Il titolo, Logos and Life, della serie editoriale in cui confluisce gran parte della riflessione di Anna-Teresa Tymiemiecka, getta una luce chiara sulla questione di senso di fronte alla quale ci troviamo ora che, per dirla con Ulrich Beck, “in tutti gli ambiti dell’agire sociale si afferma in maniera latente o clamorosa, lo sfacelo di quelle che finora erano ovvie e basilari certezze” (1999, 29). Ciò che si è consumato nella modernità estenuata del XX secolo è stato, infatti, il distacco della vita da ciò che le dava significato, come precocemente annunciato da Nietzsche e poi confermato da Weber e Husserl, fino a Jonas, Baumann, Touraine. Ad Habermas spetta il merito di aver individuato, nella nozione husserliana di Lebenswelt, il germe vitale da coltivare per approdare ad un nuovo orizzonte di senso (Habermas, 1991, 7). La Lebenswelt husserliana (Husserl, 1972), ma anche il Lebewelt scheleriano (Scheler, 1980, 105,137), si radicano, infatti, nell’Erlebnis fenomenologicamente inteso, il quale sembra schiudere la vita come quella inedita risorsa di filosofia prima che, sola, può consentire sia di fuoriuscire dalla metafisica del soggetto moderno sia di non ricadere nella nuova imposizione di “sovrastruttura” alla vita (Habermas, 1987, 371), di cui il naturalismo sistemico di Niklas Luhmann (1990) è portatore. In ambito fenomenologico è Max Scheler il più precocemente sensibile al richiamo della vita come forza metafisica e assiologica. Sono, però, Edith Stein e Anna-Teresa Tymieniecka a condurre ad espressione fenomenologica e metafisica quella sensibilità filosofica femminile, troppo a lungo screditata, che ora, invece, si manifesta capace di ricomporre il mondo, intercettando il logos immanente alla vita e delineando un orizzonte di senso, laddove l’esausta soggettività maschile sembra non vedere più nulla.

Il valore della vita come fattore di senso nella post-modernità. Max Scheler, Edith Stein, Anna-Teresa Tymieniecka.

Verducci, D.
2022-01-01

Abstract

Il titolo, Logos and Life, della serie editoriale in cui confluisce gran parte della riflessione di Anna-Teresa Tymiemiecka, getta una luce chiara sulla questione di senso di fronte alla quale ci troviamo ora che, per dirla con Ulrich Beck, “in tutti gli ambiti dell’agire sociale si afferma in maniera latente o clamorosa, lo sfacelo di quelle che finora erano ovvie e basilari certezze” (1999, 29). Ciò che si è consumato nella modernità estenuata del XX secolo è stato, infatti, il distacco della vita da ciò che le dava significato, come precocemente annunciato da Nietzsche e poi confermato da Weber e Husserl, fino a Jonas, Baumann, Touraine. Ad Habermas spetta il merito di aver individuato, nella nozione husserliana di Lebenswelt, il germe vitale da coltivare per approdare ad un nuovo orizzonte di senso (Habermas, 1991, 7). La Lebenswelt husserliana (Husserl, 1972), ma anche il Lebewelt scheleriano (Scheler, 1980, 105,137), si radicano, infatti, nell’Erlebnis fenomenologicamente inteso, il quale sembra schiudere la vita come quella inedita risorsa di filosofia prima che, sola, può consentire sia di fuoriuscire dalla metafisica del soggetto moderno sia di non ricadere nella nuova imposizione di “sovrastruttura” alla vita (Habermas, 1987, 371), di cui il naturalismo sistemico di Niklas Luhmann (1990) è portatore. In ambito fenomenologico è Max Scheler il più precocemente sensibile al richiamo della vita come forza metafisica e assiologica. Sono, però, Edith Stein e Anna-Teresa Tymieniecka a condurre ad espressione fenomenologica e metafisica quella sensibilità filosofica femminile, troppo a lungo screditata, che ora, invece, si manifesta capace di ricomporre il mondo, intercettando il logos immanente alla vita e delineando un orizzonte di senso, laddove l’esausta soggettività maschile sembra non vedere più nulla.
2022
978-88-6344-655-5
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