Il saggio è basato in larga parte su una vasta ricerca di archivio riguardante il reperimento di notizie sulla produzione di manufatti lignei nell'area appenninica delle Marche, in particolare nel territorio dell'ex ducato di Camerino nel '400 (confluita in un'Appendice documentaria da me curata). Ad essere ricostruita è stata innanzitutto l'attività, quasi del tutto ignota, del maestro Paolino da Ascoli, stabilitosi a metà del '400 a San Ginesio, nel maceratese, e attivissimo fra la città natale, Tolentino, Perugia e Assisi come autore soprattutto di cori lignei. La produzione ascolana affonda le sue radici su una solida tradizione, attestata dal fatto che Paolino è figlio di Giovanni di Matteo da Maltignano, autore dello spettacolare coro della cattedrale di Ascoli: tale tradizione è caratterizzata dall'uso di forme accentuatamente gotiche, dove sopravvive un repertorio fantastico di stampo medievale, che Paolino aggiorna progressivamente con inserimento di elementi intarsiati, affidati, come attestano i documenti, ad almeno uno specialista toscano, il maestro Tommaso di Antonio Franchini da Firenze. Di Tommaso da Firenze, così come di altri allievi e collaboratori di Paolino (il dalmata Giovanni schiavo e Apollonio da Ripatransone) si possono seguire le vicende successive alla morte del maestro, avvenuta nel 1467 mentre Paolino attendeva all'esecuzione del coro della basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. I documenti scritti e le opere permettono di sostenere l'ipotesi di una continuità operativa fra la bottega di Paolino e quella di Domenico Indivini da Sanseverino, il maggior intagliatore marchigiano del '400. Se nelle cornici dei polittici di Serrapetrona (1477) e San Severino (1481), dipinti rispettivamente da Lorenzo d'Alessandro e Vittore Crivelli, Indivini aderisce pienamente alla voga gotica di derivazione veneziana, nei cori (duomo di Sanseverino, dal 1483, cattedrale di Jesi, dal 1485, Santa Chiara a Camerino, 1489) introduce la tarsia, mostrando la conoscenza ravvicinata di modelli toscani, fra i quali il coro della cattedrale di Perugia, di Giuliano da Maiano e Domenico del Tasso, oltre che delle tarsie di Loreto, dello stesso Giuliano. Nel coro della basilica superiore di Assisi, opera finale della carriera del maestro, datata 1501, Indivini fornirà una soluzione ibrida e personale, combinando in un unico complesso arditi pinnacoli gotici e virtuosistici intagli a pannelli in tarsia di natura illusionistica su modello urbinate e toscano, a tarsie figurate legate invece alla tradizione padana e lendinaresca. Nel corso si dispiega a una completa galleria di francescani illustri intarsiati sui cartoni opera di Lorenzo d'Alessandro. Larga parte del saggio è dedicata inoltre alla ricostruizione della bottega di Indivini, in particolare al rapporto con Sebastiano di Giovanni d'Appennino, l'allievo prediletto che il maestro nominerà erede nel testamento del 1502 e che verrà adottato nel 1504 dalla vedova Lucia. Di Sebastiano d'Appennino esistono almeno due opere sicure, i crocifissi di Ascoli (Pinacoteca, dalla chiesa della SS. Annunziata) e Macerata (chiesa di Santa Croce). Le due opere si prestano a eloquenti confronti di stile e tecnica esecutiva con le numerose sculture un tempo riunite nel gruppo anonimo del "maestro della Madonna di Macereto": per molte di esse la mostra di cui il saggio fa parte ha proposto infatti l'attribuzione alla bottega di Domenico Indivini, proseguita da Sebastiano prima a Sanseverino e poi, dal 1515, ad Ascoli, dove l'intagliatore collabora con Cola dell'Amatrice. Si è dunque potuto recuperare un importanti aspetti della produzione artistica del '400, attestato da numerose opere in larga parte sul territorio e gettare luce su un momento di grande vivacità culturale e artistica.

