L’idea di questo libro nasce da un dialogo a quattro voci fra due psichiatri e due pedagogisti. Le riflessioni ruotano attorno alla figura di Adelmo Sichel, uno psichiatra fenomenologo, che si potrebbe considerare “minore” se si guarda esclusivamente alla mole di scritti che ha dato alle stampe. In realtà, Sichel è stato uno psichiatra di sopraffina sensibilità terapeutica e umana, un “maestro” che va riscoperto. La struttura relazionale della cura è al centro degli interessi di Sichel, che usa il termine «incontro» per restituire la pienezza di una comprensione reciproca che non può essere ingabbiata in uno schema interpretativo precostituito, ma ha la stessa estensione della vita. Il riferimento all’“arte” della cura contenuto nel titolo enfatizza l’idea che l’aver cura non può mai ridursi a un operare tecnico nell’ambito del quale il destinatario delle cure va ricondotto a uno stato di “salute/normalità” prefissato dalle prospettive teoriche del professionista o dalle esigenze della struttura entro cui avviene l’atto di cura. Piuttosto, l’aver cura si dà solo nell’incontro con quel nucleo di autenticità della persona che è il suo Sé, mai riducibile all’Io, che invece è il frutto dell’adattamento del Sé alle esigenze della società. La cura non può essere intesa come “sapere speciale” di tipo “tecnico”, ma come espressione della vita come «fatto insuperabile». Ciò interroga profondamente l’operatore, che non può esimersi dal confrontarsi con domande come: “Cos’è la vita?” “Cos’è il Sé?” “Qual è il senso dell’esistenza?”
L’arte della cura in Adelmo Sichel. Dialoghi fra pedagogia e psichiatria
De Rosa, M. G. L.;Polenta, S.;Tumino, R.
2024-01-01
Abstract
L’idea di questo libro nasce da un dialogo a quattro voci fra due psichiatri e due pedagogisti. Le riflessioni ruotano attorno alla figura di Adelmo Sichel, uno psichiatra fenomenologo, che si potrebbe considerare “minore” se si guarda esclusivamente alla mole di scritti che ha dato alle stampe. In realtà, Sichel è stato uno psichiatra di sopraffina sensibilità terapeutica e umana, un “maestro” che va riscoperto. La struttura relazionale della cura è al centro degli interessi di Sichel, che usa il termine «incontro» per restituire la pienezza di una comprensione reciproca che non può essere ingabbiata in uno schema interpretativo precostituito, ma ha la stessa estensione della vita. Il riferimento all’“arte” della cura contenuto nel titolo enfatizza l’idea che l’aver cura non può mai ridursi a un operare tecnico nell’ambito del quale il destinatario delle cure va ricondotto a uno stato di “salute/normalità” prefissato dalle prospettive teoriche del professionista o dalle esigenze della struttura entro cui avviene l’atto di cura. Piuttosto, l’aver cura si dà solo nell’incontro con quel nucleo di autenticità della persona che è il suo Sé, mai riducibile all’Io, che invece è il frutto dell’adattamento del Sé alle esigenze della società. La cura non può essere intesa come “sapere speciale” di tipo “tecnico”, ma come espressione della vita come «fatto insuperabile». Ciò interroga profondamente l’operatore, che non può esimersi dal confrontarsi con domande come: “Cos’è la vita?” “Cos’è il Sé?” “Qual è il senso dell’esistenza?”File | Dimensione | Formato | |
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