Quali sono le prime cose che vengono in mente sentendo la parola Cina? Probabilmente, nell’ordine, sarebbero: paese socialista, regime autoritario, patria della contraffazione e della pirateria commerciale. Qualcuno, non molti, da qualche tempo in qua potrebbe aver imparato ad aggiungere a questo elenco anche: realtà economica in forte sviluppo. E’ una visione riduttiva, semplicistica, e questo perché spesso le informazioni a cui si fa riferimento per definire una realtà come quella cinese lo sono altrettanto. Seguendo comunque la scia di questo semplicismo potremmo anche noi tracciare un profilo del Regno di Mezzo in poche righe. La Cina è un paese che si estende su un’area di 9.596.960 chilometri quadrati e che, stando agli ultimi dati del luglio di quest’anno, conta su una popolazione di 1.298.847.624 abitanti con un tasso di crescita annuo dello 0,57%. L’economia cinese cresce invece con un tasso del 9,1% annuo (in termini di GDP ) il che, insieme a un prodotto interno lordo di 6.400 miliardi di dollari nel 2003 , porta la Cina a essere la seconda potenza economica del mondo dopo gli Stati Uniti. E questo potrebbe essere quanto. Ma di fronte a dati economici di tale portata, riprendiamo la prima affermazione riportata all’inizio è chiediamoci se non sia stonata. La Cina è veramente un paese socialista? La guida del paese è effettivamente nelle mani del Partito Comunista Cinese (PCC), che conta 63 millioni di iscritti e che controlla il processo decisionale cinese a ogni livello. Ogni organismo dirigente esistente in Cina, dal governo centrale giù fino ai governi locali, è costellato da un universo di comitati di partito che di fatto raddoppiano tutte le cariche di governo esistenti. Ciò ha permesso dal 1949 a oggi di creare un’identità perfetta fra Stato e partito e contemporaneamente ha impedito che elementi non appartenenti al PCC potessero dar vita a organizzazioni politiche in grado di contrastare il suo primato. Il PCC stabilisce i propri organi dirigenti e le proprie linee guida attraverso il meccanismo congressuale, che si attiva ogni cinque anni. Gli organi principali che caratterizzano il PCC sono: Il segretario generale, ovvero l’uomo guida del partito e del paese; il congresso, dove più di 2.000 delegati da tutti i comitati del partito si riuniscono per eleggere il Comitato Centrale (CC) . Un gradino più in alto del CC si trova il cosiddetto Politburo, che raccoglie oggi 22 membri , in rappresentanza delle maggiori forze interne al partito. Il vertice reale del potere del PCC giace però nelle mani del Comitato permanente del Politburo, sancta sanctorum di ogni decisione poltica, i cui 9 membri sono i massimi leader del paese e nella Commissione Militare Centrale, di fatto la stanza dei bottoni che controlla l’Esercito Popolare di Liberazione e il suo arsenale. La struttura dello Stato poggia invece sui seguenti organi: la presidenza della Repubblica , il Consiglio di Stato (che a sua volta comprende il primo ministro, quattro vice primi ministri, cinque vice ministri senza portafoglio, e ventinove ministeri) e l’Assemblea Nazionale del Popolo , ovvero il parlamento cinese. L’istantanea dei vertici di potere emersi nel 2002 dopo il XVI congresso del PCC può apparire, a prima vista, solo un elenco: Hu Jintao presidente della Repubblica Popolare Cinese e contemporaneamente segretario generale del Partito Comunista Cinese, Jiang Zemin presidente della Commissione Militare Centrale, Zeng Qinghong vice presidente della repubblica, Wen Jiabao presidente del Consiglio di Stato, Wu Bangguo presidente dell’Assemblea Nazionale del Popolo. Solitamente, è più o meno a questo livello che si fermano le informazioni che i mass media del nostro paese ritengono necessarie per capire cos’è il governo cinese. Una visione di questo tipo, un semplice elenco di nomi difficili da pronunciare accanto a una carica, restituisce in pieno quell’apparente granitica omogeneità e non analizzabilità dell’apparato dirigente tale da rendere di nuovo plausibile la parola paese socialista, regime autoritario. E invece non è così e una delle chiavi per capire il difficile percorso che ha condotto la cosiddetta Cina popolare dalle epurazioni della Rivoluzione Culturale ai Mac Donalds sta tutta nel rompere questo concetto di omogeneità e di capire la natura estremamente poliedrica del processo decisionale -e quindi politico- che si è sempre manifestata all’interno del PCC. Questo articolo si ripropone di restituire alla politica cinese, attraverso un ripercorrere i sentieri della sua storia recente, quella poliedricità, o quanto meno quella essenziale dicotomia da sempre alla base del dibattito politico in seno al PCC. Una dicotomia che serva da cartina di tornasole per provare a leggere, questa volta nella chiave della complessità e non del riduzionismo, alcuni dei “perché?” che il mondo sta formulando nel relazionarsi con il gigante asiatico all’inizio del secolo cinese.

La Cina e' ancora un paese socialista?

