Le steli runiche costituiscono un 'unicum' documentario: concentrate con più elevata densità geografica in particolare nelle regioni centro-meridionali della Scandinavia (segnatamente in Svezia) e con maggiore affollamento cronologico fra la fine del sec. X e il sec. XI, esse si pongono innanzi tutto come una forma precoce di trasmissione litterata in un contesto culturale dove predominano ancora con certa e soverchiante superiorità i canali dell’oralità. Secondo quanto le fonti manoscritte del medioevo nordico ci consentono di ipotizzare, infatti, il patrimonio poetico, letterario, storico e giuridico, pseudo-storico e leggendario delle genti scandinave approda relativamente tardi alla formalizzazione scritta, non essendovi sostanzialmente produzione amanuense documentata anteriore a quel sec. XII che segna l’avvio della grande fioritura manoscritta d’Islanda. Da una parte, dunque, abbiamo una letteratura, fondata sulla poesia di matrice 'pre-litterata', cioè composta, realizzata e tramandata in un contesto orale, la quale approda solo secondariamente alla fissazione per iscritto; dall’altra, abbiamo le nostre pietre runiche, le quali rappresentano un genere codificato di celebrazione e/o commemorazione funebre che in verità nasce come forma di comunicazione scritta, con grande evidenza autoriale (committenza, destinazione e realizzazione materiale esplicite nei testi delle iscrizioni) e forte impatto visivo (apparato artistico-decorativo e qualità monumentale come elementi sostanziali del ‘messaggio’ in concorrenza con il mezzo linguistico). Dunque le steli runiche, nate come forma scritta 'ab origine', si pongono del tutto al di fuori di quel processo di ‘alfabetizzazione letteraria’ che per tutte le genti germaniche procede dal recupero attraverso il mezzo della scrittura di modelli e canoni sviluppati in una fase di esclusiva oralità. Nel corso di questa lunga fase, in cui le tecniche poetiche e narrative in genere dovettero progressivamente affinarsi e specializzarsi secondo tendenze peculiari all’ambito nordico, ma della quale non abbiamo alcuna conferma documentaria che provenga da una trasmissione manoscritta, le pietre runiche offrono testi di solito brevi e per lo più convenzionali, la maggior parte delle volte di nessun interesse o rilevanza letteraria. Tuttavia, in molti casi – il che equivale a dire in varie centinaia di esempi –, i testi di queste iscrizioni giungono a costituire delle vere e proprie micro-unità poetiche, narrative e storico-cronachistiche, compresse dalla brevità richiesta al mezzo espressivo, ma ricche di echi e rimandi a quella che sarà la grande letteratura islandese dell’età classica. Tale circostanza, dunque, che vede la probabile fissazione dei canoni letterari (metrici, di lingua poetica, di struttura narrativa e di genere) noti nelle forme classiche del medioevo islandese durante il periodo vichingo, ma in assenza di una contemporanea produzione manoscritta, costituisce il primo e principale motivo per accostare le steli runiche alla letteratura. Si tratta in questo caso di un confronto oggettivo e tipologico fra il corpus epigrafico e il corpus letterario, soprattutto poetico, che appare proficuo per la ricostruzione e definizione dei meccanismi alla base della creazione letteraria nell’età antica e in ambiente germanico, ad esempio in relazione al repertorio formulare, alla origine dell’aggregazione strofica del verso norreno, alle coincidenze lessicali e sintagmatiche fra poesia eddica e scaldica, all’incidenza di una propensione ritmica e allitterante nella prosa, e alla stessa, originalissima commistione di prosa e poesia che si osserva nella letteratura della saga come vero e proprio collante fra tradizione e presupposta libertà espressiva. È questo approccio quello che qui chiama in causa una ‘convergenza’ di modalità e strumenti compositivi nelle due tipologie – epigrafica e manoscritta – della produzione testuale nella Scandinavia medievale; dove, pur potendo essere l’una (le iscrizioni runiche) la spia visibile della tradizione ininterrotta e in evoluzione dell’altra (la letteratura orale che poi approderà alla formalizzazione manoscritta), tuttavia ciascuna delle due riconosce e mantiene una propria ‘peculiarità’ formale e funzionale. Ma altri accostamenti analitici appaiono in verità possibili quando si considerino le pietre runiche da un punto di vista letterario, ovvero in relazione a quanto della documentazione letteraria si conosce dalle fonti non epigrafiche. Così