L’opinione diffusa, e per più versi motivata, dell’intellettualismo di Tommaso d’Aquino porterebbe a ritenere che nel suo pensiero il tema dell’amore sia secondario, o addirittura marginale. Non è affatto così. L’amore, per Tommaso, ha una sua universalità sia in sé, sia nella vita dell’uomo. 1. Universalità dell’amore in riferimento alla sfera appetitiva. L’amore è il primo moto, il primo atto, della volontà e di ogni forma appetitiva. Ora, l’appetito è presente negli enti naturali come appetito naturale, negli animali come appetito sensitivo, negli esseri di natura intellettiva (l’uomo, gli angeli, Dio) come appetito razionale o volontà. Dunque, se l’amore ha la stessa estensione dell’appetito, sarà, in varie forme, universale come l’appetito stesso. 2. Universalità dell’amore in riferimento al bene. Il bene è l’oggetto proprio dell’amore. Ma il bene per un verso ha a che fare con il fine, e per altro verso si identifica con l’essere. Intanto, il bene è ciò a cui tutto tende come fine (bene si dice quanto è desiderato, e ciò implica l’idea di fine), e il fine è ciò a cui chi agisce tende in quanto è bene (tutto ciò che ha il carattere di fine ha anche il carattere di bene). Ma se è così, se bene e fine si coappartengono, se ogni ente agisce per un fine che è bene e per un bene che è fine, l’amore, che ha come oggetto proprio il bene, sarà in tutti gli agenti, moti, atti: è in certo modo universale. In secondo luogo, bene e essere si identificano ontologicamente. Ciò può essere dimostrato sia a partire dal bene che a partire dall’essere. Ma se così stanno le cose, se dovunque vi è l’essere vi è il bene, se il bene ha la stessa estensione dell’essere, l’amore, che ha come oggetto proprio il bene, ha la stessa universalità dell’essere. 3. Universalità dell’amore nell’uomo. Anzitutto, se è coesteso all’appetito, l’amore è presente nell’uomo a vari livelli: amore naturale in quanto l’uomo è un ente, sensitivo in quanto è animale, intellettivo in quanto essere di natura intellettiva. Così, per l’appetito naturale, l’uomo ama l’autoconservazione, anzi l’immortalità; per l’appetito sensitivo, ama la conservazione della specie, con cui però non si identifica, essendo ad essa superiore per la propria natura intellettiva; per l’appetito intellettivo, ama conoscere la verità e vivere in società. Più precisamente, sulla base della natura specifica dell’uomo, l’amore di sé comporta: il vivere in società, che trova la sua attuazione adeguata nell’amicizia (amore per l’altro come altro se stesso); la piena realizzazione dell’intelletto, che trova il suo compimento nella contemplazione di ciò che vi è di più alto nella scala dell’essere, cioè Dio; il pieno appagamento della volontà nell’adesione al bene come tale, al bene sommo, che è Dio. Dunque, anche nell’uomo, l’amore ha una sua universalità: in via generale, amore di sé come amore naturale, sensitivo, intellettivo; specificamente, in forza della natura intellettiva, amore di sé che implica l’amore dell’altro e l’amore di Dio. A questo punto, che ne è dell’intellettualismo di Tommaso? Resta, e solido, ma in un sistema di raro equilibrio. Si pensi alla felicità, essenzialmente operazione dell’intelletto, non della volontà, che è sì appetito razionale, ma come appetito è comune a tutti gli enti, e non è proprio dell’uomo: a rendere l’uomo di una determinata specie è l’intelletto, non la volontà, la conoscenza, non l’amore. E tuttavia, è lo stesso Tommaso che continua a ritenere, e a ripetere, che «amare Dio vale più che conoscerlo», e che «ogni agente compie qualsiasi atto [e quindi anche l’uomo l’intelligere] per un qualche amore».
