Nella sua opera più famosa, Borderlands/La Frontera: The New Mestiza (1987), la scrittrice messico-americana Gloria Anzaldúa manifesta fin dal titolo la sua intenzione di proporre a chi legge un’immagine mista e mobile dell’universo culturale che è al centro della sua riflessione, altrettanto mista e mobile quanto all’impiego non solo di diverse lingue ma anche di diversi registri letterari – saggistica, autobiografia, poesia. Il code switching si impone infatti immediatamente sia nel titolo (dove lo spagnolo “La Frontera” non traduce letteralmente, ma culturalmente, l’inglese “Boderlands”) sia nel sottotitolo, dove più propriamente assistiamo a un fenomeno di code mixing (in italiano, con definizione un po’ barocca, “commutazione di codice interfrasale”) perché il passaggio dall’inglese allo spagnolo avviene non per spiegare in un’altra lingua quel che si è appena detto o per continuare il discorso, ma per usare all’interno della frase l’espressione più adatta offerta da una delle due lingue. A partire proprio dal titolo cercherò di mettere in luce come la poetica/politica della lingua di Anzaldúa non si limiti ad assegnare uguale “dignità” alla lingua – e alla cultura – dominante e “globale” (l’inglese) e a quella dominata e “locale” (lo spagnolo), ma teorizzi e metta in pratica procedure di “meticciato” linguistico-culturale che a loro volta non mirano a produrre una riproposizione del mito americano del melting pot, dove tutto andrebbe a fondersi in un’indistinta “uguaglianza”, ma viceversa a configurare un universo plurilingue e pluriculturale basato sullo scambio e sulla contaminazione – anche in questo caso, in alternativa, se non in contrapposizione, alla politica standard del multiculturalismo angloamericano che prevede solo il riconoscimento di diverse lingue e culture distinte e separate, tutt’al più “protette” ma non comunicanti tra loro.

Gloria Anzaldúa e la politica del mestizaje

De Angelis
2019-01-01

Abstract

Nella sua opera più famosa, Borderlands/La Frontera: The New Mestiza (1987), la scrittrice messico-americana Gloria Anzaldúa manifesta fin dal titolo la sua intenzione di proporre a chi legge un’immagine mista e mobile dell’universo culturale che è al centro della sua riflessione, altrettanto mista e mobile quanto all’impiego non solo di diverse lingue ma anche di diversi registri letterari – saggistica, autobiografia, poesia. Il code switching si impone infatti immediatamente sia nel titolo (dove lo spagnolo “La Frontera” non traduce letteralmente, ma culturalmente, l’inglese “Boderlands”) sia nel sottotitolo, dove più propriamente assistiamo a un fenomeno di code mixing (in italiano, con definizione un po’ barocca, “commutazione di codice interfrasale”) perché il passaggio dall’inglese allo spagnolo avviene non per spiegare in un’altra lingua quel che si è appena detto o per continuare il discorso, ma per usare all’interno della frase l’espressione più adatta offerta da una delle due lingue. A partire proprio dal titolo cercherò di mettere in luce come la poetica/politica della lingua di Anzaldúa non si limiti ad assegnare uguale “dignità” alla lingua – e alla cultura – dominante e “globale” (l’inglese) e a quella dominata e “locale” (lo spagnolo), ma teorizzi e metta in pratica procedure di “meticciato” linguistico-culturale che a loro volta non mirano a produrre una riproposizione del mito americano del melting pot, dove tutto andrebbe a fondersi in un’indistinta “uguaglianza”, ma viceversa a configurare un universo plurilingue e pluriculturale basato sullo scambio e sulla contaminazione – anche in questo caso, in alternativa, se non in contrapposizione, alla politica standard del multiculturalismo angloamericano che prevede solo il riconoscimento di diverse lingue e culture distinte e separate, tutt’al più “protette” ma non comunicanti tra loro.
2019
978 88 5495 086 3
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