A conclusione del volume dedicato alla fenomenologia e all’antropologia personalistica di Max Scheler, negli anni ’70 del Novecento, Giovanni Ferretti osservava con disappunto che, nell'ultima fase della sua vita, Scheler aveva voluto oltrepassare il teismo, per avventurarsi sul terreno di quello che allora venne sbrigativamente etichettato come un dualismo evoluzionistico.In realtà, la movenza di novità ontologico-metafisica, a base fenomenologica, da Scheler peraltro appena accennata e mai condotta a compimento sistematico, esprimeva un’istanza avvertita fortemente dallo stesso Ferretti e proprio in virtù della sua solida formazione neoscolastica. Infatti, nella prospettiva scheleriana sistematicamente incompiuta tanto l’esperienza religiosa quanto la teologia, finalmente liberate dalle dogmatiche e impositive sicumere di «una metafisica della trascendenza teocratica», secondo «il principio per cui “ciò che è fondatamente vero ha senz’altro senso”», possono nuovamente riproporsi alla sensibilità postmoderna, incline a ritenere che «ciò che non ha senso per noi, non può essere vero e fondato». Si tratta d’altra parte di un’apertura che lo stesso paradigma fondazionale consente, visto che il principio di ragione sufficiente, che lo governa, prevede, almeno nella sua teorizzazione leibniziana, che solo Dio possa esaurientemente risolvere in verità di ragione l’inerenza a ciascun soggetto storico dei suoi predicati. A noi uomini spetta attendere al groviglio apparentemente impenetrabile delle verità di fatto nel modesto tentativo, sempre incompleto e sempre in fieri, di ricostruire la rete logica che innerva la totalità dell’essere, seguendo il filo delle ragioni che la nostra esperienza via via ci mostra.

Nel segno di Max Scheler. In dialogo con Giovanni Ferretti

VERDUCCI, Daniela
2010-01-01

Abstract

A conclusione del volume dedicato alla fenomenologia e all’antropologia personalistica di Max Scheler, negli anni ’70 del Novecento, Giovanni Ferretti osservava con disappunto che, nell'ultima fase della sua vita, Scheler aveva voluto oltrepassare il teismo, per avventurarsi sul terreno di quello che allora venne sbrigativamente etichettato come un dualismo evoluzionistico.In realtà, la movenza di novità ontologico-metafisica, a base fenomenologica, da Scheler peraltro appena accennata e mai condotta a compimento sistematico, esprimeva un’istanza avvertita fortemente dallo stesso Ferretti e proprio in virtù della sua solida formazione neoscolastica. Infatti, nella prospettiva scheleriana sistematicamente incompiuta tanto l’esperienza religiosa quanto la teologia, finalmente liberate dalle dogmatiche e impositive sicumere di «una metafisica della trascendenza teocratica», secondo «il principio per cui “ciò che è fondatamente vero ha senz’altro senso”», possono nuovamente riproporsi alla sensibilità postmoderna, incline a ritenere che «ciò che non ha senso per noi, non può essere vero e fondato». Si tratta d’altra parte di un’apertura che lo stesso paradigma fondazionale consente, visto che il principio di ragione sufficiente, che lo governa, prevede, almeno nella sua teorizzazione leibniziana, che solo Dio possa esaurientemente risolvere in verità di ragione l’inerenza a ciascun soggetto storico dei suoi predicati. A noi uomini spetta attendere al groviglio apparentemente impenetrabile delle verità di fatto nel modesto tentativo, sempre incompleto e sempre in fieri, di ricostruire la rete logica che innerva la totalità dell’essere, seguendo il filo delle ragioni che la nostra esperienza via via ci mostra.
2010
9788834318478
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