La filosofia morale contemporanea si è soffermata sul concetto di autonomia da molteplici punti di vista. In primo luogo, essa è oggetto d’interesse costante da parte degli interpreti del pensiero morale kantiano, che vi riconoscono l’istanza fondativa dell’intera vita morale, in quanto declinazione di una libertà positiva e trascendentale, espressione più alta della dignità umana. In secondo luogo, l’autonomia è un tema ricorrente in alcune etiche applicate, come nel caso della bioetica: a proposito del rapporto tra medico e paziente, l’autonomia è considerata di primaria importanza, non negoziabile, nel paradigma contrattualista, mentre è posta in secondo piano nel paradigma paternalista. Infine, l’autonomia personale e morale è al centro di temi ricorrenti nel variegato panorama dell’etica e della bioetica femministe, che generalmente ne criticano i presupposti maschili, individualistici e astratti, propendendo piuttosto per una riconsiderazione della cura e della dipendenza come dimensioni centrali per un agire eticamente connotato. L’esigenza di «rifigurare» l’autonomia si sviluppa in tre momenti nel corso del testo. Innanzitutto, nel primo capitolo, attraverso una ricostruzione che tiene conto della prospettiva storico-concettuale, sono indagati i significati ricorrenti del termine in riferimento alla storia della filosofia morale. Si Riconosce poi nel passaggio da Rousseau a Kant una sorta di cruciale atto di nascita dell’autonomia all’interno del discorso morale, cercando di analizzarla per come essa viene comunemente declinata, sulla scorta di Kant, da alcuni filosofi contemporanei. Il guadagno di questo primo tratto del percorso consiste nella sottolineatura che, già in Kant e, in negativo, in alcune interpretazioni successive dell’autonomia morale kantiana, si può rintracciare, quantomeno come esigenza, una modalità “relazionale” di percepirsi in rapporto alla norma e, al contempo, si dia la possibilità di interpretare il soggetto che si ascrive azioni moralmente autonome non come un soggetto-sostanza, non come un individuo padrone e proprietario di sé, ma piuttosto come persona responsabile immersa in un contesto, che non crea norme ma le riconosce, le reinterpreta o se ne distanzia mediante l’agire personale e collettivo. Nel secondo capitolo la possibilità di tale ripensamento si traduce esplicitamente nell’esigenza di rimodulare anzitutto la relazione tra autonomia ed eteronomia e, in secondo luogo, di liberare la prima da alcune precomprensioni che la associano comunemente a un paradigma deontologico e formalistico. Per “difendere” l’autonomia morale dai suoi detrattori e continuare a sostenerne le ragioni, quindi, è fondamentale prendere atto delle fonti eteronome con cui il sé si confronta già da sempre; è inoltre cruciale riconoscerle un tratto teleologico, assegnarle non soltanto lo statuto del diritto, ma anche quello della virtù che si esercita e diventa habitus, che non è scontata, né garantita, ma si confronta costantemente con la possibilità dello scacco; infine, è altrettanto rilevante disinnescare l’antinomia netta tra forma e contenuto, perché si possa immaginare una concreta realizzazione dell’agire autonomo senza che questo si trasformi nel suo contrario. Leggere la prassi dell’autonomia alla luce di un ripensamento delle coppie concettuali comunemente considerate alternative permette di saldare autonomia e responsabilità esplicitando il loro ancoraggio all’orizzonte della storicità. Nel terzo capitolo tale orizzonte della storicità, che traduce l’istanza eteronoma mondanizzandola e rendendola concretamente legata ai contesti, viene riconosciuto come imprescindibile e si propone una modellizzazione a partire da alcune riletture contemporanee dell’autonomia. In particolare, ci si sofferma sul paradigma dell’autonomia relazionale, sulla proposta di un’autonomia decentrata e, infine, sulla possibilità di un’autonomia narrativa.