TRENTIN, GIORGIO
2005-01-01

Abstract

Quali sono le prime cose che vengono in mente sentendo la parola Cina? Probabilmente, nell’ordine, sarebbero: paese socialista, regime autoritario, patria della contraffazione e della pirateria commerciale. Qualcuno, non molti, da qualche tempo in qua potrebbe aver imparato ad aggiungere a questo elenco anche: realtà economica in forte sviluppo. E’ una visione riduttiva, semplicistica, e questo perché spesso le informazioni a cui si fa riferimento per definire una realtà come quella cinese lo sono altrettanto. Seguendo comunque la scia di questo semplicismo potremmo anche noi tracciare un profilo del Regno di Mezzo in poche righe. La Cina è un paese che si estende su un’area di 9.596.960 chilometri quadrati e che, stando agli ultimi dati del luglio di quest’anno, conta su una popolazione di 1.298.847.624 abitanti con un tasso di crescita annuo dello 0,57%. L’economia cinese cresce invece con un tasso del 9,1% annuo (in termini di GDP ) il che, insieme a un prodotto interno lordo di 6.400 miliardi di dollari nel 2003 , porta la Cina a essere la seconda potenza economica del mondo dopo gli Stati Uniti. E questo potrebbe essere quanto. Ma di fronte a dati economici di tale portata, riprendiamo la prima affermazione riportata all’inizio è chiediamoci se non sia stonata. La Cina è veramente un paese socialista? La guida del paese è effettivamente nelle mani del Partito Comunista Cinese (PCC), che conta 63 millioni di iscritti e che controlla il processo decisionale cinese a ogni livello. Ogni organismo dirigente esistente in Cina, dal governo centrale giù fino ai governi locali, è costellato da un universo di comitati di partito che di fatto raddoppiano tutte le cariche di governo esistenti. Ciò ha permesso dal 1949 a oggi di creare un’identità perfetta fra Stato e partito e contemporaneamente ha impedito che elementi non appartenenti al PCC potessero dar vita a organizzazioni politiche in grado di contrastare il suo primato. Il PCC stabilisce i propri organi dirigenti e le proprie linee guida attraverso il meccanismo congressuale, che si attiva ogni cinque anni. Gli organi principali che caratterizzano il PCC sono: Il segretario generale, ovvero l’uomo guida del partito e del paese; il congresso, dove più di 2.000 delegati da tutti i comitati del partito si riuniscono per eleggere il Comitato Centrale (CC) . Un gradino più in alto del CC si trova il cosiddetto Politburo, che raccoglie oggi 22 membri , in rappresentanza delle maggiori forze interne al partito. Il vertice reale del potere del PCC giace però nelle mani del Comitato permanente del Politburo, sancta sanctorum di ogni decisione poltica, i cui 9 membri sono i massimi leader del paese e nella Commissione Militare Centrale, di fatto la stanza dei bottoni che controlla l’Esercito Popolare di Liberazione e il suo arsenale. La struttura dello Stato poggia invece sui seguenti organi: la presidenza della Repubblica , il Consiglio di Stato (che a sua volta comprende il primo ministro, quattro vice primi ministri, cinque vice ministri senza portafoglio, e ventinove ministeri) e l’Assemblea Nazionale del Popolo , ovvero il parlamento cinese. L’istantanea dei vertici di potere emersi nel 2002 dopo il XVI congresso del PCC può apparire, a prima vista, solo un elenco: Hu Jintao presidente della Repubblica Popolare Cinese e contemporaneamente segretario generale del Partito Comunista Cinese, Jiang Zemin presidente della Commissione Militare Centrale, Zeng Qinghong vice presidente della repubblica, Wen Jiabao presidente del Consiglio di Stato, Wu Bangguo presidente dell’Assemblea Nazionale del Popolo. Solitamente, è più o meno a questo livello che si fermano le informazioni che i mass media del nostro paese ritengono necessarie per capire cos’è il governo cinese. Una visione di questo tipo, un semplice elenco di nomi difficili da pronunciare accanto a una carica, restituisce in pieno quell’apparente granitica omogeneità e non analizzabilità dell’apparato dirigente tale da rendere di nuovo plausibile la parola paese socialista, regime autoritario. E invece non è così e una delle chiavi per capire il difficile percorso che ha condotto la cosiddetta Cina popolare dalle epurazioni della Rivoluzione Culturale ai Mac Donalds sta tutta nel rompere questo concetto di omogeneità e di capire la natura estremamente poliedrica del processo decisionale -e quindi politico- che si è sempre manifestata all’interno del PCC. Questo articolo si ripropone di restituire alla politica cinese, attraverso un ripercorrere i sentieri della sua storia recente, quella poliedricità, o quanto meno quella essenziale dicotomia da sempre alla base del dibattito politico in seno al PCC. Una dicotomia che serva da cartina di tornasole per provare a leggere, questa volta nella chiave della complessità e non del riduzionismo, alcuni dei “perché?” che il mondo sta formulando nel relazionarsi con il gigante asiatico all’inizio del secolo cinese.
2005
9788883091742
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