in M. Verga (a cura di), CIRSDIG, http://www.cirsdig.it/Pubblicazioni/capraia.pdf Com’è noto, in alcuni sistemi di civil law – ad esempio in quello tedesco e in quello italiano – vige il principio dell’azione penale obbligatoria, anche se non di rado esso finisce per rappresentare più un mito che un dato di realtà. Nei sistemi di common law, invece, tale obbligatorietà non è normativamente prescritta, ma non per questo il responsabile dell’accusa può rinunciare alla neutralità nel prendere le decisioni. Questo saggio, attraverso una rassegna teorica e la presentazione di dati empirici originali raccolti in Italia, si pone l’obiettivo di portare un contributo al dibattito sull’importante tema dell’obbligatorietà dell’azione penale. I dati mostrano complessivamente che nel nostro paese l’azione penale obbligatoria rappresenta un mito, ma allo stesso tempo anche un tabù che viene quotidianamente violato. Dove vige una discrezionalità soggettiva, viene spesso invocato il principio del “buon senso”, unica risorsa a disposizione di molti magistrati requirenti per far fronte ad un carico penale giudicato - a ben vedere fondatamente – eccessivo. Il buon senso si concretizza, ad esempio, nella considerazione della gravità del reato come criterio informale, ma accettabile, di priorità. La necessità di un ripensamento delle problematiche connesse al carattere dell’azione penale e, di riflesso, alla posizione istituzionale del pubblico ministero si è fatta pressante proprio alla luce dei dati di fatto. Il punto chiave è quello di individuare la direttrice lungo la quale muoversi: continuare aderendo al binomio indipendenza del pubblico ministero–obbligatorietà dell’azione penale, ovvero propendere per un brusco cambio di rotta verso il binomio opposto della dipendenza–opportunità? E ancora, quali soluzioni si potrebbero proporre allora per contenere il carico di lavoro delle procure? Imparando dalla lezione americana e dalle opinioni di molti esperti e operatori del diritto, andrebbe forse accolto il suggerimento relativo all’introduzione di criteri o ordini di priorità nella trattazione delle notizie di reato, non per questo però avallando un’azione penale discrezionale. L’obiettivo dovrebbe essere quello di far emergere e regolamentare la discrezionalità di cui gode sostanzialmente il pubblico ministero nella gestione delle notizie di reato, così da rendere palesi e controllabili le sue iniziative. Tali criteri non rappresentano altro se non modalità di programmazione del lavoro presso gli uffici requirenti secondo schemi di precedenze per razionalizzare la gestione delle notizie di reato attraverso parametri obiettivi, ragionevoli e soprattutto conosciuti e conoscibili da tutti gli interessati. *** The aim of the present paper is to make a contribution to the discussion about the relevant issue of compulsory prosecution in the Italian penal jurisdiction. To this purpose, we have started from a “law in action” perspective, considering experiences and points of view emerging by interviewing professional actors in the law as privileged witnesses in few Italian penal courts. Particularly, the analysis enlights the more general theme of the relationship between norms and practices in enforcing law. Analyzing the grounds and the references of internal legal culture (national and/or local) influencing practical strategies of prosecutors in exerting penal action presents relevant theoretical consequences, as well as for the enforcement of penal legal policies. In fact, the introduction of a certain “discretionality” in practice not only violates the constitutional prescription, but also implies the serious result that the applied priority orders are as a matter of fact locally discontinuous, so that the citizens are not more equal in front of the law.

L’obbligatorietà dell’azione penale come un mito? Appunti sul caso italiano

ZANIER, Maria Letizia
2007-01-01

Abstract

in M. Verga (a cura di), CIRSDIG, http://www.cirsdig.it/Pubblicazioni/capraia.pdf Com’è noto, in alcuni sistemi di civil law – ad esempio in quello tedesco e in quello italiano – vige il principio dell’azione penale obbligatoria, anche se non di rado esso finisce per rappresentare più un mito che un dato di realtà. Nei sistemi di common law, invece, tale obbligatorietà non è normativamente prescritta, ma non per questo il responsabile dell’accusa può rinunciare alla neutralità nel prendere le decisioni. Questo saggio, attraverso una rassegna teorica e la presentazione di dati empirici originali raccolti in Italia, si pone l’obiettivo di portare un contributo al dibattito sull’importante tema dell’obbligatorietà dell’azione penale. I dati mostrano complessivamente che nel nostro paese l’azione penale obbligatoria rappresenta un mito, ma allo stesso tempo anche un tabù che viene quotidianamente violato. Dove vige una discrezionalità soggettiva, viene spesso invocato il principio del “buon senso”, unica risorsa a disposizione di molti magistrati requirenti per far fronte ad un carico penale giudicato - a ben vedere fondatamente – eccessivo. Il buon senso si concretizza, ad esempio, nella considerazione della gravità del reato come criterio informale, ma accettabile, di priorità. La necessità di un ripensamento delle problematiche connesse al carattere dell’azione penale e, di riflesso, alla posizione istituzionale del pubblico ministero si è fatta pressante proprio alla luce dei dati di fatto. Il punto chiave è quello di individuare la direttrice lungo la quale muoversi: continuare aderendo al binomio indipendenza del pubblico ministero–obbligatorietà dell’azione penale, ovvero propendere per un brusco cambio di rotta verso il binomio opposto della dipendenza–opportunità? E ancora, quali soluzioni si potrebbero proporre allora per contenere il carico di lavoro delle procure? Imparando dalla lezione americana e dalle opinioni di molti esperti e operatori del diritto, andrebbe forse accolto il suggerimento relativo all’introduzione di criteri o ordini di priorità nella trattazione delle notizie di reato, non per questo però avallando un’azione penale discrezionale. L’obiettivo dovrebbe essere quello di far emergere e regolamentare la discrezionalità di cui gode sostanzialmente il pubblico ministero nella gestione delle notizie di reato, così da rendere palesi e controllabili le sue iniziative. Tali criteri non rappresentano altro se non modalità di programmazione del lavoro presso gli uffici requirenti secondo schemi di precedenze per razionalizzare la gestione delle notizie di reato attraverso parametri obiettivi, ragionevoli e soprattutto conosciuti e conoscibili da tutti gli interessati. *** The aim of the present paper is to make a contribution to the discussion about the relevant issue of compulsory prosecution in the Italian penal jurisdiction. To this purpose, we have started from a “law in action” perspective, considering experiences and points of view emerging by interviewing professional actors in the law as privileged witnesses in few Italian penal courts. Particularly, the analysis enlights the more general theme of the relationship between norms and practices in enforcing law. Analyzing the grounds and the references of internal legal culture (national and/or local) influencing practical strategies of prosecutors in exerting penal action presents relevant theoretical consequences, as well as for the enforcement of penal legal policies. In fact, the introduction of a certain “discretionality” in practice not only violates the constitutional prescription, but also implies the serious result that the applied priority orders are as a matter of fact locally discontinuous, so that the citizens are not more equal in front of the law.
2007
9788895356051
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