Questo articolo mostra come la prima parte del Filebo espliciti, in un linguaggio pitagorico, lo sche-ma della teoria dei Principi. Platone come prima operazione evidenzia che ogni realtà è multiforme (12 C- 13 A) e pone il pensiero di fronte ad un problema di fondo: i molti sono uno e che l’uno è molti (14 C), arrivando addirittura ad affermare l’identità tra l’uno e i molti (15 D). Questo è possibile perché tutte le realtà hanno in sé connaturato limite e illimitato (16 C), sono cioè un misto, l’unità risultante dalla lo-ro mescolanza. Questo primo processo ontogonico viene poi riproposto e integrato con l’aggiunta della causa della mescolanza stessa (23 C-D). L’articolo esamina poi con attenzione le caratteristica dei diversi elementi in gioco. L’apeiron appare una realtà che esclude del tutto un limite, se parliamo delle qualità, mentre la questione appare più com-plessa se parliamo in termini di sostanze, perché ciò che esiste è sempre misto. Quindi nel genere dell’illimitato vanno posti quei misti in cui l’apeiron resta dominante, per cui non hanno, in sé e da sé né principio, né mezzo, né fine (31 A). L’ordine che li qualifica viene “da fuori”, tramite il Peras. Que-sta affermazione viene chiarita e approfondita alla luce di riferimenti al Parmenide, 158 B-D. Il Peras si qualifica così come l’elemento limitante che realizza l’uguaglianza e la misura con un apporto soprattut-to numerico (25 A-B), tanto da far cessare i rapporti di opposizione reciproca fra i contrari, rendendoli misurabili e proporzionati con l’introduzione del numero (25 D-E). Il limite poi è negli enti (26 C), cioè agisce come “causa formale”. Frutto della sua azione è il terzo genere, il misto. Platone dichiara esplicitamente la difficoltà che in-contra nel definirlo. Sembra che ci sia una sorta di impossibilità a trovare per il misto un segno distintivo come si è fatto per gli altri due generi. Socrate si limita a ribadire che è l’unità complessiva derivata da-gli altri due e che è una “generazione verso l’essere” (stilema che l’articolo sottopone ad attenta analisi) dipendente dalle misure che si producono come conseguenza del limite (26 D). Tale difficoltà è com-prensibile se si assume che il misto corrisponde sostanzialmente a tutta la realtà. Platone dichiara che così ci ha fornito il quadro di riferimento delle cose che nascono e di quelle da cui tutto deriva (27 A), cioè sia la realtà (il misto), sia i principi da cui questa dipende (limite e illimita-to), ma aggiunge subito che questo processo ontogonico non è sufficiente perché occorre una causa che, come la Dea, ponga ordine tramite il limite (26 B-C). Si “intravede” così una duplice causalità: la causa-lità efficiente (della Dea) e la causalità formale di realtà ordinatrici caratterizzate dal peras. Lasciata a se stessa, la realtà è disordine, assenza di limite, apeiron, per cui solo l’intervento divino, che impone realtà limitanti, la ordina e la salva. Questo quadro teorico conferma quanto Platone aveva fatto intuire nel mi-to del Politico, 268 D - 274 E, e consente a Platone di esprimere in una formula sintetica quello che pen-sa della realtà cosmica e del suo “disordinato ordine”: «sarà quindi meglio affermare, come più volte abbiamo detto, che nell’universo c’è molto illimitato e sufficiente limite, e, al di sopra di essi, una causa non da poco, la quale, ordinando e regolando gli anni, le stagioni e i mesi, può, a buon diritto, essere chiamata sapienza e intelligenza» (30 C 3-7).

Uni-molteplicità del reale e dottrina dei Principi

MIGLIORI, Maurizio
2010-01-01

Abstract

Questo articolo mostra come la prima parte del Filebo espliciti, in un linguaggio pitagorico, lo sche-ma della teoria dei Principi. Platone come prima operazione evidenzia che ogni realtà è multiforme (12 C- 13 A) e pone il pensiero di fronte ad un problema di fondo: i molti sono uno e che l’uno è molti (14 C), arrivando addirittura ad affermare l’identità tra l’uno e i molti (15 D). Questo è possibile perché tutte le realtà hanno in sé connaturato limite e illimitato (16 C), sono cioè un misto, l’unità risultante dalla lo-ro mescolanza. Questo primo processo ontogonico viene poi riproposto e integrato con l’aggiunta della causa della mescolanza stessa (23 C-D). L’articolo esamina poi con attenzione le caratteristica dei diversi elementi in gioco. L’apeiron appare una realtà che esclude del tutto un limite, se parliamo delle qualità, mentre la questione appare più com-plessa se parliamo in termini di sostanze, perché ciò che esiste è sempre misto. Quindi nel genere dell’illimitato vanno posti quei misti in cui l’apeiron resta dominante, per cui non hanno, in sé e da sé né principio, né mezzo, né fine (31 A). L’ordine che li qualifica viene “da fuori”, tramite il Peras. Que-sta affermazione viene chiarita e approfondita alla luce di riferimenti al Parmenide, 158 B-D. Il Peras si qualifica così come l’elemento limitante che realizza l’uguaglianza e la misura con un apporto soprattut-to numerico (25 A-B), tanto da far cessare i rapporti di opposizione reciproca fra i contrari, rendendoli misurabili e proporzionati con l’introduzione del numero (25 D-E). Il limite poi è negli enti (26 C), cioè agisce come “causa formale”. Frutto della sua azione è il terzo genere, il misto. Platone dichiara esplicitamente la difficoltà che in-contra nel definirlo. Sembra che ci sia una sorta di impossibilità a trovare per il misto un segno distintivo come si è fatto per gli altri due generi. Socrate si limita a ribadire che è l’unità complessiva derivata da-gli altri due e che è una “generazione verso l’essere” (stilema che l’articolo sottopone ad attenta analisi) dipendente dalle misure che si producono come conseguenza del limite (26 D). Tale difficoltà è com-prensibile se si assume che il misto corrisponde sostanzialmente a tutta la realtà. Platone dichiara che così ci ha fornito il quadro di riferimento delle cose che nascono e di quelle da cui tutto deriva (27 A), cioè sia la realtà (il misto), sia i principi da cui questa dipende (limite e illimita-to), ma aggiunge subito che questo processo ontogonico non è sufficiente perché occorre una causa che, come la Dea, ponga ordine tramite il limite (26 B-C). Si “intravede” così una duplice causalità: la causa-lità efficiente (della Dea) e la causalità formale di realtà ordinatrici caratterizzate dal peras. Lasciata a se stessa, la realtà è disordine, assenza di limite, apeiron, per cui solo l’intervento divino, che impone realtà limitanti, la ordina e la salva. Questo quadro teorico conferma quanto Platone aveva fatto intuire nel mi-to del Politico, 268 D - 274 E, e consente a Platone di esprimere in una formula sintetica quello che pen-sa della realtà cosmica e del suo “disordinato ordine”: «sarà quindi meglio affermare, come più volte abbiamo detto, che nell’universo c’è molto illimitato e sufficiente limite, e, al di sopra di essi, una causa non da poco, la quale, ordinando e regolando gli anni, le stagioni e i mesi, può, a buon diritto, essere chiamata sapienza e intelligenza» (30 C 3-7).
2010
9783896654793
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