L'attuale scenario globale è caratterizzato da cambiamenti epocali che stanno ridefinendo i confini tra crisi e rivoluzione. Oggi la contemporaneità sembra essere intrappolata in una perenne dialettica tra un senso di instabilità costante e l'irrompere di innovazioni tecnologiche che, se da un lato aprono nuove prospettive, dall'altro sollevano questioni etiche e sociali complesse. In questo contesto, l'era digitale si presenta come uno dei fattori di cambiamento più rilevanti, soprattutto all’interno dell'educazione, che da sempre riveste un ruolo cruciale nella formazione della società. Il continuo e rapido sviluppo del digitale ha portato all'adozione su larga scala di settori specifici della ricerca scientifica, come l'intelligenza artificiale (IA), che, attraverso l'analisi di grandi quantità di dati, sta trasformando in modo significativo l’attuale contesto educativo e i relativi processi di insegnamento e apprendimento. Questo fenomeno rappresenta senza alcun dubbio una rivoluzione nella didattica e non solo, ma, allo stesso tempo, solleva criticità che richiedono una riflessione approfondita: come si stanno ridefinendo i ruoli dei docenti? Quali sono le implicazioni etiche e sociali dell'introduzione dell'IA nei processi formativi? È possibile preservare la mediazione umana nell'insegnamento, e – se sì – in che modo? È indubbio non sostenere che l’IA sia destinata ad assumere un ruolo sempre più dominante nella didattica. La sua capacità di personalizzare i contenuti in base alle esigenze individuali degli studenti rappresenta una potenzialità unica; questo, di per sé, è un tentativo per rendere la didattica oggi più inclusiva, accessibile e innovativa – almeno in teoria. Tuttavia, come sottolinea Luciano Floridi, uno dei maggiori studiosi nel campo dell'etica dell'IA al mondo, la rivoluzione tecnologica non è mai neutrale; essa porta con sé una serie di sfide etiche, che non possono essere trascurate. La dipendenza tecnologica è una delle problematiche principali: nel momento in cui gli studenti diventano troppo dipendenti dagli strumenti digitali, si rischia di ridurre l'azione didattica a meri scambi algoritmici, perdendo di vista il valore intrinseco delle interazioni tra docenti e studenti, essenziali per lo sviluppo critico e sociale di questi nella società. Il processo di apprendimento, infatti, non è solo acquisizione di informazioni e contenuti, ma anche un momento di crescita cognitiva, affettiva e relazionale che si sviluppa attraverso la mediazione umana. Non da meno, la questione sulla privacy e sulla sicurezza dei dati è un tema sempre più delicato. L'IA, per operare efficacemente, necessita di enormi quantità di dati personali, il che solleva interrogativi riguardo alla trasparenza dei processi decisionali delle macchine “intelligenti” e sulla protezione dei dati degli studenti stessi. Floridi parla di un’etica della datafication, ovvero della crescente tendenza a ridurre le persone e le loro attività a semplici dati – un processo che rischia di compromettere l'autonomia individuale. Se da un lato ci sono gli “integrati”, che vedono nell'IA un modo per potenziare l’azione didattica (ad esempio, attraverso l'uso di strumenti che permettono agli studenti di tutto il mondo di accedere e produrre risorse digitali di alta qualità, indipendentemente dalla loro localizzazione, come avviene sempre più comunemente con IA generative come ChatGPT); tuttavia, come sottolineano vari studiosi con una visione più “apocalittica”, tra cui Neil Selwyn, questa prospettiva ottimistica non considera le disuguaglianze strutturali che caratterizzano l'accesso alle tecnologie digitali. L'idea che l'IA possa ridurre le disuguaglianze sociali è problematica, in quanto esistono evidenti divari tra coloro che possono accedere a queste tecnologie e coloro che ne sono esclusi per motivi economici, culturali o di alfabetizzazione digitale. Infatti, la cosiddetta digital divide non riguarda solo l'accesso a Internet, ma anche la capacità di utilizzare criticamente le tecnologie digitali. Alcuni studi dimostrano che l'introduzione di tecnologie avanzate, come nel caso degli strumenti di IA, nelle scuole e nelle università rischia di ampliare il divario tra gli studenti che hanno competenze digitali consolidate e quelli che, per varie ragioni, non riescono a padroneggiare questi strumenti. In altre parole, in un mondo in cui la conoscenza è sempre più mediata dal digitale, l'esclusione tecnologica può tradursi in una forma di esclusione sociale, accentuando ulteriormente le disuguaglianze preesistenti. Per questo motivo, la trasformazione attualmente in atto nell'ambito dell'educazione richiede una profonda ridefinizione del ruolo dei docenti. Tradizionalmente considerati come i