Autonomia in relazione. Attraverso l'etica contemporanea
S. Pierosara
2021-01-01
Abstract
La filosofia morale contemporanea si è soffermata sul concetto di autonomia da molteplici punti di vista. In primo luogo, essa è oggetto d’interesse costante da parte degli interpreti del pensiero morale kantiano, che vi riconoscono l’istanza fondativa dell’intera vita morale, in quanto declinazione di una libertà positiva e trascendentale, espressione più alta della dignità umana. In secondo luogo, l’autonomia è un tema ricorrente in alcune etiche applicate, come nel caso della bioetica: a proposito del rapporto tra medico e paziente, l’autonomia è considerata di primaria importanza, non negoziabile, nel paradigma contrattualista, mentre è posta in secondo piano nel paradigma paternalista. Infine, l’autonomia personale e morale è al centro di temi ricorrenti nel variegato panorama dell’etica e della bioetica femministe, che generalmente ne criticano i presupposti maschili, individualistici e astratti, propendendo piuttosto per una riconsiderazione della cura e della dipendenza come dimensioni centrali per un agire eticamente connotato. L’esigenza di «rifigurare» l’autonomia si sviluppa in tre momenti nel corso del testo. Innanzitutto, nel primo capitolo, attraverso una ricostruzione che tiene conto della prospettiva storico-concettuale, sono indagati i significati ricorrenti del termine in riferimento alla storia della filosofia morale. Si Riconosce poi nel passaggio da Rousseau a Kant una sorta di cruciale atto di nascita dell’autonomia all’interno del discorso morale, cercando di analizzarla per come essa viene comunemente declinata, sulla scorta di Kant, da alcuni filosofi contemporanei. Il guadagno di questo primo tratto del percorso consiste nella sottolineatura che, già in Kant e, in negativo, in alcune interpretazioni successive dell’autonomia morale kantiana, si può rintracciare, quantomeno come esigenza, una modalità “relazionale” di percepirsi in rapporto alla norma e, al contempo, si dia la possibilità di interpretare il soggetto che si ascrive azioni moralmente autonome non come un soggetto-sostanza, non come un individuo padrone e proprietario di sé, ma piuttosto come persona responsabile immersa in un contesto, che non crea norme ma le riconosce, le reinterpreta o se ne distanzia mediante l’agire personale e collettivo. Nel secondo capitolo la possibilità di tale ripensamento si traduce esplicitamente nell’esigenza di rimodulare anzitutto la relazione tra autonomia ed eteronomia e, in secondo luogo, di liberare la prima da alcune precomprensioni che la associano comunemente a un paradigma deontologico e formalistico. Per “difendere” l’autonomia morale dai suoi detrattori e continuare a sostenerne le ragioni, quindi, è fondamentale prendere atto delle fonti eteronome con cui il sé si confronta già da sempre; è inoltre cruciale riconoscerle un tratto teleologico, assegnarle non soltanto lo statuto del diritto, ma anche quello della virtù che si esercita e diventa habitus, che non è scontata, né garantita, ma si confronta costantemente con la possibilità dello scacco; infine, è altrettanto rilevante disinnescare l’antinomia netta tra forma e contenuto, perché si possa immaginare una concreta realizzazione dell’agire autonomo senza che questo si trasformi nel suo contrario. Leggere la prassi dell’autonomia alla luce di un ripensamento delle coppie concettuali comunemente considerate alternative permette di saldare autonomia e responsabilità esplicitando il loro ancoraggio all’orizzonte della storicità. Nel terzo capitolo tale orizzonte della storicità, che traduce l’istanza eteronoma mondanizzandola e rendendola concretamente legata ai contesti, viene riconosciuto come imprescindibile e si propone una modellizzazione a partire da alcune riletture contemporanee dell’autonomia. In particolare, ci si sofferma sul paradigma dell’autonomia relazionale, sulla proposta di un’autonomia decentrata e, infine, sulla possibilità di un’autonomia narrativa.File | Dimensione | Formato | |
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