Sulla scia di Max Scheler, negli anni 60 del secolo precedente non molto noto in Italia, Ferretti scriveva: «Alla visione naturalistica dell’uomo, cui Nietzsche è rimasto legato, Scheler contrappone invece una visione nettamente spiritualista e personalista. La specifica natura dell’uomo non si trova nell’ambito del vitale, bensì nel trascendere il vitale. L’uomo è l’essere che, pur attraverso attività biologicamente finalizzate, come la fabbricazione di strumenti, trascende ogni vita, e se stesso in quanto semplice vita»; e proseguendo: «All’essenza dell’uomo appartiene l’indefinibilità». Il che non costringe ad un mutismo sull’uomo ma ne conduce la caratterizzazione come «apertura e tensione all’infinito e […] come trascendenza sulla vita». Pochi anni dopo lo studio su Scheler, Ferretti declinava le istanze antropologiche recepite nello studio del fenomenologo tedesco non nel senso dell’antropologia filosofica “classica” ma leggendo il tema alla luce di una questione ben più ampia nella quale la filosofia contemporanea si è coinvolta, la questione della soggettività. Il testo Soggettività contemporanea e crisi delle antropologie legava, appunto, la crisi antropologica all’emergere di una nuova soggettività. Tre i modelli antropologici analizzati: il modello cristiano, il modello illuministico-borghese, il modello marxista, la cui crisi è causata sia dal loro contrapporsi reciproco, sia dalla trasformazione che internamente ciascuno dei modelli, nel tempo, conosce. L’individuazione di tale crisi era però finalizzata alla messa in luce della novità che dalla medesima scaturisce: se, infatti, per un verso, la crisi generata dalla contrapposizione dei tre modelli si acuiva, per altro verso poteva aprire «prospettive di incontro su terreni ancora inediti» e nuovi per i tre modelli in questione. La crisi delle antropologie ritrova una questione già annunciata nel testo su Scheler, ossia la ricerca di un’“idea di uomo”, così annunciata nel testo Soggettività contemporanea e crisi delle antropologie: «Ciò che si è fatto problema non è solo il mondo da organizzare per l’uomo, ma l’uomo stesso. L’uomo è diventato problema a se stesso e sta prendendo coscienza di questa situazione radicalmente problematica». Problema, o questione che non ha nulla di astratto quando non parte da un’astratta definizione dell’uomo, ché “all’essenza dell’uomo appartiene l’indefinibilità”. È, allora, dalla crisi stessa che il nuovo appare, giacché ad andare in crisi è un modello che non risponde all’uomo ed alla sua indefinibile essenza. L’uomo diventa problema a se stesso nel momento in cui il modello che “lo descrive” non gli risponde più. Il luogo di tale crisi, scrive Ferretti, è la “nuova soggettività”, e da questa “novità” partiranno altri suoi studi. Resta ancora possibile, tuttavia, la questione di ritorno, dalla soggettività all’uomo, per due motivi: in primo luogo, perché già in Soggettività contemporanea e crisi delle antropologie l’antropologia è sciolta dalla questione, per così dire, più “tecnica” dell’antropologia filosofica e condotta a quel nucleo dell’uomo che si fa problema, quaestio, riecheggiando l’agostiniano annuncio delle Confessiones «oculis mihi quaestio factus sum» (Conf. X 33, 50). A fare l’uomo quaestio è – certamente – la crisi nella quale finisce col trovarsi in e per modelli antropologici che pretendono di definirne l’indefinibile essenza. Indefinibile in quanto “apertura e tensione all’infinito” e “trascendenza sulla vita”; trascendenza costantemente tentata da Ferretti, fino alle più recenti riflessioni dedicate alla “funzione meta-” quale ripresa della metafisica. Può essere, tale “funzione meta-”, declinata anche nella quaestio de homine? Sarà la posta messa in gioco in queste pagine, concependo l’uomo come immagine irrappresentabile e leggendo quest’ultima quale crocevia di immanenza e trascendenza. L’immagine, però, si dice in tanti modi, innanzitutto come idolo ed icona. Ecco, allora, quale punto di partenza, già due modi di dire l’immagine dell’uomo, fugando fin da subito ogni equivoco: dell’idolo-immagine si dirà prevalentemente nei termini di immagine-simulacro (estetico, e non idolo religioso).