IL carattere universale dell'amore in Tommaso d'Aquino
DE DOMINICIS, Emilio
2007-01-01
Abstract
L’opinione diffusa, e per più versi motivata, dell’intellettualismo di Tommaso d’Aquino porterebbe a ritenere che nel suo pensiero il tema dell’amore sia secondario, o addirittura marginale. Non è affatto così. L’amore, per Tommaso, ha una sua universalità sia in sé, sia nella vita dell’uomo. 1. Universalità dell’amore in riferimento alla sfera appetitiva. L’amore è il primo moto, il primo atto, della volontà e di ogni forma appetitiva. Ora, l’appetito è presente negli enti naturali come appetito naturale, negli animali come appetito sensitivo, negli esseri di natura intellettiva (l’uomo, gli angeli, Dio) come appetito razionale o volontà. Dunque, se l’amore ha la stessa estensione dell’appetito, sarà, in varie forme, universale come l’appetito stesso. 2. Universalità dell’amore in riferimento al bene. Il bene è l’oggetto proprio dell’amore. Ma il bene per un verso ha a che fare con il fine, e per altro verso si identifica con l’essere. Intanto, il bene è ciò a cui tutto tende come fine (bene si dice quanto è desiderato, e ciò implica l’idea di fine), e il fine è ciò a cui chi agisce tende in quanto è bene (tutto ciò che ha il carattere di fine ha anche il carattere di bene). Ma se è così, se bene e fine si coappartengono, se ogni ente agisce per un fine che è bene e per un bene che è fine, l’amore, che ha come oggetto proprio il bene, sarà in tutti gli agenti, moti, atti: è in certo modo universale. In secondo luogo, bene e essere si identificano ontologicamente. Ciò può essere dimostrato sia a partire dal bene che a partire dall’essere. Ma se così stanno le cose, se dovunque vi è l’essere vi è il bene, se il bene ha la stessa estensione dell’essere, l’amore, che ha come oggetto proprio il bene, ha la stessa universalità dell’essere. 3. Universalità dell’amore nell’uomo. Anzitutto, se è coesteso all’appetito, l’amore è presente nell’uomo a vari livelli: amore naturale in quanto l’uomo è un ente, sensitivo in quanto è animale, intellettivo in quanto essere di natura intellettiva. Così, per l’appetito naturale, l’uomo ama l’autoconservazione, anzi l’immortalità; per l’appetito sensitivo, ama la conservazione della specie, con cui però non si identifica, essendo ad essa superiore per la propria natura intellettiva; per l’appetito intellettivo, ama conoscere la verità e vivere in società. Più precisamente, sulla base della natura specifica dell’uomo, l’amore di sé comporta: il vivere in società, che trova la sua attuazione adeguata nell’amicizia (amore per l’altro come altro se stesso); la piena realizzazione dell’intelletto, che trova il suo compimento nella contemplazione di ciò che vi è di più alto nella scala dell’essere, cioè Dio; il pieno appagamento della volontà nell’adesione al bene come tale, al bene sommo, che è Dio. Dunque, anche nell’uomo, l’amore ha una sua universalità: in via generale, amore di sé come amore naturale, sensitivo, intellettivo; specificamente, in forza della natura intellettiva, amore di sé che implica l’amore dell’altro e l’amore di Dio. A questo punto, che ne è dell’intellettualismo di Tommaso? Resta, e solido, ma in un sistema di raro equilibrio. Si pensi alla felicità, essenzialmente operazione dell’intelletto, non della volontà, che è sì appetito razionale, ma come appetito è comune a tutti gli enti, e non è proprio dell’uomo: a rendere l’uomo di una determinata specie è l’intelletto, non la volontà, la conoscenza, non l’amore. E tuttavia, è lo stesso Tommaso che continua a ritenere, e a ripetere, che «amare Dio vale più che conoscerlo», e che «ogni agente compie qualsiasi atto [e quindi anche l’uomo l’intelligere] per un qualche amore».File | Dimensione | Formato | |
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