sembrano riconducibili a questioni di ‘interferenza’ quelle iscrizioni che mostrano di trascrivere su pietra unità poetiche ovvero strofe in sé concluse secondo il procedimento della occasionale fissazione scritta entro un processo di trasmissione orale, dunque replicanti in un certo senso il processo che su scala maggiore dovrà avvenire a età vichinga conclusa e, in misura preponderante, entro la società islandese. Si dovrà allora verificare se la funzione celebrativa, connaturata alla produzione delle steli runiche scandinave, basti da sola a giustificare un tale sistema di ‘interferenza’ entro la diglossia fondamentale oralità/scrittura, o se si può più in generale anticipare, almeno nelle linee essenziali, l’avvio in Scandinavia di quel processo di conversione alla civiltà della scrittura che segna tutte le aree germaniche. Un ultimo motivo di contatto con il patrimonio poetico e letterario deriva, infine, alle epigrafi funerarie su pietra dell’età vichinga dalla realizzazione di apparati figurativi a sostegno (più o meno diretto o coerente) dei testi runici. In alcuni casi, in effetti, è la rappresentazione iconografica sulla stele che attinge alla tradizione – mitica, eroica, leggendaria – su cui si fonda la poesia antica del Nord, spesso con l’evidente intenzione di procedere ad una narrazione per immagini che integri in senso funzionale e in modo traslato la celebrazione, elevi il tenore complessivo del ‘testo’ encomiastico che, si osservi subito, si intende costituito dall’intera composizione, runico-linguistica e iconica. Il dato rilevante, in questo caso, risulta già in via preliminare l’apparente scollamento fra l’epitaffio convenzionale, diretto, pragmatico e riconoscibile come deve essere ogni epigrafe funeraria di chiara destinazione, e l’originalità allusiva ed ellittica del richiamo figurativo alle gesta di dèi (Þórr, Óðinn), eroi (Sigurðr, Gunnarr, Hôgni) o figure-tipo leggendarie (il berserkr, la valkyrja...) cantati nella poesia eddica e poi scaldica. Ma si tratta comunque di caso particolare di contatto con l’elaborazione letteraria che qui viene chiamato di ‘contestualità figurativa’.

Pietre runiche e letteratura: convergenza, interferenza, contestualità figurativa

CUCINA, Carla
2009-01-01

Abstract

Le steli runiche costituiscono un 'unicum' documentario: concentrate con più elevata densità geografica in particolare nelle regioni centro-meridionali della Scandinavia (segnatamente in Svezia) e con maggiore affollamento cronologico fra la fine del sec. X e il sec. XI, esse si pongono innanzi tutto come una forma precoce di trasmissione litterata in un contesto culturale dove predominano ancora con certa e soverchiante superiorità i canali dell’oralità. Secondo quanto le fonti manoscritte del medioevo nordico ci consentono di ipotizzare, infatti, il patrimonio poetico, letterario, storico e giuridico, pseudo-storico e leggendario delle genti scandinave approda relativamente tardi alla formalizzazione scritta, non essendovi sostanzialmente produzione amanuense documentata anteriore a quel sec. XII che segna l’avvio della grande fioritura manoscritta d’Islanda. Da una parte, dunque, abbiamo una letteratura, fondata sulla poesia di matrice 'pre-litterata', cioè composta, realizzata e tramandata in un contesto orale, la quale approda solo secondariamente alla fissazione per iscritto; dall’altra, abbiamo le nostre pietre runiche, le quali rappresentano un genere codificato di celebrazione e/o commemorazione funebre che in verità nasce come forma di comunicazione scritta, con grande evidenza autoriale (committenza, destinazione e realizzazione materiale esplicite nei testi delle iscrizioni) e forte impatto visivo (apparato artistico-decorativo e qualità monumentale come elementi sostanziali del ‘messaggio’ in concorrenza con il mezzo linguistico). Dunque le steli runiche, nate come forma scritta 'ab origine', si pongono del tutto al di fuori di quel processo di ‘alfabetizzazione letteraria’ che per tutte le genti germaniche procede dal recupero attraverso il mezzo della scrittura di modelli e canoni sviluppati in una fase di esclusiva oralità. Nel corso di questa lunga fase, in cui le tecniche poetiche e narrative in genere dovettero progressivamente affinarsi e specializzarsi secondo tendenze peculiari all’ambito nordico, ma della quale non abbiamo alcuna conferma documentaria che provenga da una trasmissione manoscritta, le pietre runiche offrono testi di solito brevi e per lo più