Il presente elaborato affronta, sotto vari profili, l’ampia tematica inerente la riforma del terzo settore avviata a partire dalla Legge delega 3 giugno 2016, n. 106, che coinvolge appieno anche gli enti ecclesiastici attivi nel sociale. La trattazione è stata suddivisa in quattro capitoli. Il capitolo iniziale, principalmente incentrato sulla nascita e sull’evoluzione storica del concetto di non profit, fornisce idonee basi storiografiche entro cui muovere le direttrici d’indagine della successiva ricerca. Il percorso ha l’obbiettivo di portare alla luce le organizzazioni che, in Italia, possono essere considerate quali antenati nobili dell’odierno terzo settore, fra cui spiccano le c.d. Opere Pie. L’andamento, nel complesso, può definirsi ondulatorio: il culmine dell’iniziativa privata ha sempre innescato la repentina risalita dell’ingerenza pubblica nel settore non profit, la quale, giunta all’apice, è stata di regola ammorbidita a vantaggio di una risalita del liberismo privato; e così via. Inserendosi appieno all’interno di tali moti, l’odierna riforma del terzo settore si pone proprio quale tentativo per una rinnovata supervisione dell’amministrazione pubblica nei confronti del settore non profit, il quale, a partire dagli anni ‘70, aveva progressivamente tracimato in una frammentarietà insostenibile; terreno, questo, assai fertile per la radicalizzazione di condotte abusive, in spregio del dato normativo. L’impostazione della Legge delega viene analizzata all’interno del secondo capitolo: in via prioritaria, l’intento è quello di uniformare la disciplina del terzo settore, nonché implementare il sistema dei controlli al fine di prevenire possibili abusi. Fra i fulcri della riforma vi era anche la previsione di un consistente restyling del codice civile, nella parte dedicata alla disciplina degli enti collettivi privati; ma al contrario di quanto previsto, quasi tutte le novità sono state previste all’interno del principale decreto attuativo della riforma, ovverosia il D.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (c.d. Codice del Terzo Settore o CTS). Ciò determina, anzitutto, la seguente conseguenza: a differenza dell’ottica della Legge delega, per la quale il terzo settore avrebbe dovuto ergersi dall’orizzonte ideale del non profit, l’attuazione della riforma ha determinato un eccessivo squilibrio a tutto vantaggio della disciplina esclusivamente riservata agli Enti di Terzo Settore (ETS). Inoltre, da ciò deriva che restano immutati i parametri normativi di riferimento della disciplina di diritto comune, costituita dal libro I, titolo II, del codice civile, ed oggetto di analisi nell’ultima parte del secondo capitolo dell’elaborato. Il terzo capitolo viene interamente dedicato all’analisi del CTS: la sua struttura, in definitiva, assume una forma piramidale. Alla base si pone la disciplina comune a tutti gli ETS; nel piano intermedio si elevano benefici per alcune figure tipiche; al culmine si trovano ulteriori privilegi riservati esclusivamente APS ed ODV. Fra i vantaggi oggetto di analisi, primeggiano quelli fiscali, a cui si aggiungono facilitazioni di accesso ai fondi messi a disposizione del terzo settore, nonché corsie preferenziali di interazione con la pubblica amministrazione. Dal punto di vista degli oneri la piramide è comprensibilmente rovesciata: le APS e le ODV debbono infatti rispettare i maggiori vincoli di disciplina. Ciascun ente, per essere considerato ETS, ha l’obbligo di iscriversi al nuovo Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS). Eppure, i cospicui ritardi nella sua istituzione effettiva, accompagnati dall’attesa per l’autorizzazione della Commissione Europea (ad oggi ancora non sopraggiunta), hanno determinato forti criticità, soprattutto con riferimento alla disciplina giuridica del periodo transitorio. Ad esempio, basti considerare che sono ancora inefficaci quasi tutte le misure fiscali di vantaggio contenute nel CTS. Il quarto ed ultimo capitolo dell’elaborato è stato dedicato al tema centrale della ricerca, ovverosia l’ingresso degli enti ecclesiastici appartenenti alla religione cattolica all’interno del terzo settore legalmente inteso. Ciò potrà avvenire mediante la creazione, da parte dell’ente ecclesiastico, di un apposito «ramo» di attività di terzo settore. L’ente ecclesiastico, qualora voglia istituire un ramo di attività, avrà la possibilità di optare, in via alternativa, per regolamentare: a) un ramo di interesse generale in base alle norme del CTS; b) un ramo di impresa sociale in base alle disposizioni contenute nell’ulteriore Decreto attuativo della riforma, ovverosia il D.lgs. 3 luglio 2017, n. 112 (c.d. Codice dell’Impresa Sociale o CIS). Qualora l’ente prescelga lo svolgimento di attività di interesse generale ai sensi del CTS, sarà assoggettato alla disciplina del relativo art. 4, comma 3; viceversa, qualora l’ente prescelga lo svolgimento di attività di impesa sociale ai sensi del CIS, sarà assoggettato alla disciplina del relativo art. 1, comma 4. A prescindere dal ramo di attività dell’ente, le due disposizioni descrivono un modello giuridico sostanzialmente analogo: x) gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti dovranno disciplinare lo svolgimento delle attività mediante adozione di apposito regolamento, redatto in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, il quale dovrà recepire la normativa di terzo settore «nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti»; y) il regolamento, formato secondo le regole proprie dell’ente ecclesiastico, dovrà essere depositato presso il RUNTS, chiedendo l’iscrizione all’apposita sezione di pertinenza; z) l’ente ecclesiastico dovrà individuare un patrimonio da destinare allo svolgimento delle attività di terzo settore e dovrà tenere separatamente le scritture contabili. Vista la genericità dei riferimenti normativi, è stata dedicata molta attenzione all’analisi dei possibili risvolti applicativi della riforma, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo. In relazione al primo profilo viene chiarito il significato dell’espressione «ente religioso civilmente riconosciuto». Con riferimento, invece, al secondo profilo, viene individuato il possibile contenuto del regolamento del ramo, indagando sull’effettiva compatibilità fra le prescrizioni inderogabili della riforma e la struttura nonché le finalità dell’ente ecclesiastico di riferimento. Al di là degli aspetti giuridici, da ultimo, viene svolta una riflessione sulla grande opportunità di sviluppo che si apre per gli enti ecclesiali che operano attivamente nel sociale, da attuare per mezzo del Carisma che contraddistingue la Chiesa cattolica.

