Le Marche, regione media o mediocre è la sintetica definizione che emerge come un filo rosso dagli studi e dal dibattito che, dopo l’unificazione, si sono svolti intorno alla realtà e ai problemi della società marchigiana. A partire dalla fine degli anni ’50 la notorietà delle Marche sarebbe migliorata di molto, soprattutto sotto l’aspetto socio-economico. Nel 1980 il noto imprenditore fabrianese Vittorio Merloni veniva eletto presidente della Confindustria, divenendo così il simbolo delle nuove aree emergenti del centro Italia. Fu l’economista Giorgio Fuà che coniò l’espressione del «modello marchigiano», basato sulla stretta interconnessione tra il tessuto industriale e quello cittadino. In poco tempo le Marche passarono da un primitivo sistema economico basato sulla «mezzadria» ad una modernizzazione industriale della struttura socio-economica, addirittura maggiore rispetto a quella che in quegli anni aveva caratterizzato l’intero paese. Per molti anni la regione fu considerata «un’isola felice» nel dilagante mare della criminalità italiana e, nessuno avrebbe pensato mai che, tra i Sibillini e l’Adriatico sarebbe germogliato il seme del terrorismo. La ricerca ha cercato di ricostruire, indagare e provare a chiedersi come mai le Marche sia stata l’incubatore di gruppi oltranzisti come le Brigate rosse. La ricerca ha cercato in parte di colmare quell’assenza di lavori sui singoli gruppi rivoluzionari e organizzazioni armate e su specifici aspetti di esse. Malgrado la grande quantità di pubblicazioni oramai esistenti sull’argomento, una vera e propria storia delle Brigate rosse ancora non è stata scritta, realizzata cioè utilizzando le metodologie, i criteri, le categorie proprie della storiografia. L’altro interrogativo che è emerso è stato quello di chiedersi come mai le Marche, una regione senza un sub strato industriale come quello milanese o torinese, abbia dato i natali a due brigatisti del calibro di Mario Moretti e Patrizio Peci. Alcuni giovani brigatisti, compreso Moretti e Peci, sono cresciuti all’interno dell’Istituto tecnico Montani di Fermo, che potremmo considerare per il terrorismo marchigiano l’equivalente di quello che fu la Facoltà di Sociologia di Trento per Renato Curcio e Mara Cagol. Il Montani funse per certi versi da catalizzatore della contestazione studentesca marchigiana del ‘68, difatti fu considerato un esempio del movimento studentesco per tutta la regione. Fu anche il banco di prova per l’attuazione pratica dei postulati della via del terrore, formulati dai teorici di Trento. Mario Moretti e Patrizio Peci sono stati due protagonisti del terrorismo italiano caratterizzati comunque da grandezze disomogenee, hanno rappresentato in un certo senso l’alfa e l’omega delle Brigate rosse. Moretti tra i padri fondatori dell’organizzazione armata, considerato il più duraturo, efferato e imprendibile capo delle Brigate rosse, mentre Patrizio Peci l’«infame», la gola profonda che diede il simbolico là alla stagione dei pentiti. Nella parte iniziale della ricerca sono state trattate le rivalità e gli scontri tra i movimenti studenteschi marchigiani del 1968, culminate qualche volte in rissa, altre sfiorando la tragedia. Sono stati analizzati gli scontri che agli inizi degli anni Settanta hanno visto fronteggiarsi poteri più o meno occulti, che hanno costituito per qualcuno un «governo invisibile», il quale ha prodotto laceranti conflitti sulle prospettive di normalizzazione del paese dopo le profonde tensioni sociali. Una parte di questi poteri, con un’articolata strategia, mirava all’affermazione di un governo d’ordine, mentre l’altra parte aveva come obiettivo delle profonde modifiche dell’assetto statale in senso decisamente autoritario. È evidente che tra la fine del 1971 e gli inizi del 1972 ci fu un cambio di strategia di questi poteri invisibili, fino ad allora la ricetta che i servizi segreti avevano seguito per curare i mali del paese aveva previsto il potenziamento della destra estrema, con attentati terroristici e feroci rivolte. Dalla primavera del 1972 