Il whistleblowing, quale strumento di contrasto all’illegalità, è stato introdotto all’interno dell’ordinamento italiano solo in epoca recente e, soltanto da pochi anni, ha subìto un’importante riforma che ne ha esteso la disciplina normativa (inizialmente limitata al solo impiego presso le pubbliche amministrazioni) anche ai rapporti di lavoro di natura privatistica. Tale istituto, nel solco della propria natura trasversale e multidisciplinare, interessa anche la scienza processual-penalistica e pone alcuni dubbi interpretativi con riferimento alla tematica della tutela che, all’interno del rito penale, possa essere offerta al whistleblower, ossia alla persona che ha segnalato l’altrui illecito di cui ha avuto conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro. Ebbene, sulla scorta della premessa anzidetta si è preso in considerazione, in primo luogo, il dettato della l. 6 novembre 2012, n. 190 (nota anche come “l. Severino”), avendo contezza delle innovazioni da essa apportate al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 mediante l’innesto dell’art. 54 bis, ponendo dunque l’attenzione sulla tutela dei dipendenti che segnalino illeciti alle autorità di vertice nell’amministrazione nella quale lavorino. In secondo luogo, è stato poi esaminato il dettato normativo della l. 30 novembre 2017, n. 179, novella che ha significativamente inciso – nell’ordinamento italiano – con riferimento all’ambito del whistleblowing, giacché essa ha interamente riformato tale istituto non solamente con riferimento al settore della pubblica amministrazione, bensì anche con riguardo alla segnalazione di illecito nell’alveo dei rapporti di lavoro di natura privatistica. Lo studio di tali fonti è stato peraltro accompagnato anche dalla disamina di alcuni aspetti del d.lgs. 08 giugno 2001 n. 231 (ossia della norma in materia di responsabilità amministrativa delle società e degli enti), in ragione della loro tangenza con le anzidette normative sul tema delle segnalazioni del lavoratore. Nello specifico, è stata prestata particolare attenzione al dettato del comma 2 bis dell’art. 6 di tale decreto, e alle innovazioni da esso introdotte in tema di canali di segnalazione ai fini della disciplina sul whistleblowing. Queste riflessioni sono state associate anche al vaglio del diritto europeo: non si è tralasciato, pertanto, il contenuto della Direttiva (UE) 2019/1937, adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea il 23 ottobre 2019 e riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione, anche in virtù della recentissima entrata in vigore della l. 4 agosto 2022, n. 127 (ossia, la “legge di delegazione europea 2021”). Tale analisi prodromica delle fonti rilevanti in materia ha rappresentato la necessaria fondazione con cui è stato successivamente intrapreso l’approfondimento della parte nevralgica di questa ricerca, ossia l’impatto che il whistleblowing produce all’interno del processo penale italiano. Ergo, ci si è anzitutto interrogati circa i profili processual-penalistici dell’istituto de quo all’interno della fase delle indagini preliminari, considerando dapprima la natura processuale della segnalazione del whistleblower (non solo in relazione alla sua funzione quale notitia criminis, bensì trattando anche del suo rapporto con le denunce anonime e con le informazioni rilasciate all’autorità inquirente) e, successivamente, riflettendo sugli aspetti peculiari inerenti alla tutela dell’identità del segnalante durante questo segmento del procedimento penale. Con riguardo a tale ultimo aspetto si è affrontato – dopo lo svolgimento di una rapida ricognizione normativa – il tema dell’applicabilità dell’obbligo di segreto alla segnalazione del whistleblower con riferimento all’ipotesi della denuncia e dell’assunzione a sommarie informazioni, ponendo a confronto gli aspetti generali della disciplina codicistica con le specificità afferenti alla l. 30 novembre 2017, n. 179. Da ultimo, sono stati esaminati i profili processual-penalistici del whistleblowing all’interno del giudizio dibattimentale, considerando sia il rapporto tra l’istituto de quo ed il mezzo di prova della testimonianza (anche in relazione all’ambito dei segreti processuali ex artt. 200 e 201 c.p.p.), nonché il tema della natura delle dichiarazioni probatorie rese dal dipendente segnalante. A fronte di ciò, questa panoramica condotta sulla disciplina del whistleblowing ha cercato, al contempo, di investigare quali fossero i riflessi delle disposizioni di legge sedimentatesi in materia sulle scelte del dipendente che viene a conoscenza di un illecito. Ci si è dunque chiesti se il vigente dettato normativo sia in grado di infondere al segnalante quella spinta psicologica – basata sull’adeguatezza delle tutele offerte dall’ordinamento – atta a controbilanciare l’effetto deterrente derivante dal clima di diffidenza (presente specialmente in determinate realtà socio-culturali) che circonda il lavoratore il quale denuncia gli illeciti scoperti in ragione della mansione svolta. Da ultimo, l’anzidetta prospettiva de iure condito è stata considerata secondo un approccio de iure condendo, affiancando perciò alla disamina della vigente normativa una ricognizione degli aspetti più dibattuti della legislazione, allo scopo di verificare quali siano i possibili – o auspicabili – interventi che il legislatore potrebbe adottare in futuro. Si è cercato, in estrema sintesi, di approfondire non soltanto la compatibilità della specifica disciplina sul whistleblowing con le norme processuali vigenti, bensì anche di verificare l’eventuale sussistenza di possibili margini di riforma al fine di armonizzare maggiormente la suindicata legislazione speciale ai principi e alle garanzie che pervadono il procedimento penale, nella consapevolezza che il futuro dell’istituto de quo sarà concentrato – a livello nazionale ed europeo – precipuamente sul suo rapporto con il rito in esame.

