La traduzione è esperienza? La domanda è fin troppo ed evidentemente retorica, perché che la traduzione sia tale non è una novità, come è stato osservato da voci autorevoli . Ma pur senza pretendere di dire nulla di nuovo, si può ridire diversamente ciò che è stato detto. Diversamente, ossia non proponendo nessuna novità ma senza perciò riassumere, recensire o commentare. Il pessimo escamotage retorico di un’apertura in forma d’interrogazione serve soltanto a questo: a sollecitare una risposta partendo – come inevitabile – dal già detto e valutare se e che cosa possa essere diversamente detto. Dove a fare la differenza non è necessariamente (o soltanto) l’originalità o il colpo di genio, ma l’invenzione. Che è anche originalità e colpo di genio, ma non soltanto. Inventare è certamente creare e la filosofia, come ogni altra scienza e disciplina, crea (nel suo caso specifico, «concetti» ). E ogni invenzione è a sua volta occasione per la scoperta di altre novità . Per la scoperta, dunque per trovare, reperire, scoprire altro, permettendo a questo “altro” di venire alla luce, di accadere . Ma c’è ancora un terzo tipo di invenzione, noto ai musicisti e che dunque, ricorre in musica. L’invenzione è una composizione libera in stile imitato, dove l’imitazione consiste nel “ripresentare”, con una diversa voce della trama musicale, un motivo già presentato ed intonato . Ciò detto torniamo alla prima questione posta. Che la traduzione sia esperienza non è una novità, certamente. Il che non esclude, tuttavia, che traduzione ed esperienza possano esser ridette in modo ancora diverso, intrecciando voci che, in modo differente, hanno detto quasi la stessa cosa finendo, però, col dire qualcosa di nuovo, inventando altro, scoprendolo o più semplicemente permettendogli di venire alla luce. Facendo, insomma, accadere ciò che altrimenti sarebbe restato intentato e inventando nel triplice senso di “creare”, “scoprire” e “trovare” (invenire), tramando l’intreccio virtuoso del dialogo, tessendo motivi più e meno noti. Rapide battute, queste, che servono a tratteggiare il nucleo dell’intreccio che sarà ordito da diverse voci per rispondere alla domanda: la traduzione è esperienza? E se sì, in che senso lo è? Si risponderà che è esperienza come mediazione nel dialogo (ossia nell’intreccio e nella trama) tra culture, dialogo nel quale ne va di “chi” dialoga e, prima ancora, traduce. “Chi” nel quale, a sua volta, è in gioco la trasfigurazione, o anche, la de-figurazione della “soggettività”.

La traduzione come esperienza di mediazione nel dialogo tra culture

CANULLO, Carla
2007-01-01

Abstract

La traduzione è esperienza? La domanda è fin troppo ed evidentemente retorica, perché che la traduzione sia tale non è una novità, come è stato osservato da voci autorevoli . Ma pur senza pretendere di dire nulla di nuovo, si può ridire diversamente ciò che è stato detto. Diversamente, ossia non proponendo nessuna novità ma senza perciò riassumere, recensire o commentare. Il pessimo escamotage retorico di un’apertura in forma d’interrogazione serve soltanto a questo: a sollecitare una risposta partendo – come inevitabile – dal già detto e valutare se e che cosa possa essere diversamente detto. Dove a fare la differenza non è necessariamente (o soltanto) l’originalità o il colpo di genio, ma l’invenzione. Che è anche originalità e colpo di genio, ma non soltanto. Inventare è certamente creare e la filosofia, come ogni altra scienza e disciplina, crea (nel suo caso specifico, «concetti» ). E ogni invenzione è a sua volta occasione per la scoperta di altre novità . Per la scoperta, dunque per trovare, reperire, scoprire altro, permettendo a questo “altro” di venire alla luce, di accadere . Ma c’è ancora un terzo tipo di invenzione, noto ai musicisti e che dunque, ricorre in musica. L’invenzione è una composizione libera in stile imitato, dove l’imitazione consiste nel “ripresentare”, con una diversa voce della trama musicale, un motivo già presentato ed intonato . Ciò detto torniamo alla prima questione posta. Che la traduzione sia esperienza non è una novità, certamente. Il che non esclude, tuttavia, che traduzione ed esperienza possano esser ridette in modo ancora diverso, intrecciando voci che, in modo differente, hanno detto quasi la stessa cosa finendo, però, col dire qualcosa di nuovo, inventando altro, scoprendolo o più semplicemente permettendogli di venire alla luce. Facendo, insomma, accadere ciò che altrimenti sarebbe restato intentato e inventando nel triplice senso di “creare”, “scoprire” e “trovare” (invenire), tramando l’intreccio virtuoso del dialogo, tessendo motivi più e meno noti. Rapide battute, queste, che servono a tratteggiare il nucleo dell’intreccio che sarà ordito da diverse voci per rispondere alla domanda: la traduzione è esperienza? E se sì, in che senso lo è? Si risponderà che è esperienza come mediazione nel dialogo (ossia nell’intreccio e nella trama) tra culture, dialogo nel quale ne va di “chi” dialoga e, prima ancora, traduce. “Chi” nel quale, a sua volta, è in gioco la trasfigurazione, o anche, la de-figurazione della “soggettività”.
2007
9788875431716
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