processi di desacralizzazione della società provocati dalla modernizzazione, dalla cultura di massa e dalla mercificazione del prodotto culturale. La pubblicità e i mezzi di comunicazione di massa – secondo il suo pensiero – contribuiscono a modificare la percezione sociale, a corrompere qualità e critica, a falsificare la realtà. Caffi delinea una concezione della politica che non si esprime soltanto attraverso il comando o l’esercizio del potere, ma che è al contrario resistenza al comando ed educazione all’autogoverno. Egli sottolinea al tempo stesso l’irriducibilità dello spirito umano alle forze brute del potere e agli automatismi dell’organizzazione del lavoro, nonché l’importanza del mito nelle aspettative e nei comportamenti degli uomini. Nell’età dei totalitarismi e del nichilismo, il socialismo avrebbe dovuto trovare il suo terreno d’intesa più congeniale nel rifiuto del darwinismo sociale e nella riduzione della violenza. Il modello che egli propone è quello federativo, antistatalista, fondato dunque sul completo superamento dell’idea di sovranità dello Stato-nazione. Secondo Caffi lo Stato nazione deve essere privato della sua sovranità a favore degli organismi sovranazionali da un lato, e degli enti autonomi e associazioni di carattere politico, economico, culturale, dall’altro. A questi ultimi vanno trasferite funzioni di unità sociale e allo Stato va tolto il monopolio del diritto, passandosi cosi dal diritto statale al diritto sociale, secondo il quale gli enti e le associazioni in cui la società si articola devono produrre da sé il diritto per autogovernarsi. Ma l’idea caffiana di federalismo si coniuga con il riconoscimento delle identità nazionali e con il senso del radicamento, una condizione che risponde alla necessità di riconoscersi in un passato, nel bisogno di una identità collettiva. Sono questi alcuni dei tratti di maggior interesse per la storia delle idee e dei processi politici e costituzionali che il pensiero di Caffi conserva, a dispetto dei seppur innegabili tratti di disomogeneità della sua riflessione complessiva. Finora la situazione degli studi che lo riguardano è stata largamente insoddisfacente. Solo un filone marginale e isolato della cultura italiana, che faceva capo a “Tempo presente” di Nicola Chiaromonte e Ignazio Silone, tra il 1956 e il 1968, coltivò la memoria di Caffi, favorendo la diffusione dei suoi scritti, pubblicati, in due raccolte, nel 1964 e nel 1970. Il suo primo ritratto biografico fu offerto nel 1977 dalla breve opera di Gino Bianco, Un socialista “irregolare”. Andrea Caffi: politico e intellettuale d’avanguardia, che contemperava testimonianze e ricerca storica. Scritti di Caffi sono sparsi in riviste e giornali italiani, francesi, russi, americani. Ma è nelle lunghe lettere agli amici, nelle note innumerevoli che usava scrivere a commento dei loro scritti, o per chiarire loro il pensiero espresso in conversazione, che si trova forse quel che di più significativo rimane della sua personalità. D’altronde, l’attività intellettuale di Caffi fu impostata sulla centralità della dimensione dialogica, ispirandosi ai modelli culturali dell’antica Grecia e dell’intelligencija russa ottocentesca, che attribuivano un ruolo fondamentale al colloquio personale. Caffi continua senza dubbio ad essere una figura per certi versi elusiva. La sua elusività dipende essenzialmente dal senso di appartenenza ad una minoranza in esilio e clandestina o semi-clandestina, ad una élite rivoluzionaria ‘sotterranea’, ad una ‘aristocrazia’ intellettuale sradicata e perseguitata: in un senso peculiarmente russo, fu un ‘uomo del sottosuolo’.

