Il diritto alla differenza non riguarda solo le donne, ma rappresenta un problema politico. L’attenzione alla differenza di genere, alla sua non riducibilità ad altre identità, porta con sé interrogativi riguardo al significato della differenza, per quanto il pensiero contemporaneo cerchi di eluderle sostituendo la differenza con una moltiplicazione delle differenze, considerate solo nella loro capacità di connettersi funzionalmente con delle altre. Interrogarsi sulla differenza vuol dire porre il problema del rapporto tra identità e differenza che è in fondo il cuore stesso della politica come essere insieme dei molti che sono tra di loro diversi e divergenti. In una dimensione democratica sarà reale, e non solo nominale, quell’uguaglianza che comporti l’uguaglianza fra i differenti. Un’uguaglianza reale tra i differenti esige che essi siano mantenuti come tali, nella loro specificità e irriducibilità. Il diritto alla differenza, delle donne in particolare, si ricollega al momento iniziale del diritto, vale a dire al diritto inteso come diritto ad agire, superando l’inerzia del destino. Nella prospettiva dell’attività originaria, il diritto è la legge di quell’essere insieme che la politica instaura, la politica è quel tenere insieme che ha bisogno del diritto. Se diritto vuol dire apertura all’alterità dell’altro e quindi, con il riconoscerlo, posizione del limite, del non poter disporre, la volontà odierna di disponibilità totale ne è la negazione. La differenza nella sua irriducibilità è stata negata storicamente e continua ancora oggi a non essere riconosciuta. Se il pensiero moderno poneva un’identità che escludeva quanto non era riconducibile ad essa, la differenza oggi è negata subdolamente attraverso la sua moltiplicazione infinita, al fine di renderla irrilevante e disponibile. La logica dell’identità ha rimosso l’essere due, la relazione costitutiva tra identità e differenza. Per uscire dall’unilateralità del dominio e dalla disponibilità senza limiti occorre instaurare una logica della relazione, muovendo dall’esclusione interna al nucleo stesso del soggetto che ne mette in crisi ogni sistematicità e autoreferenzialità. L’articolo esplora il coappartenersi di identità ed esclusione alla luce dei modelli statici di identificazione prodotti per il maschile e per il femminile. Il pensiero filosofico occidentale per progredire ha dovuto escludere proprio il femminile ed il maschile ha costruito la sua identità a partire da questa esclusione. In fondo, il campo degli esclusi delinea l’ambito della ragione umana in cui l’essere uomo e non donna, proprietario e non schiavo, rende immateriale il corpo dell’uomo razionale. Tuttavia, i corpi non sono separabili dalle norme regolative che governano la loro materializzazione, né dalle esclusioni che esse impongono. Se la produzione dei soggetti va di pari passo con quella degli abietti, il problema è reintrodurre ciò che è stato escluso nell’ambito della significazione politica. La politica tenderà a una democrazia reale nella misura in cui lavorerà a che siano incluse quelle esclusioni che ne hanno stabilizzato il campo discorsivo. Relazione vuol dire che ciascuno avverte se stesso sempre insieme con l’altro e che da questo avvertirsi può costruire una posizione di uguaglianza nella differenza. Il pensiero della differenza di genere necessita di una logica mutata in cui il sé non sia né dissolto in frammenti né definito una volta per tutte, ma possa avvertirsi nel e col riferirsi all’altro da sé e in questo riferirsi trasformarsi. Si tratta di una logica della relazione, attenta alla differenza e la cui unica legge è l’indisponibilità dell’altro. La sua norma sorge da un costitutivo essere-insieme che richiede il doppio movimento di assumere un’identità e avviarla alla trasformazione. Diritto alla differenza significa allora cogliere il diritto come ciò che permette di trattenere insieme identità e apertura alla relazione con altre differenze.

Il diritto alla differenza tra esclusione e indifferenza

AMADIO, Carla
2005-01-01

Abstract

Il diritto alla differenza non riguarda solo le donne, ma rappresenta un problema politico. L’attenzione alla differenza di genere, alla sua non riducibilità ad altre identità, porta con sé interrogativi riguardo al significato della differenza, per quanto il pensiero contemporaneo cerchi di eluderle sostituendo la differenza con una moltiplicazione delle differenze, considerate solo nella loro capacità di connettersi funzionalmente con delle altre. Interrogarsi sulla differenza vuol dire porre il problema del rapporto tra identità e differenza che è in fondo il cuore stesso della politica come essere insieme dei molti che sono tra di loro diversi e divergenti. In una dimensione democratica sarà reale, e non solo nominale, quell’uguaglianza che comporti l’uguaglianza fra i differenti. Un’uguaglianza reale tra i differenti esige che essi siano mantenuti come tali, nella loro specificità e irriducibilità. Il diritto alla differenza, delle donne in particolare, si ricollega al momento iniziale del diritto, vale a dire al diritto inteso come diritto ad agire, superando l’inerzia del destino. Nella prospettiva dell’attività originaria, il diritto è la legge di quell’essere insieme che la politica instaura, la politica è quel tenere insieme che ha bisogno del diritto. Se diritto vuol dire apertura all’alterità dell’altro e quindi, con il riconoscerlo, posizione del limite, del non poter disporre, la volontà odierna di disponibilità totale ne è la negazione. La differenza nella sua irriducibilità è stata negata storicamente e continua ancora oggi a non essere riconosciuta. Se il pensiero moderno poneva un’identità che escludeva quanto non era riconducibile ad essa, la differenza oggi è negata subdolamente attraverso la sua moltiplicazione infinita, al fine di renderla irrilevante e disponibile. La logica dell’identità ha rimosso l’essere due, la relazione costitutiva tra identità e differenza. Per uscire dall’unilateralità del dominio e dalla disponibilità senza limiti occorre instaurare una logica della relazione, muovendo dall’esclusione interna al nucleo stesso del soggetto che ne mette in crisi ogni sistematicità e autoreferenzialità. L’articolo esplora il coappartenersi di identità ed esclusione alla luce dei modelli statici di identificazione prodotti per il maschile e per il femminile. Il pensiero filosofico occidentale per progredire ha dovuto escludere proprio il femminile ed il maschile ha costruito la sua identità a partire da questa esclusione. In fondo, il campo degli esclusi delinea l’ambito della ragione umana in cui l’essere uomo e non donna, proprietario e non schiavo, rende immateriale il corpo dell’uomo razionale. Tuttavia, i corpi non sono separabili dalle norme regolative che governano la loro materializzazione, né dalle esclusioni che esse impongono. Se la produzione dei soggetti va di pari passo con quella degli abietti, il problema è reintrodurre ciò che è stato escluso nell’ambito della significazione politica. La politica tenderà a una democrazia reale nella misura in cui lavorerà a che siano incluse quelle esclusioni che ne hanno stabilizzato il campo discorsivo. Relazione vuol dire che ciascuno avverte se stesso sempre insieme con l’altro e che da questo avvertirsi può costruire una posizione di uguaglianza nella differenza. Il pensiero della differenza di genere necessita di una logica mutata in cui il sé non sia né dissolto in frammenti né definito una volta per tutte, ma possa avvertirsi nel e col riferirsi all’altro da sé e in questo riferirsi trasformarsi. Si tratta di una logica della relazione, attenta alla differenza e la cui unica legge è l’indisponibilità dell’altro. La sua norma sorge da un costitutivo essere-insieme che richiede il doppio movimento di assumere un’identità e avviarla alla trasformazione. Diritto alla differenza significa allora cogliere il diritto come ciò che permette di trattenere insieme identità e apertura alla relazione con altre differenze.
2005
9788834854440
8834854446
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/40011
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