La tutela processuale penale del whistleblower

Billi, Stefano
2023-01-01

Abstract

Il whistleblowing, quale strumento di contrasto all’illegalità, è stato introdotto all’interno dell’ordinamento italiano solo in epoca recente e, soltanto da pochi anni, ha subìto un’importante riforma che ne ha esteso la disciplina normativa (inizialmente limitata al solo impiego presso le pubbliche amministrazioni) anche ai rapporti di lavoro di natura privatistica. Tale istituto, nel solco della propria natura trasversale e multidisciplinare, interessa anche la scienza processual-penalistica e pone alcuni dubbi interpretativi con riferimento alla tematica della tutela che, all’interno del rito penale, possa essere offerta al whistleblower, ossia alla persona che ha segnalato l’altrui illecito di cui ha avuto conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro. Ebbene, sulla scorta della premessa anzidetta si è preso in considerazione, in primo luogo, il dettato della l. 6 novembre 2012, n. 190 (nota anche come “l. Severino”), avendo contezza delle innovazioni da essa apportate al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 mediante l’innesto dell’art. 54 bis, ponendo dunque l’attenzione sulla tutela dei dipendenti che segnalino illeciti alle autorità di vertice nell’amministrazione nella quale lavorino. In secondo luogo, è stato poi esaminato il dettato normativo della l. 30 novembre 2017, n. 179, novella che ha significativamente inciso – nell’ordinamento italiano – con riferimento all’ambito del whistleblowing, giacché essa ha interamente riformato tale istituto non solamente con riferimento al settore della pubblica amministrazione, bensì anche con riguardo alla segnalazione di illecito nell’alveo dei rapporti di lavoro di natura privatistica. Lo studio di tali fonti è stato peraltro accompagnato anche dalla disamina di alcuni aspetti del d.lgs. 08 giugno 2001 n. 231 (ossia della norma in materia di responsabilità amministrativa delle società e degli enti), in ragione della loro tangenza con le anzidette normative sul tema delle segnalazioni del lavoratore. Nello specifico, è stata prestata particolare attenzione al dettato del comma 2 bis dell’art. 6 di tale decreto, e alle innovazioni da esso introdotte in tema di canali di segnalazione ai fini della disciplina sul whistleblowing. Queste riflessioni sono state associate anche al vaglio del diritto europeo: non si è tralasciato, pertanto, il contenuto della Direttiva (UE) 2019/1937, adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea il 23 ottobre 2019 e riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione, anche in virtù della recentissima entrata in vigore della l. 4 agosto 2022, n. 127 (ossia, la “legge di delegazione europea 2021”). Tale analisi prodromica delle fonti rilevanti in materia ha rappresentato la necessaria fondazione con cui è stato successivamente intrapreso l’approfondimento della parte nevralgica di questa ricerca, ossia l’impatto che il whistleblowing produce all’interno del processo penale italiano. Ergo, ci si è anzitutto interrogati circa i profili processual-penalistici dell’istituto de quo all’interno della fase delle indagini preliminari, considerando dapprima la natura processuale della segnalazione del whistleblower (non solo in relazione alla sua funzione quale notitia criminis, bensì trattando anche del suo rapporto con le denunce anonime e con le informazioni rilasciate all’autorità inquirente) e, successivamente, riflettendo sugli aspetti peculiari inerenti alla tutela dell’identità del segnalante durante questo segmento del procedimento penale. Con riguardo a tale ultimo aspetto si è affrontato – dopo lo svolgimento di una rapida ricognizione normativa – il tema dell’applicabilità dell’obbligo di segreto alla segnalazione del whistleblower con riferimento all’ipotesi della denuncia e dell’assunzione a sommarie informazioni, ponendo a confronto gli aspetti generali della disciplina codicistica con le specificità afferenti alla l. 30 novembre 2017, n. 179. Da ultimo, sono stati esaminati i profili processual-penalistici del whistleblowing all’interno del giudizio dibattimentale, considerando sia il rapporto tra l’istituto de quo ed il mezzo di prova della testimonianza (anche in relazione all’ambito dei segreti processuali ex artt. 200 e 201 c.p.p.), nonché il tema della natura delle dichiarazioni probatorie rese dal dipendente segnalante. A fronte di ciò, questa panoramica condotta sulla disciplina del whistleblowing ha cercato, al contempo, di investigare quali fossero i riflessi delle disposizioni di legge sedimentatesi in materia sulle scelte del dipendente che viene a conoscenza di un illecito. Ci si è dunque chiesti se il vigente dettato normativo sia in grado di infondere al segnalante quella spinta psicologica – basata sull’adeguatezza delle tutele offerte dall’ordinamento – atta a controbilanciare l’effetto deterrente derivante dal clima di diffidenza (presente specialmente in determinate realtà socio-culturali) che circonda il lavoratore il quale denuncia gli illeciti scoperti in ragione della mansione svolta. Da ultimo, l’anzidetta prospettiva de iure condito è stata considerata secondo un approccio de iure condendo, affiancando perciò alla disamina della vigente normativa una ricognizione degli aspetti più dibattuti della legislazione, allo scopo di verificare quali siano i possibili – o auspicabili – interventi che il legislatore potrebbe adottare in futuro. Si è cercato, in estrema sintesi, di approfondire non soltanto la compatibilità della specifica disciplina sul whistleblowing con le norme processuali vigenti, bensì anche di verificare l’eventuale sussistenza di possibili margini di riforma al fine di armonizzare maggiormente la suindicata legislazione speciale ai principi e alle garanzie che pervadono il procedimento penale, nella consapevolezza che il futuro dell’istituto de quo sarà concentrato – a livello nazionale ed europeo – precipuamente sul suo rapporto con il rito in esame.
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Descrizione: LA TUTELA PROCESSUALE PENALE DEL WHISTLEBLOWER
Tipologia: Tesi di dottorato
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