L'uomo, immagine irrappresentabile

CANULLO, Carla
2009-01-01

Abstract

Sulla scia di Max Scheler, negli anni 60 del secolo precedente non molto noto in Italia, Ferretti scriveva: «Alla visione naturalistica dell’uomo, cui Nietzsche è rimasto legato, Scheler contrappone invece una visione nettamente spiritualista e personalista. La specifica natura dell’uomo non si trova nell’ambito del vitale, bensì nel trascendere il vitale. L’uomo è l’essere che, pur attraverso attività biologicamente finalizzate, come la fabbricazione di strumenti, trascende ogni vita, e se stesso in quanto semplice vita»; e proseguendo: «All’essenza dell’uomo appartiene l’indefinibilità». Il che non costringe ad un mutismo sull’uomo ma ne conduce la caratterizzazione come «apertura e tensione all’infinito e […] come trascendenza sulla vita». Pochi anni dopo lo studio su Scheler, Ferretti declinava le istanze antropologiche recepite nello studio del fenomenologo tedesco non nel senso dell’antropologia filosofica “classica” ma leggendo il tema alla luce di una questione ben più ampia nella quale la filosofia contemporanea si è coinvolta, la questione della soggettività. Il testo Soggettività contemporanea e crisi delle antropologie legava, appunto, la crisi antropologica all’emergere di una nuova soggettività. Tre i modelli antropologici analizzati: il modello cristiano, il modello illuministico-borghese, il modello marxista, la cui crisi è causata sia dal loro contrapporsi reciproco, sia dalla trasformazione che internamente ciascuno dei modelli, nel tempo, conosce. L’individuazione di tale crisi era però finalizzata alla messa in luce della novità che dalla medesima scaturisce: se, infatti, per un verso, la crisi generata dalla contrapposizione dei tre modelli si acuiva, per altro verso poteva aprire «prospettive di incontro su terreni ancora inediti» e nuovi per i tre modelli in questione. La crisi delle antropologie ritrova una questione già annunciata nel testo su Scheler, ossia la ricerca di un’“idea di uomo”, così annunciata nel testo Soggettività contemporanea e crisi delle antropologie: «Ciò che si è fatto problema non è solo il mondo da organizzare per l’uomo, ma l’uomo stesso. L’uomo è diventato problema a se stesso e sta prendendo coscienza di questa situazione radicalmente problematica». Problema, o questione che non ha nulla di astratto quando non parte da un’astratta definizione dell’uomo, ché “all’essenza dell’uomo appartiene l’indefinibilità”. È, allora, dalla crisi stessa che il nuovo appare, giacché ad andare in crisi è un modello che non risponde all’uomo ed alla sua indefinibile essenza. L’uomo diventa problema a se stesso nel momento in cui il modello che “lo descrive” non gli risponde più. Il luogo di tale crisi, scrive Ferretti, è la “nuova soggettività”, e da questa “novità” partiranno altri suoi studi. Resta ancora possibile, tuttavia, la questione di ritorno, dalla soggettività all’uomo, per due motivi: in primo luogo, perché già in Soggettività contemporanea e crisi delle antropologie l’antropologia è sciolta dalla questione, per così dire, più “tecnica” dell’antropologia filosofica e condotta a quel nucleo dell’uomo che si fa problema, quaestio, riecheggiando l’agostiniano annuncio delle Confessiones «oculis mihi quaestio factus sum» (Conf. X 33, 50). A fare l’uomo quaestio è – certamente – la crisi nella quale finisce col trovarsi in e per modelli antropologici che pretendono di definirne l’indefinibile essenza. Indefinibile in quanto “apertura e tensione all’infinito” e “trascendenza sulla vita”; trascendenza costantemente tentata da Ferretti, fino alle più recenti riflessioni dedicate alla “funzione meta-” quale ripresa della metafisica. Può essere, tale “funzione meta-”, declinata anche nella quaestio de homine? Sarà la posta messa in gioco in queste pagine, concependo l’uomo come immagine irrappresentabile e leggendo quest’ultima quale crocevia di immanenza e trascendenza. L’immagine, però, si dice in tanti modi, innanzitutto come idolo ed icona. Ecco, allora, quale punto di partenza, già due modi di dire l’immagine dell’uomo, fugando fin da subito ogni equivoco: dell’idolo-immagine si dirà prevalentemente nei termini di immagine-simulacro (estetico, e non idolo religioso).
2009
9788834318478
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