L’intreccio paradigmatico del romanzo picaresco prevede sovente una sorta di “riassorbimento” della spinta sovversiva del protagonista all’interno in quel sistema sociale e culturale che fin quasi all’epilogo è stato ripetutamente sottoposto a una più o meno radicale decostruzione satirica – si pensi solo al modello per eccellenza, il Lazarillo de Tormes, in cui alla fine Lázaro si ritrova “integrato” nella società non solo a livello socio-economico, col conquistarsi una “stabilità” che apertamente contraddice (col mettervi fine) i suoi continui spostamenti negli spazi fisici e metaforici della Spagna del suo tempo, ma anche a quello culturale, “accomodandosi” in una condizione che può persistere solo grazie all’accettazione del codice dominante dell’ipocrisia. In questo senso, The Adventures of Huckleberry Finn (1884) di Mark Twain, forse il più grande dei (comunque pochi) romanzi picareschi dell’Ottocento, sembra recuperare un modello picaresco ormai apparentemente estinto grazie all’avvento del romanzo realistico come genere narrativo dominante (ma non negli Stati Uniti, dove fino alla Guerra civile resiste la modalità para-fantastica del romance) proprio per via della “restaurazione” di una carica sovversiva che non viene disinnescata con un finale compromesso. Le due scene fondamentali del romanzo, in questa prospettiva (oltre ai numerosi episodi satirici di cui l’intreccio è costellato), sono quella in cui Huck Finn, che non si oppone all’ideologia schiavista dominante e anzi la condivide, si rifiuta dopo un conflitto interiore di consegnare il suo amico – lo schiavo fuggiasco Jim – al proprio padrone e accetta quindi di andare “all’inferno”, e quella conclusiva in cui, anziché arrendersi al rassicurante destino che sembra per lui ormai segnato, quello di essere finalmente “sivilized”, accettato nella società, decide di “light out for the Territory”, cioè riprendere le sue peregrinazioni in un “altrove” non ancora “sivilized”, lo spazio ignoto e pericoloso dei territori indiani che si estende oltre la Frontiera, perché ormai conosce fin troppo bene la società (bianca) degli adulti – “I been there before”, sono le (sue) ultime parole del romanzo. Nel saggio si sottolinea come il successo del romanzo di Twain risieda nel ribaltare il modello tradizionale del romanzo picaresco, sostituendo la graduale assunzione di consapevolezza del protagonista rispetto alla necessità di “integrarsi” nella società una radicale presa di distanza che sovverte anche le stesse convinzioni morali dichiarate del protagonista – e che proprio per questo risulta ancora più sovversiva.

"All right, then, I’ll go to Hell": La contro-morale del picaro in The Adventures of Huckleberry Finn di Mark Twain

V. De Angelis
2020-01-01

Abstract

L’intreccio paradigmatico del romanzo picaresco prevede sovente una sorta di “riassorbimento” della spinta sovversiva del protagonista all’interno in quel sistema sociale e culturale che fin quasi all’epilogo è stato ripetutamente sottoposto a una più o meno radicale decostruzione satirica – si pensi solo al modello per eccellenza, il Lazarillo de Tormes, in cui alla fine Lázaro si ritrova “integrato” nella società non solo a livello socio-economico, col conquistarsi una “stabilità” che apertamente contraddice (col mettervi fine) i suoi continui spostamenti negli spazi fisici e metaforici della Spagna del suo tempo, ma anche a quello culturale, “accomodandosi” in una condizione che può persistere solo grazie all’accettazione del codice dominante dell’ipocrisia. In questo senso, The Adventures of Huckleberry Finn (1884) di Mark Twain, forse il più grande dei (comunque pochi) romanzi picareschi dell’Ottocento, sembra recuperare un modello picaresco ormai apparentemente estinto grazie all’avvento del romanzo realistico come genere narrativo dominante (ma non negli Stati Uniti, dove fino alla Guerra civile resiste la modalità para-fantastica del romance) proprio per via della “restaurazione” di una carica sovversiva che non viene disinnescata con un finale compromesso. Le due scene fondamentali del romanzo, in questa prospettiva (oltre ai numerosi episodi satirici di cui l’intreccio è costellato), sono quella in cui Huck Finn, che non si oppone all’ideologia schiavista dominante e anzi la condivide, si rifiuta dopo un conflitto interiore di consegnare il suo amico – lo schiavo fuggiasco Jim – al proprio padrone e accetta quindi di andare “all’inferno”, e quella conclusiva in cui, anziché arrendersi al rassicurante destino che sembra per lui ormai segnato, quello di essere finalmente “sivilized”, accettato nella società, decide di “light out for the Territory”, cioè riprendere le sue peregrinazioni in un “altrove” non ancora “sivilized”, lo spazio ignoto e pericoloso dei territori indiani che si estende oltre la Frontiera, perché ormai conosce fin troppo bene la società (bianca) degli adulti – “I been there before”, sono le (sue) ultime parole del romanzo. Nel saggio si sottolinea come il successo del romanzo di Twain risieda nel ribaltare il modello tradizionale del romanzo picaresco, sostituendo la graduale assunzione di consapevolezza del protagonista rispetto alla necessità di “integrarsi” nella società una radicale presa di distanza che sovverte anche le stesse convinzioni morali dichiarate del protagonista – e che proprio per questo risulta ancora più sovversiva.
2020
978-88-6995-720-8
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