L’idea di fondo di questo articolo è quella di documentare la storia della spedizione che nel maggio del 1960 portò per la prima volta tre cinesi in cima all’Everest dal versante Nord. Una spedizione solo apparentemente sportiva che, mossa da fortissimi intenti politici e diplomatici, attraversa uno dei periodi più cruciali della recente storia cinese. Già a partire dalla seconda metà del XIX secolo, con il manifestarsi del cosiddetto Great Game nei territori afghani e himalayani, il controllo di questa nervatura rocciosa che separava l’area indiana dal Tibet comportava, per tutti gli attori in gioco, una straordinaria serie di opportunità: la garanzia di arginare l’altro e contemporaneamente di estendere i propri interessi in Cina per russi e inglesi, la possibilità di sfuggire al dominio mancese per il Bodhisattva Guerriero, l’opportunità di contrastare le potenze imperialiste nel governo di aree ritenute parte della propria sfera di influenza per la corte Qing. Nel XX secolo le dinamiche di tensione intorno all’area himalayana si ripropongono in maniera pressoché uguale, con la Cina popolare che riprende il controllo del Tibet nel 1950 e l’India de-colonizzata di Nehru che, spaventata dal possibile affacciarsi di una Cina non amica dal terrazzo dell’altopiano tibetano, fa della questione territoriale nel Tawang Tract e in generale della contesta himalayana con la Cina, un punto irrinunciabile della propria politica estera – sostenuta in questo anche dai forti interessi britannici e americani. Nei salotti diplomatici del tempo andarono allora diffondendosi diverse teorie sulla rivendicazione di diritto sulle aree montuose. Una di queste sosteneva che il controllo di un territorio montuoso spettava alla nazione che avesse accesso alle cime di quelle montagne. Era solo una teoria come tante, ma quando nel 1953 Edmund Hillary conquistò la vetta dell’Everest dalla parete Sud e piantò sulla cima –insieme ad altri stendardi- anche la bandiera indiana, a Pechino squillò un campanello d’allarme. Mao ordinò che l’Everest venisse immediatamente conquistato anche dalla parete Nord, dal versante cinese, e i preparativi per la grande spedizione ebbero inizio. La storia di quell’avventura si colloca in un incredibile crocevia di eventi, in un ordito complesso di mosse politiche e strategie militari, andando a costituire un’importante chiave di lettura dei principali eventi storici che coinvolsero la Cina e i suoi vicini: la crisi del Grande Balzo, la rivolta di Lhasa del 1959, la rottura dei rapporti con l’Urss, l’escalation diplomatica con l’India che portò alla guerra lampo del 1962 e al successivo ulteriore isolamento internazionale di Pechino. Sotto tutto questo, o sopra di esso se si preferisce, resta da leggere anche la straordinaria avventura umana di tre cinesi che, non avendo mai visto prima nulla più di qualche collina artificiale posta a decoro urbano, si ritrovarono improvvisamente catapultati sul tetto del mondo per consegnare a Mao la sua montagna.

La montagna di Mao

TRENTIN, GIORGIO
2007-01-01

Abstract

L’idea di fondo di questo articolo è quella di documentare la storia della spedizione che nel maggio del 1960 portò per la prima volta tre cinesi in cima all’Everest dal versante Nord. Una spedizione solo apparentemente sportiva che, mossa da fortissimi intenti politici e diplomatici, attraversa uno dei periodi più cruciali della recente storia cinese. Già a partire dalla seconda metà del XIX secolo, con il manifestarsi del cosiddetto Great Game nei territori afghani e himalayani, il controllo di questa nervatura rocciosa che separava l’area indiana dal Tibet comportava, per tutti gli attori in gioco, una straordinaria serie di opportunità: la garanzia di arginare l’altro e contemporaneamente di estendere i propri interessi in Cina per russi e inglesi, la possibilità di sfuggire al dominio mancese per il Bodhisattva Guerriero, l’opportunità di contrastare le potenze imperialiste nel governo di aree ritenute parte della propria sfera di influenza per la corte Qing. Nel XX secolo le dinamiche di tensione intorno all’area himalayana si ripropongono in maniera pressoché uguale, con la Cina popolare che riprende il controllo del Tibet nel 1950 e l’India de-colonizzata di Nehru che, spaventata dal possibile affacciarsi di una Cina non amica dal terrazzo dell’altopiano tibetano, fa della questione territoriale nel Tawang Tract e in generale della contesta himalayana con la Cina, un punto irrinunciabile della propria politica estera – sostenuta in questo anche dai forti interessi britannici e americani. Nei salotti diplomatici del tempo andarono allora diffondendosi diverse teorie sulla rivendicazione di diritto sulle aree montuose. Una di queste sosteneva che il controllo di un territorio montuoso spettava alla nazione che avesse accesso alle cime di quelle montagne. Era solo una teoria come tante, ma quando nel 1953 Edmund Hillary conquistò la vetta dell’Everest dalla parete Sud e piantò sulla cima –insieme ad altri stendardi- anche la bandiera indiana, a Pechino squillò un campanello d’allarme. Mao ordinò che l’Everest venisse immediatamente conquistato anche dalla parete Nord, dal versante cinese, e i preparativi per la grande spedizione ebbero inizio. La storia di quell’avventura si colloca in un incredibile crocevia di eventi, in un ordito complesso di mosse politiche e strategie militari, andando a costituire un’importante chiave di lettura dei principali eventi storici che coinvolsero la Cina e i suoi vicini: la crisi del Grande Balzo, la rivolta di Lhasa del 1959, la rottura dei rapporti con l’Urss, l’escalation diplomatica con l’India che portò alla guerra lampo del 1962 e al successivo ulteriore isolamento internazionale di Pechino. Sotto tutto questo, o sopra di esso se si preferisce, resta da leggere anche la straordinaria avventura umana di tre cinesi che, non avendo mai visto prima nulla più di qualche collina artificiale posta a decoro urbano, si ritrovarono improvvisamente catapultati sul tetto del mondo per consegnare a Mao la sua montagna.
2007
9788895044040
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