Il presente elaborato si presenta quale indagine filosofica in chiave eco-femminista dell’Antropocene. L'Antropocene ha recentemente invaso i dibattiti politici di tutto il mondo e ha suscitato un notevole interesse nei circoli accademici, sia nelle scienze naturali sia nelle scienze umanistiche. Il termine Antropocene è apparso per la prima volta nelle scienze naturali nel 2000 (Crutzen, 2000) per rispondere alla necessità di dare un nome e un senso a un presente in rapido cambiamento e per localizzare l’apporto degli esseri umani al suo interno. Nonostante l'Antropocene sia diventato oggi una parola ampiamente utilizzata nei più svariati campi e studi, non si è ancora trovato un punto di incontro circa la sua formalizzazione. Alcuni (Brondizio et al. 2016) sostengono che il concetto di Antropocene rappresenti un’opportunità per sviluppare le metodologie necessarie ad affrontare le sfide socio-ecologiche del presente, oltre che a permettere di costruire sinergie fra diversi ambiti disciplinari. Tuttavia, nella mia ricerca prendo le parti di coloro che sostengono che l'uso sproporzionato del termine limiti fortemente la possibilità di immaginare un futuro sul pianeta Terra. Nell’osservare che l'Antropocene non è un'etichetta innocente utilizzata per segnare una nuova unità temporale geologica sostengo, accanto alla storica ecofemminista Stefania Barca (2020) e al filosofo Agostino Cera (2023), che esso corrisponda alla "narrazione principale" (Barca, 2020) del presente. La storia principale di questa narrazione, così come raccontata dalle scienze naturali e dal diritto positivo, appare plasmata “dall'occhio privilegiato del soggetto bianco/maschile della storia" (Barca, 2020). Tale storia è incentrata sul rapporto tra due categorie immutabili e in conflitto tra loro: la specie umana come insieme disincarnato di individui e l'ambiente/natura, che culmina nell’immaginario di un'apocalittica e fatale "fine del mondo". Partendo dall'assunto femminista della parzialità del sapere (Haraway, 1988), consistente principalmente nell'idea che il sapere non viene dato in modo definivo, ma è il risultato dell'unione di punti di vista parziali e di voci che si intrecciano fra loro, apro la possibilità di ri-raccontare l'Antropocene e le sue istituzioni, attraverso le teorie ecofemministe e dell’ecocritica femminista, per provare a superare tale concetto. Una nuova narrazione delle sfide globali è necessaria, soprattutto alla luce del fatto che siamo entrati nel Decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino degli Ecosistemi. Il Decennio per il Ripristino degli Ecosistemi, sancito dalla Risoluzione 73/284 delle Nazioni Unite (A/RES/73/284, 2019), rappresenta un'occasione per approfondire e ripensare al modo in cui il diritto ambientale dell'Antropocene agisce separando invece di prendersi cura del mondo e dei propri limiti. Tre domande di ricerca dunque guidano il dibattito: (1) quanto può durare una vita che si riproduce su premesse di violenza, distruzione e sfruttamento, quando l'abitabilità di ogni creatura e specie del pianeta è in pericolo?; (2) il diritto ambientale dell'Antropocene (Grear, 2020) può trarre soluzioni o perseguire forme di riparazione/ripristino, quando il mondo viene diviso in due domini: uno inanimato, inerte e l’altro animato e dotato di potere?; (3) che cosa occorre per uscire da questa stasi? La ricerca ha quindi due obiettivi principali e complementari, distribuiti rispettivamente in una pars destruens e in una pars costruens. Da un lato, riporta la critica ecofemminista dei riferimenti concettuali che guidano la narrazione dell'Antropocene e, quindi, la storia principale del diritto ambientale, delle scienze naturali e delle azioni di riparazione ecologica, che appaiono in definitiva violente. Dall’altra, mira a impegnarsi in uno sforzo immaginativo per ripensare alla riparazione non come un insieme di misure predeterminate, piuttosto, come un insieme aperto di azioni, pratiche e modalità di emendamento che intra-agiscono (Barad, 2003) per muovere verso l’assunzione della responsabilità e del prendersi cura della grande difficoltà che comporta vivere e morire, insieme a molte altre creature, su un pianeta danneggiato. Il lavoro è organizzato in quattro capitoli. Il capitolo 1 offre un'analisi approfondita dell'Antropocene, ricostruendone le principali coordinate. Il capitolo 2 si rivolge alle filosofie ecofemministe, che smascherano le giustificazioni utilizzate dal modello padronale per dominare, controllare e sfruttare la capacità riproduttiva e riparativa di coloro che abitano la categoria della natura, ovvero le donne e gli outsider (Lorde, 1984) umani e non umani della modernità. L'analisi anti-egemonica delle filosofe ecofemministe è in grado di mostrare le lacune della narrazione dominante e di dare valore a coloro che riparano il mondo quotidianamenteumani e non umani—ma che sono sempre stati tenuti ai margini. Il Capitolo 3, sull’assunto del pensiero delle filosofe dell’ecocritica femminista, apre la possibilità di sostituire l'epistemologia delle crisi della narrazione dominante dell'Antropocene con un approccio epistemologico radicato nell'etica affermativa della cura. Il quarto e ultimo capitolo applica i concetti emersi circa l’etica affermativa della cura alla materia della riparazione ecologica per integrare il quadro normativo del diritto ambientale. La riparazione ecologica risulta così essere strumento e approccio epistemologico in grado di offrire nuove lenti per ri-esaminare, ri-raccontare e riparare la relazione delle società umane con il mondo non umano, al di là dei confini Antropocenici.

