Sempre, quando si prende in esame l’assetto istituzionale di una colonia vi si legge in controluce l’immagine della madrepatria. Anche nella Colonia Eritrea, si riflesse, rimpicciolita ma fedele nel rispecchiamento dei vizi e delle virtù, dei pregi e dei difetti, l’Italia di fine secolo. Tuttavia, sarebbe un errore pensare che le istituzioni coloniali siano state delle semplici copie di quelle della madrepatria: furono piuttosto il risultato di un metissage fra il modello italiano, lontano ma comunque rodato da una esperienza almeno decennale, e la realtà locale, spesso mal compresa e usata strumentalmente. L’amministrazione coloniale italiana fu condizionata, e non poteva essere altrimenti, oltre che dall’esempio delle esperienze altrui, dalla scarsa esperienza maturata, dalle limitate risorse locali e metropolitane, dalla esigenza di governare unendo il massimo di efficienza al minimo di spesa. Nella esperienza italiana, la ricerca delle forme di organizzazione amministrativa da dare alla colonia fu lenta e laboriosa, procedette per gradi, non senza intoppi e ripensamenti, seguendo le tappe, anche esse faticose, delle conquiste coloniali. Le autorità centrali e quelle locali emanarono provvedimenti normativi che, se da un lato lasciano trasparire l’incertezza di una amministrazione priva di preparazione specifica, dall’altro mettono in evidenza le eccellenti qualità degli uomini ai quali venne affidato il compito di organizzare, quasi dal nulla, un sistema di governo coloniale. Negli ordinamenti organici emanati nei primi trent’anni della nostra esperienza coloniale si susseguono accentramenti e decentramenti di poteri, separazioni e unificazioni di competenze, creazioni e soppressioni di funzioni, fino a che, da quell’ideale campo sperimentale che fu la nostra prima colonia, scaturirono, ben delineate, le figure giuridico-amministrative: la colonia, il governatore, i funzionari coloniali, gli organi di consulenza e di giurisdizione.

La Colonia Eritrea. La prima amministrazione coloniale italiana

ROSONI, Isabella
2006-01-01

Abstract

Sempre, quando si prende in esame l’assetto istituzionale di una colonia vi si legge in controluce l’immagine della madrepatria. Anche nella Colonia Eritrea, si riflesse, rimpicciolita ma fedele nel rispecchiamento dei vizi e delle virtù, dei pregi e dei difetti, l’Italia di fine secolo. Tuttavia, sarebbe un errore pensare che le istituzioni coloniali siano state delle semplici copie di quelle della madrepatria: furono piuttosto il risultato di un metissage fra il modello italiano, lontano ma comunque rodato da una esperienza almeno decennale, e la realtà locale, spesso mal compresa e usata strumentalmente. L’amministrazione coloniale italiana fu condizionata, e non poteva essere altrimenti, oltre che dall’esempio delle esperienze altrui, dalla scarsa esperienza maturata, dalle limitate risorse locali e metropolitane, dalla esigenza di governare unendo il massimo di efficienza al minimo di spesa. Nella esperienza italiana, la ricerca delle forme di organizzazione amministrativa da dare alla colonia fu lenta e laboriosa, procedette per gradi, non senza intoppi e ripensamenti, seguendo le tappe, anche esse faticose, delle conquiste coloniali. Le autorità centrali e quelle locali emanarono provvedimenti normativi che, se da un lato lasciano trasparire l’incertezza di una amministrazione priva di preparazione specifica, dall’altro mettono in evidenza le eccellenti qualità degli uomini ai quali venne affidato il compito di organizzare, quasi dal nulla, un sistema di governo coloniale. Negli ordinamenti organici emanati nei primi trent’anni della nostra esperienza coloniale si susseguono accentramenti e decentramenti di poteri, separazioni e unificazioni di competenze, creazioni e soppressioni di funzioni, fino a che, da quell’ideale campo sperimentale che fu la nostra prima colonia, scaturirono, ben delineate, le figure giuridico-amministrative: la colonia, il governatore, i funzionari coloniali, gli organi di consulenza e di giurisdizione.
2006
9788860560018
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