Stato, governo, società nel pensiero politico di Andrea Caffi

AGO, AULONA
2014-01-01

Abstract

Il presente lavoro si propone di analizzare i principali momenti della riflessione politico-costituzionale di Andrea Caffi, soffermandosi in particolare sulla sua proposta federalista. Per raggiungere tale obiettivo ci si confronterà con un corpus pubblicistico ampio e disorganico, disperso tra corrispondenze epistolari, articoli, collaborazioni a riviste e contributi vari. Il rapporto di Caffi con la politica conosce diverse fasi, caratterizzate da un certo andamento altalenante, di cui il lavoro di tesi proverà a dar conto. Iniziò da giovane con la sua militanza nel movimento rivoluzionario russo, al quale egli attribuiva il valore di un fenomeno d’avanguardia, capace di una trasformazione radicale della realtà attraverso l’azione politica, contribuendo così al rinnovamento dell’intera civiltà europea. Durante la sua vita Caffi nutrì un forte interesse verso l’esperienza di “Giustizia e Libertà” e le azioni intraprese da quest’ultima nell’ambito dell’antifascismo, diffidando tuttavia di alcuni strumenti, soprattutto della cospirazione e dell’ideologizzazione dell’antifascismo, che invece costituirono elementi chiave delle esperienze di “GL”. Motivo questo che lo condusse tra il ’35 e il ’36 a prendere le distanze dal movimento, determinando una vera e propria rottura all’interno dello stesso. In contrasto con altri esponenti di “GL”, Caffi non condivideva assolutamente l’analisi che riconduceva la crisi della civiltà europea alla presenza del fascismo. Egli collocava infatti tale fenomeno all’interno di una valutazione più generale su una crisi di civiltà che non nasceva nel ’22 ma nel 1914, con la Grande Guerra, considerata come il momento di frattura vero, di cui la Rivoluzione russa nel ’17, la nascita del fascismo nel ’22 e del nazismo nel ’33 erano state delle conseguenze, delle ripercussioni di lungo periodo, ma non la matrice originaria. Di conseguenza, egli metteva in guardia dal considerare risolta la crisi nel momento in cui il fascismo fosse stato sconfitto. Caffi attribuiva un ruolo fondamentale alla cultura e agli intellettuali nei processi di trasformazione della società. Riteneva che le forme di partecipazione e di auto-organizzazione della società, di coinvolgimento delle masse popolari, dovessero essere sempre guidate dalle élites di tipo intellettuale. Nell’ambito culturale e politico l’impegno di Caffi si caratterizza per il rifiuto del totalitarismo, la critica radicale all’idea dello Stato-nazione ed una concezione per molti versi originale del socialismo libertario. Animato da un sentimento fortemente critico verso gli elementi autodistruttivi del capitalismo e della cosiddetta economia di mercato, egli è attento agli effetti devastanti della meccanizzazione del mondo contemporaneo, ai processi di desacralizzazione della società provocati dalla modernizzazione, dalla cultura di massa e dalla mercificazione del prodotto culturale. La pubblicità e i mezzi di comunicazione di massa – secondo il suo pensiero – contribuiscono a modificare la percezione sociale, a corrompere qualità e critica, a falsificare la realtà. Caffi delinea una concezione della politica che non si esprime soltanto attraverso il comando o l’esercizio del potere, ma che è al contrario resistenza al comando ed educazione all’autogoverno. Egli sottolinea al tempo stesso l’irriducibilità dello spirito umano alle forze brute del potere e agli automatismi dell’organizzazione del lavoro, nonché l’importanza del mito nelle aspettative e nei comportamenti degli uomini. Nell’età dei totalitarismi e del nichilismo, il socialismo avrebbe dovuto trovare il suo terreno d’intesa più congeniale nel rifiuto del darwinismo sociale e nella riduzione della violenza. Il modello che egli propone è quello federativo, antistatalista, fondato dunque sul completo superamento dell’idea di sovranità dello Stato-nazione. Secondo Caffi lo Stato nazione deve essere privato della sua sovranità a favore degli organismi sovranazionali da un lato, e degli enti autonomi e associazioni di carattere politico, economico, culturale, dall’altro. A questi ultimi vanno trasferite funzioni di unità sociale e allo Stato va tolto il monopolio del diritto, passandosi cosi dal diritto statale al diritto sociale, secondo il quale gli enti e le associazioni in cui la società si articola devono produrre da sé il diritto per autogovernarsi. Ma l’idea caffiana di federalismo si coniuga con il riconoscimento delle identità nazionali e con il senso del radicamento, una condizione che risponde alla necessità di riconoscersi in un passato, nel bisogno di una identità collettiva. Sono questi alcuni dei tratti di maggior interesse per la storia delle idee e dei processi politici e costituzionali che il pensiero di Caffi conserva, a dispetto dei seppur innegabili tratti di disomogeneità della sua riflessione complessiva. Finora la situazione degli studi che lo riguardano è stata largamente insoddisfacente. Solo un filone marginale e isolato della cultura italiana, che faceva capo a “Tempo presente” di Nicola Chiaromonte e Ignazio Silone, tra il 1956 e il 1968, coltivò la memoria di Caffi, favorendo la diffusione dei suoi scritti, pubblicati, in due raccolte, nel 1964 e nel 1970. Il suo primo ritratto biografico fu offerto nel 1977 dalla breve opera di Gino Bianco, Un socialista “irregolare”. Andrea Caffi: politico e intellettuale d’avanguardia, che contemperava testimonianze e ricerca storica. Scritti di Caffi sono sparsi in riviste e giornali italiani, francesi, russi, americani. Ma è nelle lunghe lettere agli amici, nelle note innumerevoli che usava scrivere a commento dei loro scritti, o per chiarire loro il pensiero espresso in conversazione, che si trova forse quel che di più significativo rimane della sua personalità. D’altronde, l’attività intellettuale di Caffi fu impostata sulla centralità della dimensione dialogica, ispirandosi ai modelli culturali dell’antica Grecia e dell’intelligencija russa ottocentesca, che attribuivano un ruolo fondamentale al colloquio personale. Caffi continua senza dubbio ad essere una figura per certi versi elusiva. La sua elusività dipende essenzialmente dal senso di appartenenza ad una minoranza in esilio e clandestina o semi-clandestina, ad una élite rivoluzionaria ‘sotterranea’, ad una ‘aristocrazia’ intellettuale sradicata e perseguitata: in un senso peculiarmente russo, fu un ‘uomo del sottosuolo’.
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