Domenico Indivini e Sebastiano d’Appennino: una bottega di scultura e intarsio nelle Marche del Rinascimento

COLTRINARI, FRANCESCA
2006-01-01

Abstract

Il saggio è basato in larga parte su una vasta ricerca di archivio riguardante il reperimento di notizie sulla produzione di manufatti lignei nell'area appenninica delle Marche, in particolare nel territorio dell'ex ducato di Camerino nel '400 (confluita in un'Appendice documentaria da me curata). Ad essere ricostruita è stata innanzitutto l'attività, quasi del tutto ignota, del maestro Paolino da Ascoli, stabilitosi a metà del '400 a San Ginesio, nel maceratese, e attivissimo fra la città natale, Tolentino, Perugia e Assisi come autore soprattutto di cori lignei. La produzione ascolana affonda le sue radici su una solida tradizione, attestata dal fatto che Paolino è figlio di Giovanni di Matteo da Maltignano, autore dello spettacolare coro della cattedrale di Ascoli: tale tradizione è caratterizzata dall'uso di forme accentuatamente gotiche, dove sopravvive un repertorio fantastico di stampo medievale, che Paolino aggiorna progressivamente con inserimento di elementi intarsiati, affidati, come attestano i documenti, ad almeno uno specialista toscano, il maestro Tommaso di Antonio Franchini da Firenze. Di Tommaso da Firenze, così come di altri allievi e collaboratori di Paolino (il dalmata Giovanni schiavo e Apollonio da Ripatransone) si possono seguire le vicende successive alla morte del maestro, avvenuta nel 1467 mentre Paolino attendeva all'esecuzione del coro della basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. I documenti scritti e le opere permettono di sostenere l'ipotesi di una continuità operativa fra la bottega di Paolino e quella di Domenico Indivini da Sanseverino, il maggior intagliatore marchigiano del '400. Se nelle cornici dei polittici di Serrapetrona (1477) e San Severino (1481), dipinti rispettivamente da Lorenzo d'Alessandro e Vittore Crivelli, Indivini aderisce pienamente alla voga gotica di derivazione veneziana, nei cori (duomo di Sanseverino, dal 1483, cattedrale di Jesi, dal 1485, Santa Chiara a Camerino, 1489) introduce la tarsia, mostrando la conoscenza ravvicinata di modelli toscani, fra i quali il coro della cattedrale di Perugia, di Giuliano da Maiano e Domenico del Tasso, oltre che delle tarsie di Loreto, dello stesso Giuliano. Nel coro della basilica superiore di Assisi, opera finale della carriera del maestro, datata 1501, Indivini fornirà una soluzione ibrida e personale, combinando in un unico complesso arditi pinnacoli gotici e virtuosistici intagli a pannelli in tarsia di natura illusionistica su modello urbinate e toscano, a tarsie figurate legate invece alla tradizione padana e lendinaresca. Nel corso si dispiega a una completa galleria di francescani illustri intarsiati sui cartoni opera di Lorenzo d'Alessandro. Larga parte del saggio è dedicata inoltre alla ricostruizione della bottega di Indivini, in particolare al rapporto con Sebastiano di Giovanni d'Appennino, l'allievo prediletto che il maestro nominerà erede nel testamento del 1502 e che verrà adottato nel 1504 dalla vedova Lucia. Di Sebastiano d'Appennino esistono almeno due opere sicure, i crocifissi di Ascoli (Pinacoteca, dalla chiesa della SS. Annunziata) e Macerata (chiesa di Santa Croce). Le due opere si prestano a eloquenti confronti di stile e tecnica esecutiva con le numerose sculture un tempo riunite nel gruppo anonimo del "maestro della Madonna di Macereto": per molte di esse la mostra di cui il saggio fa parte ha proposto infatti l'attribuzione alla bottega di Domenico Indivini, proseguita da Sebastiano prima a Sanseverino e poi, dal 1515, ad Ascoli, dove l'intagliatore collabora con Cola dell'Amatrice. Si è dunque potuto recuperare un importanti aspetti della produzione artistica del '400, attestato da numerose opere in larga parte sul territorio e gettare luce su un momento di grande vivacità culturale e artistica.
2006
9788836606931
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