Re-storying and restoring the legal perspective to ecology for trans-species restoration. Exploring imaginaries of ecological restoration rooted in care, through ecofeminist and feminist ecocritical worldviews.

Porrone, Arianna
2023-01-01

Abstract

Il presente elaborato si presenta quale indagine filosofica in chiave eco-femminista dell’Antropocene. L'Antropocene ha recentemente invaso i dibattiti politici di tutto il mondo e ha suscitato un notevole interesse nei circoli accademici, sia nelle scienze naturali sia nelle scienze umanistiche. Il termine Antropocene è apparso per la prima volta nelle scienze naturali nel 2000 (Crutzen, 2000) per rispondere alla necessità di dare un nome e un senso a un presente in rapido cambiamento e per localizzare l’apporto degli esseri umani al suo interno. Nonostante l'Antropocene sia diventato oggi una parola ampiamente utilizzata nei più svariati campi e studi, non si è ancora trovato un punto di incontro circa la sua formalizzazione. Alcuni (Brondizio et al. 2016) sostengono che il concetto di Antropocene rappresenti un’opportunità per sviluppare le metodologie necessarie ad affrontare le sfide socio-ecologiche del presente, oltre che a permettere di costruire sinergie fra diversi ambiti disciplinari. Tuttavia, nella mia ricerca prendo le parti di coloro che sostengono che l'uso sproporzionato del termine limiti fortemente la possibilità di immaginare un futuro sul pianeta Terra. Nell’osservare che l'Antropocene non è un'etichetta innocente utilizzata per segnare una nuova unità temporale geologica sostengo, accanto alla storica ecofemminista Stefania Barca (2020) e al filosofo Agostino Cera (2023), che esso corrisponda alla "narrazione principale" (Barca, 2020) del presente. La storia principale di questa narrazione, così come raccontata dalle scienze naturali e dal diritto positivo, appare plasmata “dall'occhio privilegiato del soggetto bianco/maschile della storia" (Barca, 2020). Tale storia è incentrata sul rapporto tra due categorie immutabili e in conflitto tra loro: la specie umana come insieme disincarnato di individui e l'ambiente/natura, che culmina nell’immaginario di un'apocalittica e fatale "fine del mondo". Partendo dall'assunto femminista della parzialità del sapere (Haraway, 1988), consistente principalmente nell'idea che il sapere non viene dato in modo definivo, ma è il risultato dell'unione di punti di vista parziali e di voci che si intrecciano fra loro, apro la possibilità di ri-raccontare l'Antropocene e le sue istituzioni, attraverso le teorie ecofemministe e dell’ecocritica femminista, per provare a superare tale concetto. Una nuova narrazione delle sfide globali è necessaria, soprattutto alla luce del fatto che siamo entrati nel Decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino degli Ecosistemi. Il Decennio per il Ripristino degli Ecosistemi, sancito dalla Risoluzione 73/284 delle Nazioni Unite (A/RES/73/284, 2019), rappresenta un'occasione per approfondire e ripensare al modo in cui il diritto ambientale dell'Antropocene agisce separando invece di prendersi cura del mondo e dei propri limiti. Tre