avviene un cambio di strategia da parte di chi era alla direzione di questi uffici occulti, ritennero possibile bruciare una parte dei terroristi neri, cercando di utilizzare le loro gesta come contraltare della nascente minaccia del terrorismo rosso, in modo tale da dare credibilità alla tesi dei c.d. opposti estremismi. Con le elezioni del ’72 dalle urne uscirono risultati deludenti per le sinistre, mentre notevole fu l’affermazione del MSI-DN, ma questo non portò alla diminuzione delle spinte antidemocratiche, anzi la teorizzazione degli opposti estremismi visse in quel periodo una stagione molto intensa caratterizzata da arroganza ed intolleranza, nonché dall’uso e dalla teorizzazione della violenza non solo verbale. In questo lavoro si è anche tentato di ricostruire i meccanismi e le tecniche di radicalizzazione dei brigatisti nei confronti di fiancheggiatori e di giovani estremisti che successivamente sarebbero entrati nelle fila dell’organizzazione. Abbiamo visto come quei giovani erano passati dal commettere le prime azioni vandaliche, alla violenza politica, per giungere al loro acme con il rapimento e l’uccisione del loro coetaneo Roberto Peci. Grazie alle rivelazioni di un fiancheggiatore delle BR marchigiane nel 1979 gli uomini del generale Dalla Chiesa disarticolarono gran parte dei cluster del Comitato delle Brigate rosse, radicate a San Benedetto del Tronto, Fermo, Ancona, fino a Falconara. I blitz fornirono la misura di quanto estesa e capillare fosse la rete del terrorismo nelle Marche. Va sottolineato che nonostante l’inconsistenza politica dei brigatisti marchigiani, i quali non riuscirono mai a trasformare il «Comitato» in una colonna, la denominazione non doveva ingannare. Il Comitato marchigiano delle Brigate rosse fu capace di operazioni alla stregua di Colonne con forze ben più addestrate.

DA MARIO MORETTI A PATRIZIO PECI: STORIA DELLE BRIGATE ROSSE MARCHIGIANE.

M. Petrocchi
2023-01-01

Abstract

Le Marche, regione media o mediocre è la sintetica definizione che emerge come un filo rosso dagli studi e dal dibattito che, dopo l’unificazione, si sono svolti intorno alla realtà e ai problemi della società marchigiana. A partire dalla fine degli anni ’50 la notorietà delle Marche sarebbe migliorata di molto, soprattutto sotto l’aspetto socio-economico. Nel 1980 il noto imprenditore fabrianese Vittorio Merloni veniva eletto presidente della Confindustria, divenendo così il simbolo delle nuove aree emergenti del centro Italia. Fu l’economista Giorgio Fuà che coniò l’espressione del «modello marchigiano», basato sulla stretta interconnessione tra il tessuto industriale e quello cittadino. In poco tempo le Marche passarono da un primitivo sistema economico basato sulla «mezzadria» ad una modernizzazione industriale della struttura socio-economica, addirittura maggiore rispetto a quella che in quegli anni aveva caratterizzato l’intero paese. Per molti anni la regione fu considerata «un’isola felice» nel dilagante mare della criminalità italiana e, nessuno avrebbe pensato mai che, tra i Sibillini e l’Adriatico sarebbe germogliato il seme del terrorismo. La ricerca ha cercato di ricostruire, indagare e provare a chiedersi come mai le Marche sia stata l’incubatore di gruppi oltranzisti come le Brigate rosse. La ricerca ha cercato in parte di colmare quell’assenza di lavori sui singoli gruppi rivoluzionari e organizzazioni armate e su specifici aspetti di esse. Malgrado la grande quantità di pubblicazioni oramai esistenti sull’argomento, una vera e propria storia delle Brigate rosse ancora non è stata scritta, realizzata cioè utilizzando le metodologie, i criteri, le categorie proprie della storiografia. L’altro interrogativo che è emerso è stato quello di chiedersi come mai le Marche, una regione senza un sub strato industriale come quello milanese o torinese, abbia dato i natali a due brigatisti del calibro di Mario Moretti e Patrizio Peci. Alcuni giovani brigatisti, compreso Moretti e Peci, sono cresciuti all’interno dell’Istituto tecnico Montani di Fermo, che