convenzionali, la maggior parte delle volte di nessun interesse o rilevanza letteraria. Tuttavia, in molti casi – il che equivale a dire in varie centinaia di esempi –, i testi di queste iscrizioni giungono a costituire delle vere e proprie micro-unità poetiche, narrative e storico-cronachistiche, compresse dalla brevità richiesta al mezzo espressivo, ma ricche di echi e rimandi a quella che sarà la grande letteratura islandese dell’età classica. Tale circostanza, dunque, che vede la probabile fissazione dei canoni letterari (metrici, di lingua poetica, di struttura narrativa e di genere) noti nelle forme classiche del medioevo islandese durante il periodo vichingo, ma in assenza di una contemporanea produzione manoscritta, costituisce il primo e principale motivo per accostare le steli runiche alla letteratura. Si tratta in questo caso di un confronto oggettivo e tipologico fra il corpus epigrafico e il corpus letterario, soprattutto poetico, che appare proficuo per la ricostruzione e definizione dei meccanismi alla base della creazione letteraria nell’età antica e in ambiente germanico, ad esempio in relazione al repertorio formulare, alla origine dell’aggregazione strofica del verso norreno, alle coincidenze lessicali e sintagmatiche fra poesia eddica e scaldica, all’incidenza di una propensione ritmica e allitterante nella prosa, e alla stessa, originalissima commistione di prosa e poesia che si osserva nella letteratura della saga come vero e proprio collante fra tradizione e presupposta libertà espressiva. È questo approccio quello che qui chiama in causa una ‘convergenza’ di modalità e strumenti compositivi nelle due tipologie – epigrafica e manoscritta – della produzione testuale nella Scandinavia medievale; dove, pur potendo essere l’una (le iscrizioni runiche) la spia visibile della tradizione ininterrotta e in evoluzione dell’altra (la letteratura orale che poi approderà alla formalizzazione manoscritta), tuttavia ciascuna delle due riconosce e mantiene una propria ‘peculiarità’ formale e funzionale. Ma altri accostamenti analitici appaiono in verità possibili quando si considerino le pietre runiche da un punto di vista letterario, ovvero in relazione a quanto della documentazione letteraria si conosce dalle fonti non epigrafiche. Così sembrano riconducibili a questioni di ‘interferenza’ quelle iscrizioni che mostrano di trascrivere su pietra unità poetiche ovvero strofe in sé concluse secondo il procedimento della occasionale fissazione scritta entro un processo di trasmissione orale, dunque replicanti in un certo senso il processo che su scala maggiore dovrà avvenire a età vichinga conclusa e, in misura preponderante, entro la società islandese. Si dovrà allora verificare se la funzione celebrativa, connaturata alla produzione delle steli runiche scandinave, basti da sola a giustificare un tale sistema di ‘interferenza’ entro la diglossia fondamentale oralità/scrittura, o se si può più in generale anticipare, almeno nelle linee essenziali, l’avvio in Scandinavia di quel processo di conversione alla civiltà della scrittura che segna tutte le aree germaniche. Un ultimo motivo di contatto con il patrimonio poetico e letterario deriva, infine, alle epigrafi funerarie su pietra dell’età vichinga dalla realizzazione di apparati figurativi a sostegno (più o meno diretto o coerente) dei testi runici. In alcuni casi, in effetti, è la rappresentazione iconografica sulla stele che attinge alla tradizione – mitica, eroica, leggendaria – su cui si fonda la poesia antica del Nord, spesso con l’evidente intenzione di procedere ad una narrazione per immagini che integri in senso funzionale e in modo traslato la celebrazione, elevi il tenore complessivo del ‘testo’ encomiastico che, si osservi subito, si intende costituito dall’intera composizione, runico-linguistica e iconica. Il dato rilevante, in questo caso, risulta già in via preliminare l’apparente scollamento fra l’epitaffio convenzionale, diretto, pragmatico e riconoscibile come deve essere ogni epigrafe funeraria di chiara destinazione, e l’originalità allusiva ed ellittica del richiamo figurativo alle gesta di dèi (Þórr, Óðinn), eroi (Sigurðr, Gunnarr, Hôgni) o figure-tipo leggendarie (il berserkr, la valkyrja...) cantati nella poesia eddica e poi scaldica. Ma si tratta comunque di caso particolare di contatto con l’elaborazione letteraria che qui viene chiamato di ‘contestualità figurativa’.
2009
9788862741330
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