La riforma del terzo settore. Disciplina e prospettive per gli enti ecclesiali.

Ciccarè Michele
2021-01-01

Abstract

Il presente elaborato affronta, sotto vari profili, l’ampia tematica inerente la riforma del terzo settore avviata a partire dalla Legge delega 3 giugno 2016, n. 106, che coinvolge appieno anche gli enti ecclesiastici attivi nel sociale. La trattazione è stata suddivisa in quattro capitoli. Il capitolo iniziale, principalmente incentrato sulla nascita e sull’evoluzione storica del concetto di non profit, fornisce idonee basi storiografiche entro cui muovere le direttrici d’indagine della successiva ricerca. Il percorso ha l’obbiettivo di portare alla luce le organizzazioni che, in Italia, possono essere considerate quali antenati nobili dell’odierno terzo settore, fra cui spiccano le c.d. Opere Pie. L’andamento, nel complesso, può definirsi ondulatorio: il culmine dell’iniziativa privata ha sempre innescato la repentina risalita dell’ingerenza pubblica nel settore non profit, la quale, giunta all’apice, è stata di regola ammorbidita a vantaggio di una risalita del liberismo privato; e così via. Inserendosi appieno all’interno di tali moti, l’odierna riforma del terzo settore si pone proprio quale tentativo per una rinnovata supervisione dell’amministrazione pubblica nei confronti del settore non profit, il quale, a partire dagli anni ‘70, aveva progressivamente tracimato in una frammentarietà insostenibile; terreno, questo, assai fertile per la radicalizzazione di condotte abusive, in spregio del dato normativo. L’impostazione della Legge delega viene analizzata all’interno del secondo capitolo: in via prioritaria, l’intento è quello di uniformare la disciplina del terzo settore, nonché implementare il sistema dei controlli al fine di prevenire possibili abusi. Fra i fulcri della riforma vi era anche la previsione di un consistente restyling del codice civile, nella parte dedicata alla disciplina degli enti collettivi privati; ma al contrario di quanto previsto, quasi tutte le novità sono state previste all’interno del principale decreto attuativo della riforma, ovverosia il D.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (c.d. Codice del Terzo Settore o CTS). Ciò determina, anzitutto, la seguente conseguenza: a differenza dell’ottica della Legge delega, per la quale il terzo settore avrebbe dovuto ergersi dall’orizzonte ideale del non profit, l’attuazione della riforma ha determinato un eccessivo squilibrio a tutto vantaggio della disciplina esclusivamente riservata agli Enti di Terzo Settore (ETS). Inoltre, da ciò deriva che restano immutati i parametri normativi di riferimento della disciplina di diritto comune, costituita dal libro I, titolo II, del codice civile, ed oggetto di analisi nell’ultima parte del secondo capitolo dell’elaborato. Il terzo capitolo viene interamente dedicato all’analisi del CTS: la sua struttura, in definitiva, assume una forma piramidale. Alla base si pone la disciplina comune a tutti gli ETS; nel piano intermedio si elevano benefici per alcune figure tipiche; al culmine si trovano ulteriori privilegi riservati esclusivamente APS ed ODV. Fra i vantaggi oggetto di analisi, primeggiano quelli fiscali, a cui si aggiungono facilitazioni di accesso ai fondi messi a disposizione del terzo settore, nonché corsie preferenziali di interazione con la pubblica amministrazione. Dal punto di vista degli oneri la piramide è comprensibilmente rovesciata: le APS e le ODV debbono infatti rispettare i maggiori vincoli di disciplina. Ciascun ente, per essere considerato ETS, ha