potremmo considerare per il terrorismo marchigiano l’equivalente di quello che fu la Facoltà di Sociologia di Trento per Renato Curcio e Mara Cagol. Il Montani funse per certi versi da catalizzatore della contestazione studentesca marchigiana del ‘68, difatti fu considerato un esempio del movimento studentesco per tutta la regione. Fu anche il banco di prova per l’attuazione pratica dei postulati della via del terrore, formulati dai teorici di Trento. Mario Moretti e Patrizio Peci sono stati due protagonisti del terrorismo italiano caratterizzati comunque da grandezze disomogenee, hanno rappresentato in un certo senso l’alfa e l’omega delle Brigate rosse. Moretti tra i padri fondatori dell’organizzazione armata, considerato il più duraturo, efferato e imprendibile capo delle Brigate rosse, mentre Patrizio Peci l’«infame», la gola profonda che diede il simbolico là alla stagione dei pentiti. Nella parte iniziale della ricerca sono state trattate le rivalità e gli scontri tra i movimenti studenteschi marchigiani del 1968, culminate qualche volte in rissa, altre sfiorando la tragedia. Sono stati analizzati gli scontri che agli inizi degli anni Settanta hanno visto fronteggiarsi poteri più o meno occulti, che hanno costituito per qualcuno un «governo invisibile», il quale ha prodotto laceranti conflitti sulle prospettive di normalizzazione del paese dopo le profonde tensioni sociali. Una parte di questi poteri, con un’articolata strategia, mirava all’affermazione di un governo d’ordine, mentre l’altra parte aveva come obiettivo delle profonde modifiche dell’assetto statale in senso decisamente autoritario. È evidente che tra la fine del 1971 e gli inizi del 1972 ci fu un cambio di strategia di questi poteri invisibili, fino ad allora la ricetta che i servizi segreti avevano seguito per curare i mali del paese aveva previsto il potenziamento della destra estrema, con attentati terroristici e feroci rivolte. Dalla primavera del 1972 avviene un cambio di strategia da parte di chi era alla direzione di questi uffici occulti, ritennero possibile bruciare una parte dei terroristi neri, cercando di utilizzare le loro gesta come contraltare della nascente minaccia del terrorismo rosso, in modo tale da dare credibilità alla tesi dei c.d. opposti estremismi. Con le elezioni del ’72 dalle urne uscirono risultati deludenti per le sinistre, mentre notevole fu l’affermazione del MSI-DN, ma questo non portò alla diminuzione delle spinte antidemocratiche, anzi la teorizzazione degli opposti estremismi visse in quel periodo una stagione molto intensa caratterizzata da arroganza ed intolleranza, nonché dall’uso e dalla teorizzazione della violenza non solo verbale. In questo lavoro si è anche tentato di ricostruire i meccanismi e le tecniche di radicalizzazione dei brigatisti nei confronti di fiancheggiatori e di giovani estremisti che successivamente sarebbero entrati nelle fila dell’organizzazione. Abbiamo visto come quei giovani erano passati dal commettere le prime azioni vandaliche, alla violenza politica, per giungere al loro acme con il rapimento e l’uccisione del loro coetaneo Roberto Peci. Grazie alle rivelazioni di un fiancheggiatore delle BR marchigiane nel 1979 gli uomini del generale Dalla Chiesa disarticolarono gran parte dei cluster del Comitato delle Brigate rosse, radicate a San Benedetto del Tronto, Fermo, Ancona, fino a Falconara. I blitz fornirono la misura di quanto estesa e capillare fosse la rete del terrorismo nelle Marche. Va sottolineato che nonostante l’inconsistenza politica dei brigatisti marchigiani, i quali non riuscirono mai a trasformare il «Comitato» in una colonna, la denominazione non doveva ingannare. Il Comitato marchigiano delle Brigate rosse fu capace di operazioni alla stregua di Colonne con forze ben più addestrate.
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Descrizione: DA MARIO MORETTI A PATRIZIO PECI: STORIA DELLE BRIGATE ROSSE MARCHIGIANE.
Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/321211
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