Questo libro ricostruisce e analizza la storia della contrapposizione tra Roma e Milano dalla fine del XVIII agli inizi del XXI secolo. Attraverso l’esame di fonti di varia natura (discorsi politici, carteggi privati, giornali, saggi, film, piani regolatori, cerimonie) si raccontano le origini e gli sviluppi della rivalità tra le due città, esplosa nel discorso politico dopo l’unificazione nazionale ma presente, come opposizione tra due sistemi di valori, fin dal Settecento. Una disputa accesa, questa tra le due «capitali» della penisola, alimentata soprattutto da Milano, sempre attenta a sottolineare la propria diversità rispetto a Roma. Questo atteggiamento milanese ha radici antiche, risalenti alla tarda antichità e all’alto medioevo, ma bisogna attendere il Settecento, con la diffusione della cultura illuministica, per assistere alla nascita di una vera e propria retorica antagonista tra le due città. E’ infatti da allora che Milano comincia a rivendicare una propria «modernità», un’idea di progresso destinata a consolidare un modello di comunità fondato sulla valorizzazione delle competenze individuali e sull’avversione ai poteri anonimi delle burocrazie statali. Ovvero l’esatto opposto di Roma, raffigurata come la città degli arcani della politica, il centro dell’incompetenza amministrativa, il luogo dove gli individui spariscono di fronte all’onnipotenza delle istituzioni. Dalla fine dell’Ottocento in poi, tuttavia, la rivalità tra Roma e Milano assume anche un’altra fisionomia. Il contrasto, infatti, tende a scivolare in una dimensione antropologica, con la città lombarda pronta a rivendicare una diversa «italianità», una peculiare connotazione caratteriale radicalmente diversa da quella della capitale, assunta a simbolo perfetto dei vizi del meridionalismo e dello statalismo. Milano, però, si propone come capitale alternativa, «morale», semplicemente dilatando il mito della «buona amministrazione» a una scala nazionale. Un mito efficientista che, per molti aspetti, rivela la sua debolezza proprio nella sostanziale incomprensione della natura e del ruolo di una capitale, della sua capacità di contaminare e amplificare le tradizioni culturali di un paese, di plasmarle in un nuovo progetto nazionale. Non a caso quando, alla fine del Novecento, lo scandalo di «Tangentopoli» rende inutilizzabile l’idea della «capitale morale», Milano fatica a ritrovarsi in una nuova immagine. Scopo principale di questo libro è evidenziare l’evoluzione storica di un discorso pubblico che, al di là della sua apparente ripetitività, rivela una ricca e significativa stratificazione politico-culturale. Offre, inoltre, un nuovo punto di osservazione per esaminare alcuni dei complessi processi di costruzione e trasformazione dell’identità nazionale.

Rivali d'Italia. Roma e Milano dal Settecento a oggi

BARTOLINI, FRANCESCO
2006-01-01

Abstract

Questo libro ricostruisce e analizza la storia della contrapposizione tra Roma e Milano dalla fine del XVIII agli inizi del XXI secolo. Attraverso l’esame di fonti di varia natura (discorsi politici, carteggi privati, giornali, saggi, film, piani regolatori, cerimonie) si raccontano le origini e gli sviluppi della rivalità tra le due città, esplosa nel discorso politico dopo l’unificazione nazionale ma presente, come opposizione tra due sistemi di valori, fin dal Settecento. Una disputa accesa, questa tra le due «capitali» della penisola, alimentata soprattutto da Milano, sempre attenta a sottolineare la propria diversità rispetto a Roma. Questo atteggiamento milanese ha radici antiche, risalenti alla tarda antichità e all’alto medioevo, ma bisogna attendere il Settecento, con la diffusione della cultura illuministica, per assistere alla nascita di una vera e propria retorica antagonista tra le due città. E’ infatti da allora che Milano comincia a rivendicare una propria «modernità», un’idea di progresso destinata a consolidare un modello di comunità fondato sulla valorizzazione delle competenze individuali e sull’avversione ai poteri anonimi delle burocrazie statali. Ovvero l’esatto opposto di Roma, raffigurata come la città degli arcani della politica, il centro dell’incompetenza amministrativa, il luogo dove gli individui spariscono di fronte all’onnipotenza delle istituzioni. Dalla fine dell’Ottocento in poi, tuttavia, la rivalità tra Roma e Milano assume anche un’altra fisionomia. Il contrasto, infatti, tende a scivolare in una dimensione antropologica, con la città lombarda pronta a rivendicare una diversa «italianità», una peculiare connotazione caratteriale radicalmente diversa da quella della capitale, assunta a simbolo perfetto dei vizi del meridionalismo e dello statalismo. Milano, però, si propone come capitale alternativa, «morale», semplicemente dilatando il mito della «buona amministrazione» a una scala nazionale. Un mito efficientista che, per molti aspetti, rivela la sua debolezza proprio nella sostanziale incomprensione della natura e del ruolo di una capitale, della sua capacità di contaminare e amplificare le tradizioni culturali di un paese, di plasmarle in un nuovo progetto nazionale. Non a caso quando, alla fine del Novecento, lo scandalo di «Tangentopoli» rende inutilizzabile l’idea della «capitale morale», Milano fatica a ritrovarsi in una nuova immagine. Scopo principale di questo libro è evidenziare l’evoluzione storica di un discorso pubblico che, al di là della sua apparente ripetitività, rivela una ricca e significativa stratificazione politico-culturale. Offre, inoltre, un nuovo punto di osservazione per esaminare alcuni dei complessi processi di costruzione e trasformazione dell’identità nazionale.
2006
9788842080022
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