l’obbligo di iscriversi al nuovo Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS). Eppure, i cospicui ritardi nella sua istituzione effettiva, accompagnati dall’attesa per l’autorizzazione della Commissione Europea (ad oggi ancora non sopraggiunta), hanno determinato forti criticità, soprattutto con riferimento alla disciplina giuridica del periodo transitorio. Ad esempio, basti considerare che sono ancora inefficaci quasi tutte le misure fiscali di vantaggio contenute nel CTS. Il quarto ed ultimo capitolo dell’elaborato è stato dedicato al tema centrale della ricerca, ovverosia l’ingresso degli enti ecclesiastici appartenenti alla religione cattolica all’interno del terzo settore legalmente inteso. Ciò potrà avvenire mediante la creazione, da parte dell’ente ecclesiastico, di un apposito «ramo» di attività di terzo settore. L’ente ecclesiastico, qualora voglia istituire un ramo di attività, avrà la possibilità di optare, in via alternativa, per regolamentare: a) un ramo di interesse generale in base alle norme del CTS; b) un ramo di impresa sociale in base alle disposizioni contenute nell’ulteriore Decreto attuativo della riforma, ovverosia il D.lgs. 3 luglio 2017, n. 112 (c.d. Codice dell’Impresa Sociale o CIS). Qualora l’ente prescelga lo svolgimento di attività di interesse generale ai sensi del CTS, sarà assoggettato alla disciplina del relativo art. 4, comma 3; viceversa, qualora l’ente prescelga lo svolgimento di attività di impesa sociale ai sensi del CIS, sarà assoggettato alla disciplina del relativo art. 1, comma 4. A prescindere dal ramo di attività dell’ente, le due disposizioni descrivono un modello giuridico sostanzialmente analogo: x) gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti dovranno disciplinare lo svolgimento delle attività mediante adozione di apposito regolamento, redatto in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, il quale dovrà recepire la normativa di terzo settore «nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti»; y) il regolamento, formato secondo le regole proprie dell’ente ecclesiastico, dovrà essere depositato presso il RUNTS, chiedendo l’iscrizione all’apposita sezione di pertinenza; z) l’ente ecclesiastico dovrà individuare un patrimonio da destinare allo svolgimento delle attività di terzo settore e dovrà tenere separatamente le scritture contabili. Vista la genericità dei riferimenti normativi, è stata dedicata molta attenzione all’analisi dei possibili risvolti applicativi della riforma, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo. In relazione al primo profilo viene chiarito il significato dell’espressione «ente religioso civilmente riconosciuto». Con riferimento, invece, al secondo profilo, viene individuato il possibile contenuto del regolamento del ramo, indagando sull’effettiva compatibilità fra le prescrizioni inderogabili della riforma e la struttura nonché le finalità dell’ente ecclesiastico di riferimento. Al di là degli aspetti giuridici, da ultimo, viene svolta una riflessione sulla grande opportunità di sviluppo che si apre per gli enti ecclesiali che operano attivamente nel sociale, da attuare per mezzo del Carisma che contraddistingue la Chiesa cattolica.
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
TESI_ Ciccare.pdf

accesso aperto

Descrizione: Tesi di dottorato
Tipologia: Tesi di dottorato
Licenza: Creative commons
Dimensione 4.47 MB
Formato Adobe PDF
4.47 MB Adobe PDF Visualizza/Apri

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/283292
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact