Nel corso della mia dissertazione, ho esplorato le complesse relazioni tra i vari gruppi confessionali presenti nell’Albania settentrionale, nella Serbia e nella Bulgaria ottomane (secc. XVII-XVIII), con particolare riguardo alle peculiari condizioni della confessionalizzazione cattolica. Tale analisi è stata svolta a partire dai documenti e dalle lettere, sia editi che inediti, prodotti dai missionari cattolici di stanza nei Balcani ottomani. Il cattolicesimo costituiva una minoranza all'interno del panorama multireligioso e pluriconfessionale dei Balcani ottomani: nella «Turchia europea» le comunità cattoliche vivevano infatti a stretto contatto con musulmani (spesso ex cristiani convertiti all'Islam), ortodossi (o «scismatici» - secondo la denominazione usata dalla Santa Sede e dai missionari), ma anche – soprattutto nella porzione settentrionale della regione - con luterani, calvinisti e anabattisti. In tale contesto, la confessionalizzazione cattolica in particolare e le identità religiose più in genere svilupparono alcune caratteristiche peculiari. Per far fronte alla situazione, la Santa Sede predispose una serie di visite apostoliche e di missioni già a partire dalla seconda metà del Cinquecento. Con l’avvento del XVII secolo, e in particolare con la fondazione di Propaganda Fide (1622) - dicastero responsabile delle attività missionarie in tutto il mondo - il proposito assunse poi maggiore sistematicità e concretezza. In tal modo, il papato intendeva da un lato prevenire le conversioni dei cattolici all'Islam, dall’altro si riproponeva di estirpare le non meno preoccupanti forme di ibridazione religiosa. In altre parole, Roma, attraverso l’attività dei missionari e dei prelati locali, voleva sottoporre le comunità cattoliche balcaniche a un processo di disciplinamento confessionale basato sull’applicazione dei decreti tridentini. I missionari cattolici agirono, in questo contesto, come agenti della confessionalizzazione, custodi del cattolicesimo romano, tentando di «fideles catholici in catholica fide confirmarentur». Nei rapporti indirizzati alla Congregazione de Propaganda Fide dedicarono perciò ampio spazio alla descrizione di forme di ibridazione religiosa e di abusi dottrinali ritenuti particolarmente gravi come la communicatio in sacris, il cripto-cattolicesimo o la persistenza di atteggiamenti devozionali legati a forme di culto pre-cristiane. Emerge così, dal ritratto effigiato dai missionari, il quadro di un crogiolo di identità religiose e culturali liquide, permeate di elementi mutuati da fedi differenti avviluppati fra loro in modo inestricabile. Arginare definitivamente questo osmotico processo di ibridazione e stratificazione culturale si rivelò però un proposito difficile, se non impossibile, da raggiungere. Il portato dell’attività missionaria, destinato ad avere poca influenza sul piano del disciplinamento confessionale, ebbe però, talvolta, importanti ricadute sul piano culturale: viaggiando da un luogo all'altro, tra Roma e la «Turchia europea», i missionari agivano anche come “passeurs culturels” – per dirla con le parole di Gruzinski, mediatori e intermediari tra comunità di fede, cultura, etnia e background linguistici differenti.

Condividere uno spazio religioso. I missionari cattolici nei Balcani (secc. XVII-XVIII) tra mediazione culturale e ibridazioni religiose.

Silvia, Notarfonso
2022-01-01

Abstract

Nel corso della mia dissertazione, ho esplorato le complesse relazioni tra i vari gruppi confessionali presenti nell’Albania settentrionale, nella Serbia e nella Bulgaria ottomane (secc. XVII-XVIII), con particolare riguardo alle peculiari condizioni della confessionalizzazione cattolica. Tale analisi è stata svolta a partire dai documenti e dalle lettere, sia editi che inediti, prodotti dai missionari cattolici di stanza nei Balcani ottomani. Il cattolicesimo costituiva una minoranza all'interno del panorama multireligioso e pluriconfessionale dei Balcani ottomani: nella «Turchia europea» le comunità cattoliche vivevano infatti a stretto contatto con musulmani (spesso ex cristiani convertiti all'Islam), ortodossi (o «scismatici» - secondo la denominazione usata dalla Santa Sede e dai missionari), ma anche – soprattutto nella porzione settentrionale della regione - con luterani, calvinisti e anabattisti. In tale contesto, la confessionalizzazione cattolica in particolare e le identità religiose più in genere svilupparono alcune caratteristiche peculiari. Per far fronte alla situazione, la Santa Sede predispose una serie di visite apostoliche e di missioni già a partire dalla seconda metà del Cinquecento. Con l’avvento del XVII secolo, e in particolare con la fondazione di Propaganda Fide (1622) - dicastero responsabile delle attività missionarie in tutto il mondo - il proposito assunse poi maggiore sistematicità e concretezza. In tal modo, il papato intendeva da un lato prevenire le conversioni dei cattolici all'Islam, dall’altro si riproponeva di estirpare le non meno preoccupanti forme di ibridazione religiosa. In altre parole, Roma, attraverso l’attività dei missionari e dei prelati locali, voleva sottoporre le comunità cattoliche balcaniche a un processo di disciplinamento confessionale basato sull’applicazione dei decreti tridentini. I missionari cattolici agirono, in questo contesto, come agenti della confessionalizzazione, custodi del cattolicesimo romano, tentando di «fideles catholici in catholica fide confirmarentur». Nei rapporti indirizzati alla Congregazione de Propaganda Fide dedicarono perciò ampio spazio alla descrizione di forme di ibridazione religiosa e di abusi dottrinali ritenuti particolarmente gravi come la communicatio in sacris, il cripto-cattolicesimo o la persistenza di atteggiamenti devozionali legati a forme di culto pre-cristiane. Emerge così, dal ritratto effigiato dai missionari, il quadro di un crogiolo di identità religiose e culturali liquide, permeate di elementi mutuati da fedi differenti avviluppati fra loro in modo inestricabile. Arginare definitivamente questo osmotico processo di ibridazione e stratificazione culturale si rivelò però un proposito difficile, se non impossibile, da raggiungere. Il portato dell’attività missionaria, destinato ad avere poca influenza sul piano del disciplinamento confessionale, ebbe però, talvolta, importanti ricadute sul piano culturale: viaggiando da un luogo all'altro, tra Roma e la «Turchia europea», i missionari agivano anche come “passeurs culturels” – per dirla con le parole di Gruzinski, mediatori e intermediari tra comunità di fede, cultura, etnia e background linguistici differenti.
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Tesi_Notarfonso_DEF.pdf

accesso aperto

Descrizione: Condividere uno spazio religioso. I missionari cattolici nei Balcani (secc. XVII-XVIII) tra mediazione culturale e ibridazioni religiose
Tipologia: Tesi di dottorato
Licenza: Creative commons
Dimensione 4.02 MB
Formato Adobe PDF
4.02 MB Adobe PDF Visualizza/Apri

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/304529
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact