I filosofi e i matematici distinguono tra infinito potenziale e infinito attuale. Il primo, tradizionalmente associato ad Aristotele, ha dominato la scena fino alla seconda metà dell’Ottocento. Il secondo, grazie soprattutto al grande matematico tedesco Georg Cantor, ha da allora preso gradualmente il sopravvento. Accettare semplicemente l’infinito potenziale equivale a negare che veramente ci sia infinito, se non come modo di dire. Accogliere l’infinito attuale vuol dire invece ammettere realmente l’infinito, o addirittura un’infinità di infiniti. L’iniziale affermazione della concezione “potenzialista” è favorita da diversi problemi, tra i quali alcuni dei paradossi di Zenone e certi cosiddetti “paradossi dell’infinito”, discussi per esempio da Galileo e Leibniz. Tali paradossi suggeriscono che, se vi fosse una grandezza infinita, allora ci sarebbe un intero grande quanto una sua parte. Come testimoniano molti passi dello Zibaldone, Leopardi ha un’opinione dell’infinito che appare in sintonia con la concezione potenzialista e che lo porta a pensare che ci sia infinito solo nell’immaginazione. Con la teoria degli insiemi introdotta da Cantor, l’idea che una parte sia grande quanto l’intero si trasforma da paradosso a tratto distintivo dell’infinito della concezione “attualista”. Si arriva così ad accettare una gerarchia infinita di insiemi “transfiniti” di grandezza via via crescente, che rende ancora più vasto il mare del dolce naufragio con cui si conclude L’infinito. Questa gerarchia è però fonte di nuovi paradossi, che Cantor affronta distinguendo il transfinito da un infinito assoluto identificabile con Dio. Questo atteggiamento teista non è condiviso da Bertrand Russell, che in un suo lavoro cita L’infinito come l’espressione poetica più perfetta della sua visione dell’universo. Per Russell, i paradossi che emergono dalla teoria degli insiemi sono solo una sfida alla ragione e lo assorbono profondamente alla ricerca disperata di una soluzione.

L’infinito prima e dopo l’infinito

Orilia, F.
2021-01-01

Abstract

I filosofi e i matematici distinguono tra infinito potenziale e infinito attuale. Il primo, tradizionalmente associato ad Aristotele, ha dominato la scena fino alla seconda metà dell’Ottocento. Il secondo, grazie soprattutto al grande matematico tedesco Georg Cantor, ha da allora preso gradualmente il sopravvento. Accettare semplicemente l’infinito potenziale equivale a negare che veramente ci sia infinito, se non come modo di dire. Accogliere l’infinito attuale vuol dire invece ammettere realmente l’infinito, o addirittura un’infinità di infiniti. L’iniziale affermazione della concezione “potenzialista” è favorita da diversi problemi, tra i quali alcuni dei paradossi di Zenone e certi cosiddetti “paradossi dell’infinito”, discussi per esempio da Galileo e Leibniz. Tali paradossi suggeriscono che, se vi fosse una grandezza infinita, allora ci sarebbe un intero grande quanto una sua parte. Come testimoniano molti passi dello Zibaldone, Leopardi ha un’opinione dell’infinito che appare in sintonia con la concezione potenzialista e che lo porta a pensare che ci sia infinito solo nell’immaginazione. Con la teoria degli insiemi introdotta da Cantor, l’idea che una parte sia grande quanto l’intero si trasforma da paradosso a tratto distintivo dell’infinito della concezione “attualista”. Si arriva così ad accettare una gerarchia infinita di insiemi “transfiniti” di grandezza via via crescente, che rende ancora più vasto il mare del dolce naufragio con cui si conclude L’infinito. Questa gerarchia è però fonte di nuovi paradossi, che Cantor affronta distinguendo il transfinito da un infinito assoluto identificabile con Dio. Questo atteggiamento teista non è condiviso da Bertrand Russell, che in un suo lavoro cita L’infinito come l’espressione poetica più perfetta della sua visione dell’universo. Per Russell, i paradossi che emergono dalla teoria degli insiemi sono solo una sfida alla ragione e lo assorbono profondamente alla ricerca disperata di una soluzione.
2021
978-88-5522-225-9
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