Il presente studio, intitolato “Tra filologia e antropologia del testo. Usi e implicazioni del folklore nel Roman de Renart”, si propone di esplorare le modalità con cui la cultura folklorica interviene nella composizione delle branches del Roman de Renart. La tesi di fondo è che l’adozione di particolari motivi folklorici non consista in una loro passiva riproposizione in forma “renardizzata”, ma che questi vengano selezionati e adattati secondo l’interesse precipuo dei narratori, i quali esprimono – chi più, chi meno consapevolmente – le istanze di una cultura laica feudale che proprio nel folklore trova uno strumento per emanciparsi dall’egemonia della concorrente cultura ecclesiastica. Questo, dunque, rimane il nucleo imprescindibile di ogni narrazione renardiana e il vero oggetto d’indagine cui rivolgersi per comprendere intimamente i meccanismi che hanno sovrinteso alla creazione e alla fortuna dei racconti della volpe. Per indagarlo, ci si avvale del supporto di strumenti critici mutuati dall’antropologia e dall’etnografia, considerati i soli utili a comprendere le motivazioni che hanno portato alla scelta di specifici personaggi e intrecci, tra i tanti che il repertorio folklorico offriva. Se, infatti, l’individuazione nei testi dei molteplici livelli di cultura che li animano, primo fra tutti quello afferente alla tradizione orale, chiama in causa il dialogismo postulato da Bachtin, l’adozione stessa del personaggio del trickster, quale è la volpe Renart, si spiega alla luce della visione carnevalesca del mondo che questo archetipo letterario veicola, e che gli autori e il pubblico delle branches desideravano propagandare. Allo stesso modo, i tratti della lupa Hersent vengono ricondotti, in questa sede, a un particolare archetipo del Femminile, cui la lega una serie di “somiglianze di famiglia” ch’essa condivide con altri personaggi femminili afferenti alla figura della maga, della vetula o della mezzana e che, come il Briccone, esprime una visione del mondo di chiara matrice popolare. Qui come altrove, la validità dell’interpretazione proposta è fondata soprattutto sul ricorso a un metodo comparativo, in accordo con il quale ci si affida, tra i molti altri, ai materiali e ai metodi forniti da Vladimir Propp ed Eleazar Meletinskij, di cui si condivide l’approccio storicistico. Lo studio è formalmente suddiviso in due macro-sezioni, di cui la prima coinvolge trasversalmente tutte le branches, per rintracciare alcuni di quei denominatori comuni che hanno permesso di ascrivere coerentemente i vari testi (tra loro diversi per cronologia, grado di autorialità e orientamento culturale) a un comune “roman de Renart”. Si tratta, ovviamente, in primo luogo degli animali protagonisti, tra i quali, per i motivi suddetti, si privilegiano la volpe Renart e la lupa Hersent; dopo i personaggi, il successivo oggetto d’indagine è un luogo, l’unico che, oltre alla corte del re, conserva una propria fisionomia stabile nelle varie branches, ovvero Malpertuis, la dimora di Renart. Anche questo è un elemento altamente informativo della percezione che autore e pubblico hanno del suo abitatore, poiché il simbolismo che lo circonda lo rende a tutti gli effetti un luogo liminare, interdetto a chiunque provi ad avvicinarvisi, in aperta antitesi all’unico grande polo di socialità del Roman, cioè la corte. La seconda sezione della tesi verifica gli assunti generali applicando l’analisi a tre branches: la III (Renart et les anguilles), la XIII (Renart le noir) e la XVII (La mort et procession Renart), scelte come campioni rappresentativi dei principali modi di composizione dei testi renardiani. Si postula, infatti, che il ricorso al repertorio folklorico possa produrre idealmente tre tipologie di racconti, ovvero quelli consistenti in riadattamenti di intrecci noti dalla tradizione orale, ed è il caso della branche III; quelli consistenti in rielaborazioni inedite di tali intrecci, ed è il caso della morte della volpe nella branche XVII; quelli, infine, creati ex novo, nei quali il materiale folklorico è presente solo in maniera riflessa, come accade nella branche XIII. Nel primo capitolo si ricostruisce la trafila evolutiva dei due racconti che formano l’ossatura della branche III, prima propagatisi oralmente e poi “renardizzati”, per appurare l’estrema disinvoltura con cui, sia nel corso della loro propagazione sia poi nel testo della branche, vengono modificati per adattarsi all’esigenze narrative di chi li tramanda, che si tratti delle comunità presso cui circolano o dell’autore che le fissa per iscritto. Nel secondo capitolo, dedicato alla branche XIII, si esplora puntualmente il testo del récit per osservare come, in questa branche scritta da un autore tardo, gli elementi folklorici compaiano ormai in maniera riflessa, vale a dire che la loro presenza non è tanto volontariamente ricercata quanto “accidentale”, dovuta al fatto che sono stati ereditati insieme agli intrecci delle precedenti branches che l’autore emula. Dal discorso non esula neanche il motivo del travestimento, che in questo racconto funge da leitmotiv dell’intera vicenda, il quale è anch’esso depauperato delle sue originarie implicazioni folkloriche, per sostenere un’equazione tutta interna a un simbolismo cristianeggiante, tra la tintura nera con cui si camuffa Renart e la sua equiparazione a un demonio. D’altro canto, la possibilità stessa che tale equazione sia ammissibile conferma indirettamente la vocazione bricconesca di Renart e l’accordo di autore e pubblico su quest’ultima, nonché sul sentimento profondamente perturbante che il personaggio della volpe doveva suscitare nell’immaginario collettivo. Chiude il capitolo un confronto tra la versione vulgata della branche (quella riportata nell’edizione di riferimento, di Ernest Martin) e quella, vistosamente divergente in più punti, ospitata nel manoscritto 3334 della Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi, siglato H. L’ultima analisi è riservata al racconto della morte della volpe, i cui già noti legami con la tradizione folklorica e ritualistica vengono estesi a una particolare tipologia di feste agrarie, quelle riguardanti la morte e la rinascita del Carnevale, proponendo che l’autore della branche XVII segua proprio la falsariga di questi specifici riti stagionali nella sua descrizione della triplice finta morte di Renart, forse, si suggerisce infine, prendendo spunto da cortei e celebrazioni concretamente inscenati ancora ai suoi tempi.

Tra filologia e antropologia del testo. Usi e implicazioni del folklore nel Roman de Renart

De Socio Mauro
2021-01-01

Abstract

Il presente studio, intitolato “Tra filologia e antropologia del testo. Usi e implicazioni del folklore nel Roman de Renart”, si propone di esplorare le modalità con cui la cultura folklorica interviene nella composizione delle branches del Roman de Renart. La tesi di fondo è che l’adozione di particolari motivi folklorici non consista in una loro passiva riproposizione in forma “renardizzata”, ma che questi vengano selezionati e adattati secondo l’interesse precipuo dei narratori, i quali esprimono – chi più, chi meno consapevolmente – le istanze di una cultura laica feudale che proprio nel folklore trova uno strumento per emanciparsi dall’egemonia della concorrente cultura ecclesiastica. Questo, dunque, rimane il nucleo imprescindibile di ogni narrazione renardiana e il vero oggetto d’indagine cui rivolgersi per comprendere intimamente i meccanismi che hanno sovrinteso alla creazione e alla fortuna dei racconti della volpe. Per indagarlo, ci si avvale del supporto di strumenti critici mutuati dall’antropologia e dall’etnografia, considerati i soli utili a comprendere le motivazioni che hanno portato alla scelta di specifici personaggi e intrecci, tra i tanti che il repertorio folklorico offriva. Se, infatti, l’individuazione nei testi dei molteplici livelli di cultura che li animano, primo fra tutti quello afferente alla tradizione orale, chiama in causa il dialogismo postulato da Bachtin, l’adozione stessa del personaggio del trickster, quale è la volpe Renart, si spiega alla luce della visione carnevalesca del mondo che questo archetipo letterario veicola, e che gli autori e il pubblico delle branches desideravano propagandare. Allo stesso modo, i tratti della lupa Hersent vengono ricondotti, in questa sede, a un particolare archetipo del Femminile, cui la lega una serie di “somiglianze di famiglia” ch’essa condivide con altri personaggi femminili afferenti alla figura della maga, della vetula o della mezzana e che, come il Briccone, esprime una visione del mondo di chiara matrice popolare. Qui come altrove, la validità dell’interpretazione proposta è fondata soprattutto sul ricorso a un metodo comparativo, in