mediatori principali dell’azione didattica, oggi i docenti si trovano a dover competere con macchine sempre più sofisticate in grado di svolgere svariate funzioni didattiche. Tuttavia, l'IA, pur eccellendo nell'offrire contenuti personalizzati e nell'analizzare i dati in tempi nettamente più avanzati rispetto a qualsiasi docente, non può – e non deve – sostituire l'aspetto relazionale e umano nel processo didattico. Come sostiene Floridi, è essenziale attualmente preservare una forma di "umanesimo digitale", in cui le tecnologie non sostituiscono, ma supportano l'intervento e l’operato umano. I docenti, oggi più che mai, devono diventare figure centrali nel garantire che l'azione didattica non si riduca a un semplice processo meccanico di trasmissione delle informazioni. Il loro compito è – e sarà – sempre più quello di guidare gli studenti nell'interpretare criticamente le informazioni, stimolare il pensiero creativo e promuovere lo sviluppo di competenze mediali necessarie per garantire un uso etico e responsabile dell’IA nella didattica e per rigetto nella vita. Se da un lato l'IA può rappresentare una risorsa inestimabile per migliorare l'efficacia nei processi di insegnamento e apprendimento, dall'altro è necessario comprendere la trasparenza dei processi decisionali che operano all’interno di questa. Ciò significa che gli algoritmi che guidano l'IA sono spesso opachi, rendendo difficile comprendere come vengono prese determinate decisioni. Questo pone il problema della responsabilità: chi è responsabile se un algoritmo commette un errore? E come possiamo garantire che tali errori non compromettano i diritti degli studenti? In conclusione, l'adozione dell’IA nella didattica rappresenta una rivoluzione unica nel campo educativo, ma la sua implementazione deve essere attentamente bilanciata con l'esigenza di preservare sempre la mediazione umana. La sfida principale sarà quella di trovare un equilibrio tra il progresso tecnologico e i valori umani, garantendo che l’azione didattica non si trasformi in un processo meramente meccanico. Solo attraverso un approccio integrato e interdisciplinare sarà possibile sviluppare modelli educativi che rispondano efficacemente alle esigenze di una società sempre più dipendente dalle macchine “intelligenti".

Crisi o rivoluzione educativa? In che modo l'IA modificherà la mediazione didattica

Danilo Petrassi
2024-01-01

Abstract

L'attuale scenario globale è caratterizzato da cambiamenti epocali che stanno ridefinendo i confini tra crisi e rivoluzione. Oggi la contemporaneità sembra essere intrappolata in una perenne dialettica tra un senso di instabilità costante e l'irrompere di innovazioni tecnologiche che, se da un lato aprono nuove prospettive, dall'altro sollevano questioni etiche e sociali complesse. In questo contesto, l'era digitale si presenta come uno dei fattori di cambiamento più rilevanti, soprattutto all’interno dell'educazione, che da sempre riveste un ruolo cruciale nella formazione della società. Il continuo e rapido sviluppo del digitale ha portato all'adozione su larga scala di settori specifici della ricerca scientifica, come l'intelligenza artificiale (IA), che, attraverso l'analisi di grandi quantità di dati, sta trasformando in modo significativo l’attuale contesto educativo e i relativi processi di insegnamento e apprendimento. Questo fenomeno rappresenta senza alcun dubbio una rivoluzione nella didattica e non solo, ma, allo stesso tempo, solleva criticità che richiedono una riflessione approfondita: come si stanno ridefinendo i ruoli dei docenti? Quali sono le implicazioni etiche e sociali dell'introduzione dell'IA nei processi formativi? È possibile preservare la mediazione umana nell'insegnamento, e – se sì – in che modo? È indubbio non sostenere che l’IA sia destinata ad assumere un ruolo sempre più dominante nella didattica. La sua capacità di personalizzare i contenuti in base alle esigenze individuali degli studenti rappresenta una potenzialità unica; questo, di per sé, è un tentativo per rendere la didattica oggi più inclusiva, accessibile e innovativa – almeno in teoria. Tuttavia, come sottolinea Luciano Floridi, uno dei maggiori studiosi nel campo dell'etica dell'IA al mondo, la rivoluzione tecnologica non è mai neutrale; essa porta con sé una serie di sfide etiche, che non possono essere trascurate. La dipendenza tecnologica è una delle problematiche principali: nel momento in cui gli studenti diventano troppo dipendenti dagli strumenti digitali, si rischia di ridurre l'azione didattica a meri scambi algoritmici, perdendo di vista il valore intrinseco delle interazioni tra docenti e studenti, essenziali per lo sviluppo critico e sociale di questi nella società. Il processo di apprendimento, infatti, non