Il lavoro si colloca nell’ambito della ricostruzione delle dottrine trinitarie tra XIII e XIV secolo, con particolare riguardo all’elaborazione fornita da Giovanni Duns Scoto, a confronto con Enrico di Gand, suo principale (seppur indiretto) interlocutore. Il tema si concentra in particolare intorno alle teorie della spirazione per actum et modum voluntatis, alla luce del ruolo della volontà divina come principio produttivo dello Spirito Santo. La connessione tra questi due aspetti apre la strada ad un’ipotesi non pienamente esplorata dalla critica, in base alla quale la teologia trinitaria può fornire elementi indispensabili per la comprensione globale di una teoria della volontà. La prima sezione dell’indagine è dedicata al concetto di productio, in base all’assunzione da parte di Scoto ed Enrico di un «approccio emanazionale» alla Trinità. La «produzione» è capace per entrambi gli autori di illuminare la dinamica fondativa delle relazioni trinitarie, ma in modi sostanzialmente diversi: il Gandavense sembra conservare in divinis la struttura della produzione terrestre aristotelicamente intesa, considerando l’essenza divina come «quasi materia» per la costituzione della persona, mentre Scoto tenta di rimuovere ogni traccia di mutamento dalla produzione, attraverso la quale si può porre qualcosa nell’essere pur in mancanza di un supporto (quasi) materiale. Nella seconda parte, invece, si affronta il problema della volontà divina come principium productivum. Se in base al «modello psicologico» di derivazione agostiniana la volontà deve produrre lo Spirito Santo, in che senso essa può svolgere il ruolo di principium communicandi naturam? Le posizioni dei due autori sembrano distanziarsi di nuovo, non tanto in base alle loro opzioni dottrinali, ma piuttosto per via della loro impostazione metafisica: secondo Enrico la volontà per poter produrre deve connettersi, nel passaggio dall’atto essenziale (operativo) all’atto nozionale (produttivo), ad una qualche forma di «naturalità», mentre secondo Scoto essa, in virtù di una nuova impostazione trascendentale, per il solo fatto di essere collocata nel «modo» dell’infinità gode di un potere autonomo di produzione. Per i due filosofi medievali l’atto produttivo della volontà è ad un tempo libero e necessario; tuttavia, per il Gandavense lo è in virtù di una sorta di «necessità di natura» che si innesta sul principio libero, mentre per il Sottile resta la necessità, garantita dalla doppia infinità di soggetto volente e oggetto voluto nell’azione ad intra, ma la natura è completamente esclusa. Così, mentre nel pensiero di Enrico sembra non essersi ancora compiuto appieno il processo di «denaturalizzazione della volontà», con Scoto la facoltà volitiva si affranca definitivamente dal peso della natura (sia come inclinatio, sia come vis productiva ‘naturalisticamente’ intesa), tanto da configurarsi un principio pienamente autosufficiente, capace in divinis di comunicare una natura, ovvero di produrre liberamente e necessariamente, senza alcun supporto estrinseco, la terza persona della Trinità.

Per actum et modum voluntatis. Giovanni Duns Scoto a confronto con Enrico di Gand sulla produzione dello Spirito Santo

Sorichetti Emanuele
2019-01-01

Abstract

Il lavoro si colloca nell’ambito della ricostruzione delle dottrine trinitarie tra XIII e XIV secolo, con particolare riguardo all’elaborazione fornita da Giovanni Duns Scoto, a confronto con Enrico di Gand, suo principale (seppur indiretto) interlocutore. Il tema si concentra in particolare intorno alle teorie della spirazione per actum et modum voluntatis, alla luce del ruolo della volontà divina come principio produttivo dello Spirito Santo. La connessione tra questi due aspetti apre la strada ad un’ipotesi non pienamente esplorata dalla critica, in base alla quale la teologia trinitaria può fornire elementi indispensabili per la comprensione globale di una teoria della volontà. La prima sezione dell’indagine è dedicata al concetto di productio, in base all’assunzione da parte di Scoto ed Enrico di un «approccio emanazionale» alla Trinità. La «produzione» è capace per entrambi gli autori di illuminare la dinamica fondativa delle relazioni trinitarie, ma in modi sostanzialmente diversi: il Gandavense sembra conservare in divinis la struttura della produzione terrestre aristotelicamente intesa, considerando l’essenza divina come «quasi materia» per la costituzione della persona, mentre Scoto tenta di rimuovere ogni traccia di mutamento dalla produzione, attraverso la quale si può porre qualcosa nell’essere pur in mancanza di un supporto (quasi) materiale. Nella seconda parte, invece, si affronta il problema della volontà divina come principium productivum. Se in base al «modello psicologico» di derivazione agostiniana la volontà deve produrre lo Spirito Santo, in che senso essa può svolgere il ruolo di principium communicandi naturam? Le posizioni dei due autori sembrano distanziarsi di nuovo, non tanto in base alle loro opzioni dottrinali, ma piuttosto per via della loro impostazione metafisica: secondo Enrico la volontà per poter produrre deve connettersi, nel passaggio dall’atto essenziale (operativo) all’atto nozionale (produttivo), ad una qualche forma di «naturalità», mentre secondo Scoto essa, in virtù di una nuova impostazione trascendentale, per il solo fatto di essere collocata nel «modo» dell’infinità gode di un potere autonomo di produzione. Per i due filosofi medievali l’atto produttivo della volontà è ad un tempo libero e necessario; tuttavia, per il Gandavense lo è in virtù di una sorta di «necessità di natura» che si innesta sul principio libero, mentre per il Sottile resta la necessità, garantita dalla doppia infinità di soggetto volente e oggetto voluto nell’azione ad intra, ma la natura è completamente esclusa. Così, mentre nel pensiero di Enrico sembra non essersi ancora compiuto appieno il processo di «denaturalizzazione della volontà», con Scoto la facoltà volitiva si affranca definitivamente dal peso della natura (sia come inclinatio, sia come vis productiva ‘naturalisticamente’ intesa), tanto da configurarsi un principio pienamente autosufficiente, capace in divinis di comunicare una natura, ovvero di produrre liberamente e necessariamente, senza alcun supporto estrinseco, la terza persona della Trinità.
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