accordo con il quale ci si affida, tra i molti altri, ai materiali e ai metodi forniti da Vladimir Propp ed Eleazar Meletinskij, di cui si condivide l’approccio storicistico. Lo studio è formalmente suddiviso in due macro-sezioni, di cui la prima coinvolge trasversalmente tutte le branches, per rintracciare alcuni di quei denominatori comuni che hanno permesso di ascrivere coerentemente i vari testi (tra loro diversi per cronologia, grado di autorialità e orientamento culturale) a un comune “roman de Renart”. Si tratta, ovviamente, in primo luogo degli animali protagonisti, tra i quali, per i motivi suddetti, si privilegiano la volpe Renart e la lupa Hersent; dopo i personaggi, il successivo oggetto d’indagine è un luogo, l’unico che, oltre alla corte del re, conserva una propria fisionomia stabile nelle varie branches, ovvero Malpertuis, la dimora di Renart. Anche questo è un elemento altamente informativo della percezione che autore e pubblico hanno del suo abitatore, poiché il simbolismo che lo circonda lo rende a tutti gli effetti un luogo liminare, interdetto a chiunque provi ad avvicinarvisi, in aperta antitesi all’unico grande polo di socialità del Roman, cioè la corte. La seconda sezione della tesi verifica gli assunti generali applicando l’analisi a tre branches: la III (Renart et les anguilles), la XIII (Renart le noir) e la XVII (La mort et procession Renart), scelte come campioni rappresentativi dei principali modi di composizione dei testi renardiani. Si postula, infatti, che il ricorso al repertorio folklorico possa produrre idealmente tre tipologie di racconti, ovvero quelli consistenti in riadattamenti di intrecci noti dalla tradizione orale, ed è il caso della branche III; quelli consistenti in rielaborazioni inedite di tali intrecci, ed è il caso della morte della volpe nella branche XVII; quelli, infine, creati ex novo, nei quali il materiale folklorico è presente solo in maniera riflessa, come accade nella branche XIII. Nel primo capitolo si ricostruisce la trafila evolutiva dei due racconti che formano l’ossatura della branche III, prima propagatisi oralmente e poi “renardizzati”, per appurare l’estrema disinvoltura con cui, sia nel corso della loro propagazione sia poi nel testo della branche, vengono modificati per adattarsi all’esigenze narrative di chi li tramanda, che si tratti delle comunità presso cui circolano o dell’autore che le fissa per iscritto. Nel secondo capitolo, dedicato alla branche XIII, si esplora puntualmente il testo del récit per osservare come, in questa branche scritta da un autore tardo, gli elementi folklorici compaiano ormai in maniera riflessa, vale a dire che la loro presenza non è tanto volontariamente ricercata quanto “accidentale”, dovuta al fatto che sono stati ereditati insieme agli intrecci delle precedenti branches che l’autore emula. Dal discorso non esula neanche il motivo del travestimento, che in questo racconto funge da leitmotiv dell’intera vicenda, il quale è anch’esso depauperato delle sue originarie implicazioni folkloriche, per sostenere un’equazione tutta interna a un simbolismo cristianeggiante, tra la tintura nera con cui si camuffa Renart e la sua equiparazione a un demonio. D’altro canto, la possibilità stessa che tale equazione sia ammissibile conferma indirettamente la vocazione bricconesca di Renart e l’accordo di autore e pubblico su quest’ultima, nonché sul sentimento profondamente perturbante che il personaggio della volpe doveva suscitare nell’immaginario collettivo. Chiude il capitolo un confronto tra la versione vulgata della branche (quella riportata nell’edizione di riferimento, di Ernest Martin) e quella, vistosamente divergente in più punti, ospitata nel manoscritto 3334 della Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi, siglato H. L’ultima analisi è riservata al racconto della morte della volpe, i cui già noti legami con la tradizione folklorica e ritualistica vengono estesi a una particolare tipologia di feste agrarie, quelle riguardanti la morte e la rinascita del Carnevale, proponendo che l’autore della branche XVII segua proprio la falsariga di questi specifici riti stagionali nella sua descrizione della triplice finta morte di Renart, forse, si suggerisce infine, prendendo spunto da cortei e celebrazioni concretamente inscenati ancora ai suoi tempi.
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