è solo acquisizione di informazioni e contenuti, ma anche un momento di crescita cognitiva, affettiva e relazionale che si sviluppa attraverso la mediazione umana. Non da meno, la questione sulla privacy e sulla sicurezza dei dati è un tema sempre più delicato. L'IA, per operare efficacemente, necessita di enormi quantità di dati personali, il che solleva interrogativi riguardo alla trasparenza dei processi decisionali delle macchine “intelligenti” e sulla protezione dei dati degli studenti stessi. Floridi parla di un’etica della datafication, ovvero della crescente tendenza a ridurre le persone e le loro attività a semplici dati – un processo che rischia di compromettere l'autonomia individuale. Se da un lato ci sono gli “integrati”, che vedono nell'IA un modo per potenziare l’azione didattica (ad esempio, attraverso l'uso di strumenti che permettono agli studenti di tutto il mondo di accedere e produrre risorse digitali di alta qualità, indipendentemente dalla loro localizzazione, come avviene sempre più comunemente con IA generative come ChatGPT); tuttavia, come sottolineano vari studiosi con una visione più “apocalittica”, tra cui Neil Selwyn, questa prospettiva ottimistica non considera le disuguaglianze strutturali che caratterizzano l'accesso alle tecnologie digitali. L'idea che l'IA possa ridurre le disuguaglianze sociali è problematica, in quanto esistono evidenti divari tra coloro che possono accedere a queste tecnologie e coloro che ne sono esclusi per motivi economici, culturali o di alfabetizzazione digitale. Infatti, la cosiddetta digital divide non riguarda solo l'accesso a Internet, ma anche la capacità di utilizzare criticamente le tecnologie digitali. Alcuni studi dimostrano che l'introduzione di tecnologie avanzate, come nel caso degli strumenti di IA, nelle scuole e nelle università rischia di ampliare il divario tra gli studenti che hanno competenze digitali consolidate e quelli che, per varie ragioni, non riescono a padroneggiare questi strumenti. In altre parole, in un mondo in cui la conoscenza è sempre più mediata dal digitale, l'esclusione tecnologica può tradursi in una forma di esclusione sociale, accentuando ulteriormente le disuguaglianze preesistenti. Per questo motivo, la trasformazione attualmente in atto nell'ambito dell'educazione richiede una profonda ridefinizione del ruolo dei docenti. Tradizionalmente considerati come i mediatori principali dell’azione didattica, oggi i docenti si trovano a dover competere con macchine sempre più sofisticate in grado di svolgere svariate funzioni didattiche. Tuttavia, l'IA, pur eccellendo nell'offrire contenuti personalizzati e nell'analizzare i dati in tempi nettamente più avanzati rispetto a qualsiasi docente, non può – e non deve – sostituire l'aspetto relazionale e umano nel processo didattico. Come sostiene Floridi, è essenziale attualmente preservare una forma di "umanesimo digitale", in cui le tecnologie non sostituiscono, ma supportano l'intervento e l’operato umano. I docenti, oggi più che mai, devono diventare figure centrali nel garantire che l'azione didattica non si riduca a un semplice processo meccanico di trasmissione delle informazioni. Il loro compito è – e sarà – sempre più quello di guidare gli studenti nell'interpretare criticamente le informazioni, stimolare il pensiero creativo e promuovere lo sviluppo di competenze mediali necessarie per garantire un uso etico e responsabile dell’IA nella didattica e per rigetto nella vita. Se da un lato l'IA può rappresentare una risorsa inestimabile per migliorare l'efficacia nei processi di insegnamento e apprendimento, dall'altro è necessario comprendere la trasparenza dei processi decisionali che operano all’interno di questa. Ciò significa che gli algoritmi che guidano l'IA sono spesso opachi, rendendo difficile comprendere come vengono prese determinate decisioni. Questo pone il problema della responsabilità: chi è responsabile se un algoritmo commette un errore? E come possiamo garantire che tali errori non compromettano i diritti degli studenti? In conclusione, l'adozione dell’IA nella didattica rappresenta una rivoluzione unica nel campo educativo, ma la sua implementazione deve essere attentamente bilanciata con l'esigenza di preservare sempre la mediazione umana. La sfida principale sarà quella di trovare un equilibrio tra il progresso tecnologico e i valori umani, garantendo che l’azione didattica non si trasformi in un processo meramente meccanico. Solo attraverso un approccio integrato e interdisciplinare sarà possibile sviluppare modelli educativi che rispondano efficacemente alle esigenze di una società sempre più dipendente dalle macchine “intelligenti".
2024
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