La definizione delle condotte di terrorismo internazionale, introdotta nel nostro ordinamento mediante l’art. 270 sexies c.p., inseritovi a mezzo della l. 155/2005, costituisce l’oggetto di questo lavoro. Esso si fa carico, infatti, di fornire un’esegesi sufficientemente plausibile di una norma che, varata sotto l’impulso di dare una puntuale risposta ai più recenti atti di terrorismo internazionale e di superare i contrasti interpretativi che proprio l’irreperibilità di una nozione di terrorismo aveva provocato, dà luogo, peraltro, a sua volta ad ulteriori incertezze ermeneutiche, collegate inevitabilmente ai tempi stretti che ne avevano accompagnato la gestazione. Ciò posto, ne riesce agevole la scomposizione in due parti: la prima definisce in via autonoma le condotte con finalità di terrorismo internazionale, secondo cadenze che immediatamente indicheremo; la seconda, strutturata secondo lo schema delle norme penali in bianco, che attribuisce la stessa qualità alle condotte definite come tali da “convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia”. In rapporto alla porzione “autonoma” di questa definizione, si pone poi l’ulteriore problema di darne una lettura unitaria, tendente ad associare quella che è la loro idoneità lesiva con il dolo specifico che le connota; oppure di optare per una loro lettura in forma disgiunta. Questa seconda possibilità interpretativa, per quanto non ne mancassero fautori, viene respinta, poiché giunge a fissare l’estremo oggettivo della condotta in parola nella sola idoneità a recare “un grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale”, laddove il dolo specifico, di séguito richiesto, viene confinato in una dimensione esclusivamente soggettiva. Una sua delineazione in questi termini, peraltro, non può sortire altro effetto che quello di far collidere una condotta così tipizzata con il principio costituzionale di tassatività (rectius, di precisione) della norma penale. Questa constatazione induce, ulteriormente, a interrogarsi sul quesito se la lotta al terrorismo consenta, in virtù dell’obiettivo che si prefigge, di sacrificare princìpi fondamentali dello Stato di diritto; il che, nel contesto della tematica trattata, potrebbe appunto verificarsi con riferimento al principio di tassatività. Un interrogativo di tal genere impone, ineludibilmente, un’ampia digressione sugli orientamenti che nella dottrina tedesca, assumendo come punto di riferimento le posizioni di Günther Jakobs, si sono espressi a favore della possibilità che il c.d. “diritto penale del nemico”, espressione con la quale si vuole in questa sede alludere alla normativa di contrasto al terrorismo internazionale, contempli deroghe siffatte. Del pensiero jakobsiano vengono indagate travi portanti e piattaforme di carattere normativo. La conclusione ultima è, comunque, che le deroghe che dal suo accoglimento discenderebbero per fondamentali princìpi di garanzia, sia sul piano sostanziale sia su quello processuale, di uno Stato di diritto siano da respingere anche quando a giustificarle sarebbe invocabile la ragione della lotta al terrorismo. Questa conclusione ha immediate ricadute pratiche sotto il profilo dell’interpretazione dell’art. 270 sexies: della sua prima parte –quella autonoma— viene proposta una rilettura complessiva, suscettibile di non esporsi ai dubbi di incostituzionalità, per violazione del principio di tassatività, ai quali quella dianzi richiamata si esponeva. Il contributo si sofferma analiticamente anche sulle nuove disposizioni incriminatrici parimenti introdotte dalla l. 155/2005: le ipotesi di arruolamento e addestramento (ad attività) con finalità di terrorismo anche internazionale (cfr. gli artt. 270 quater e 270 quinquies c.p.). Ne vengono segnatamente indagati la struttura e i rapporti con l’associazione di cui all’art. 270 bis c.p..
Le condotte con finalità di terrorismo
MANTOVANI, MARCO ORLANDO
2006-01-01
Abstract
La definizione delle condotte di terrorismo internazionale, introdotta nel nostro ordinamento mediante l’art. 270 sexies c.p., inseritovi a mezzo della l. 155/2005, costituisce l’oggetto di questo lavoro. Esso si fa carico, infatti, di fornire un’esegesi sufficientemente plausibile di una norma che, varata sotto l’impulso di dare una puntuale risposta ai più recenti atti di terrorismo internazionale e di superare i contrasti interpretativi che proprio l’irreperibilità di una nozione di terrorismo aveva provocato, dà luogo, peraltro, a sua volta ad ulteriori incertezze ermeneutiche, collegate inevitabilmente ai tempi stretti che ne avevano accompagnato la gestazione. Ciò posto, ne riesce agevole la scomposizione in due parti: la prima definisce in via autonoma le condotte con finalità di terrorismo internazionale, secondo cadenze che immediatamente indicheremo; la seconda, strutturata secondo lo schema delle norme penali in bianco, che attribuisce la stessa qualità alle condotte definite come tali da “convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia”. In rapporto alla porzione “autonoma” di questa definizione, si pone poi l’ulteriore problema di darne una lettura unitaria, tendente ad associare quella che è la loro idoneità lesiva con il dolo specifico che le connota; oppure di optare per una loro lettura in forma disgiunta. Questa seconda possibilità interpretativa, per quanto non ne mancassero fautori, viene respinta, poiché giunge a fissare l’estremo oggettivo della condotta in parola nella sola idoneità a recare “un grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale”, laddove il dolo specifico, di séguito richiesto, viene confinato in una dimensione esclusivamente soggettiva. Una sua delineazione in questi termini, peraltro, non può sortire altro effetto che quello di far collidere una condotta così tipizzata con il principio costituzionale di tassatività (rectius, di precisione) della norma penale. Questa constatazione induce, ulteriormente, a interrogarsi sul quesito se la lotta al terrorismo consenta, in virtù dell’obiettivo che si prefigge, di sacrificare princìpi fondamentali dello Stato di diritto; il che, nel contesto della tematica trattata, potrebbe appunto verificarsi con riferimento al principio di tassatività. Un interrogativo di tal genere impone, ineludibilmente, un’ampia digressione sugli orientamenti che nella dottrina tedesca, assumendo come punto di riferimento le posizioni di Günther Jakobs, si sono espressi a favore della possibilità che il c.d. “diritto penale del nemico”, espressione con la quale si vuole in questa sede alludere alla normativa di contrasto al terrorismo internazionale, contempli deroghe siffatte. Del pensiero jakobsiano vengono indagate travi portanti e piattaforme di carattere normativo. La conclusione ultima è, comunque, che le deroghe che dal suo accoglimento discenderebbero per fondamentali princìpi di garanzia, sia sul piano sostanziale sia su quello processuale, di uno Stato di diritto siano da respingere anche quando a giustificarle sarebbe invocabile la ragione della lotta al terrorismo. Questa conclusione ha immediate ricadute pratiche sotto il profilo dell’interpretazione dell’art. 270 sexies: della sua prima parte –quella autonoma— viene proposta una rilettura complessiva, suscettibile di non esporsi ai dubbi di incostituzionalità, per violazione del principio di tassatività, ai quali quella dianzi richiamata si esponeva. Il contributo si sofferma analiticamente anche sulle nuove disposizioni incriminatrici parimenti introdotte dalla l. 155/2005: le ipotesi di arruolamento e addestramento (ad attività) con finalità di terrorismo anche internazionale (cfr. gli artt. 270 quater e 270 quinquies c.p.). Ne vengono segnatamente indagati la struttura e i rapporti con l’associazione di cui all’art. 270 bis c.p..I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.