domande di ricerca dunque guidano il dibattito: (1) quanto può durare una vita che si riproduce su premesse di violenza, distruzione e sfruttamento, quando l'abitabilità di ogni creatura e specie del pianeta è in pericolo?; (2) il diritto ambientale dell'Antropocene (Grear, 2020) può trarre soluzioni o perseguire forme di riparazione/ripristino, quando il mondo viene diviso in due domini: uno inanimato, inerte e l’altro animato e dotato di potere?; (3) che cosa occorre per uscire da questa stasi? La ricerca ha quindi due obiettivi principali e complementari, distribuiti rispettivamente in una pars destruens e in una pars costruens. Da un lato, riporta la critica ecofemminista dei riferimenti concettuali che guidano la narrazione dell'Antropocene e, quindi, la storia principale del diritto ambientale, delle scienze naturali e delle azioni di riparazione ecologica, che appaiono in definitiva violente. Dall’altra, mira a impegnarsi in uno sforzo immaginativo per ripensare alla riparazione non come un insieme di misure predeterminate, piuttosto, come un insieme aperto di azioni, pratiche e modalità di emendamento che intra-agiscono (Barad, 2003) per muovere verso l’assunzione della responsabilità e del prendersi cura della grande difficoltà che comporta vivere e morire, insieme a molte altre creature, su un pianeta danneggiato. Il lavoro è organizzato in quattro capitoli. Il capitolo 1 offre un'analisi approfondita dell'Antropocene, ricostruendone le principali coordinate. Il capitolo 2 si rivolge alle filosofie ecofemministe, che smascherano le giustificazioni utilizzate dal modello padronale per dominare, controllare e sfruttare la capacità riproduttiva e riparativa di coloro che abitano la categoria della natura, ovvero le donne e gli outsider (Lorde, 1984) umani e non umani della modernità. L'analisi anti-egemonica delle filosofe ecofemministe è in grado di mostrare le lacune della narrazione dominante e di dare valore a coloro che riparano il mondo quotidianamenteumani e non umani—ma che sono sempre stati tenuti ai margini. Il Capitolo 3, sull’assunto del pensiero delle filosofe dell’ecocritica femminista, apre la possibilità di sostituire l'epistemologia delle crisi della narrazione dominante dell'Antropocene con un approccio epistemologico radicato nell'etica affermativa della cura. Il quarto e ultimo capitolo applica i concetti emersi circa l’etica affermativa della cura alla materia della riparazione ecologica per integrare il quadro normativo del diritto ambientale. La riparazione ecologica risulta così essere strumento e approccio epistemologico in grado di offrire nuove lenti per ri-esaminare, ri-raccontare e riparare la relazione delle società umane con il mondo non umano, al di là dei confini Antropocenici.
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Tesi_documento finale_Porrone_09032023.pdf

embargo fino al 11/09/2024

Licenza: Creative commons
Dimensione 2.13 MB
Formato Adobe PDF
2.13 MB Adobe PDF   Visualizza/Apri   Richiedi una copia

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/319530
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact