Il lavoro in esame analizza una delle disposizioni fondamentali all’interno dell’impalcatura del nuovo processo penale: l’art. 526 c.p.p., norma di chiusura dell’intero sistema delle prove. In un processo fondato sulla ricostruzione dei fatti in contraddittorio, il rispetto delle disposizioni concernenti le regole del procedimento probatorio rappresenta il momento fondamentale del giuoco dialettico delle parti e, quindi, della correttezza della decisione. Nell’art. 526 c.p.p. sono infatti due regole che completano il sistema di garanzie poste a tutela del contraddittorio. La prima impedisce l’utilizzo ai fini della deliberazione di prove diverse da quelle legittimamente acquisite. Già prevista nel progetto preliminare del 1978, obbedisce le medesime esigenze di garanzia di legalità dell’intero procedimento probatorio da un lato, confermando il canone aureo del processo accusatorio secondo il quale la decisione deve fondarsi esclusivamente sulle prove acquisite nel dibattimento e, dall’altro, ribadendo il divieto di utilizzare risultati probatori ottenuti contra legem o, comunque, non riconducibili ad un paradigma suscettibile d’assumere valore probatorio La seconda regola, introdotta dalla alla legge 1° marzo 2001, n. 63, riproduce quasi pedissequamente il disposto dell’art. 111 comma 4° seconda parte della Costituzione. Col porre lo sbarramento all’uso probatorio delle dichiarazioni di chi si sottrae al controesame, la disposizione svolge il ruolo cardine di garanzia finale a tutela del contraddittorio. Il contenuto precettivo dell’art. 526 è, quindi, duplice: riafferma il principio che individua nel dibattimento il luogo privilegiato di formazione della prova e garantisce il rispetto del metodo probatorio dibattimentale mediante il ricorso alla figura dell’inutilizzabilità. Il rilievo attribuito al principio scaturisce anche dalla collocazione sistematica della disposizione all’interno della normativa sul dibattimento quasi come avvertimento al giudice sull’adempimento dei suoi doveri di garante della legalità ricordandogli che gli strumenti del suo convincimento sono solo quelli che si formano legittimamente nel giudizio, secondo le modalità dettate dal legislatore. L’obiettivo del lavoro è stato quello di sciogliere i nodi interpretativi posti dalla disposizione chiave del testo normativo, il comma 1 bis.
Commento all'art. 526 c.p.p.
BOSCO, Valeria
2005-01-01
Abstract
Il lavoro in esame analizza una delle disposizioni fondamentali all’interno dell’impalcatura del nuovo processo penale: l’art. 526 c.p.p., norma di chiusura dell’intero sistema delle prove. In un processo fondato sulla ricostruzione dei fatti in contraddittorio, il rispetto delle disposizioni concernenti le regole del procedimento probatorio rappresenta il momento fondamentale del giuoco dialettico delle parti e, quindi, della correttezza della decisione. Nell’art. 526 c.p.p. sono infatti due regole che completano il sistema di garanzie poste a tutela del contraddittorio. La prima impedisce l’utilizzo ai fini della deliberazione di prove diverse da quelle legittimamente acquisite. Già prevista nel progetto preliminare del 1978, obbedisce le medesime esigenze di garanzia di legalità dell’intero procedimento probatorio da un lato, confermando il canone aureo del processo accusatorio secondo il quale la decisione deve fondarsi esclusivamente sulle prove acquisite nel dibattimento e, dall’altro, ribadendo il divieto di utilizzare risultati probatori ottenuti contra legem o, comunque, non riconducibili ad un paradigma suscettibile d’assumere valore probatorio La seconda regola, introdotta dalla alla legge 1° marzo 2001, n. 63, riproduce quasi pedissequamente il disposto dell’art. 111 comma 4° seconda parte della Costituzione. Col porre lo sbarramento all’uso probatorio delle dichiarazioni di chi si sottrae al controesame, la disposizione svolge il ruolo cardine di garanzia finale a tutela del contraddittorio. Il contenuto precettivo dell’art. 526 è, quindi, duplice: riafferma il principio che individua nel dibattimento il luogo privilegiato di formazione della prova e garantisce il rispetto del metodo probatorio dibattimentale mediante il ricorso alla figura dell’inutilizzabilità. Il rilievo attribuito al principio scaturisce anche dalla collocazione sistematica della disposizione all’interno della normativa sul dibattimento quasi come avvertimento al giudice sull’adempimento dei suoi doveri di garante della legalità ricordandogli che gli strumenti del suo convincimento sono solo quelli che si formano legittimamente nel giudizio, secondo le modalità dettate dal legislatore. L’obiettivo del lavoro è stato quello di sciogliere i nodi interpretativi posti dalla disposizione chiave del testo normativo, il comma 1 bis.File | Dimensione | Formato | |
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