Affrontare la questione del tempo chiede non poca temerarietà. Non coraggio, poiché questa è ancora una virtù che “sta nel mezzo” ma la temerarietà dell’azzardo. Il che, si obietterà subito, è falso, perché basta anche scorrere rapidamente quello che del tempo si è detto, almeno in filosofia, per confermare che di esso si parla e si è sempre parlato senza alcuna temerarietà. Sia chi ha annunciato l’im-possibilità del tempo , sia chi ne annuncia la riconduzione possibile al presente , ha fatto e fa brillare questioni che non hanno niente di temerario. Tali questioni mostrano che quando ci si confronta con “il tempo” una scelta di campo filosofica (fenomenologia, ermeneutica, metafisica, filosofia analitica…) è sempre implicata e necessaria, il che non ne fa certo una questione temeraria . Come, d’altronde il tempo può esserlo? Temerario è chi si espone a un pericolo senza necessità e senza riflessione, con un comportamento sconsiderato e imprudente oppure chi mostra quell’audacia insolente che fa giudicare qualcuno impudente. Temerario è chi è avventato, chi pronuncia affermazioni e giudizi infondate o censurabili. Niente di tutto ciò è ascrivibile alla questione-tempo, la quale non è esperibile ma si fa con la nostra stessa esperienza . Semmai, la questione è impertinente perché, interrogando il tempo, rende oggettivo l’inoggettivabile, fino a dar libero corso all’immaginazione che viaggia ipotizzando la coesistenza di dimensioni temporali parallele. Con ciò, il tempo è reso “oggetto” di variazioni immaginative possibili e di fatto praticabili anche se non ne facciamo effettivamente l’esperienza. E sebbene ciascuno – o meglio: io che ora parlo del tempo – possa esercitarmi nel “paradosso del nonno” e ammettere la possibilità di viaggiare nel tempo, tale esperienza temporale non è quella che sto facendo ora mentre formulo l’ipotesi. Basterebbe leggere, d’altronde, il saggio “sulla necessità e la contingenza” di Quentin Meillassoux per aver conferma del fatto che la contingenza temporale non è per nulla una questione temeraria . Forse , il tempo è la condizione che, facendo di noi “esseri viventi”, fa sì che possiamo essere temerari e spingerci là dove la condizione di contingenza in cui siamo non ci autorizza a spingerci. Osiamo, ad esempio, pensare il fondamento di ciò che è contingente e noi, contingenti e finiti, domandiamo tempo e aneliamo a lasciare qualcosa che dopo di noi possa durare affinché qualcuno lo ricordi e dunque ci ricordi. Qualcosa che abbia più tempo di noi. Noi, esseri di tempo e “a tempo determinato”, ci impegniamo in cose per le quali auspichiamo durata. Le opere d’arte, i pensieri, le teorie, i monumenti, le ricerche: in questi e altri casi ci impegniamo a dare non tanto e soltanto quello che non abbiamo (tempo) ma assumiamo l’impegno con esse affinché abbiano quel tempo che non è nostro, lasciando tracce , ché una traccia, in definitiva, assegna tempo alla contingenza. Tutto ciò smentisce che la questione del tempo sia una questione temeraria. Perché, allora, non cambiare aggettivo e definire “temeraria” una questione che non lo è? Una risposta retorica alla domanda direbbe che già il solo fatto di parlare del tempo tenendo conto dell’eccezionalmente ampia letteratura (filosofica e non) è un azzardo. Ma, appunto, questa è una risposta soltanto retorica. Invece, l’azzardo sta nel fare del tempo una questione temeraria per l’uomo. Si tratta della questione che fa dell’uomo un arco che non si risolve mai a scoccare la sua freccia e resta sempre in tensione, dis-teso tra un istante che sta passando qui e l’anticipazione dell’assente. Il tempo è dunque una questione temeraria non in sé ma per chi la pone perché moltiplica (rinviando indietro/passato, dividendo l’istante/presente, aprendo al futuro e persino alle cose ultime) ciò che tuttavia viene sentito e vissuto come un unico arco, un’unica continuità nella quale ne va di quell’esistenza che chiamiamo nostra – la nostra vita.

Il soggetto contemporaneo e l’esperienza del tempo. La riflessione contemporanea sulla contingenza e le sue ambivalenze

C. Canullo
2020-01-01

Abstract

Affrontare la questione del tempo chiede non poca temerarietà. Non coraggio, poiché questa è ancora una virtù che “sta nel mezzo” ma la temerarietà dell’azzardo. Il che, si obietterà subito, è falso, perché basta anche scorrere rapidamente quello che del tempo si è detto, almeno in filosofia, per confermare che di esso si parla e si è sempre parlato senza alcuna temerarietà. Sia chi ha annunciato l’im-possibilità del tempo , sia chi ne annuncia la riconduzione possibile al presente , ha fatto e fa brillare questioni che non hanno niente di temerario. Tali questioni mostrano che quando ci si confronta con “il tempo” una scelta di campo filosofica (fenomenologia, ermeneutica, metafisica, filosofia analitica…) è sempre implicata e necessaria, il che non ne fa certo una questione temeraria . Come, d’altronde il tempo può esserlo? Temerario è chi si espone a un pericolo senza necessità e senza riflessione, con un comportamento sconsiderato e imprudente oppure chi mostra quell’audacia insolente che fa giudicare qualcuno impudente. Temerario è chi è avventato, chi pronuncia affermazioni e giudizi infondate o censurabili. Niente di tutto ciò è ascrivibile alla questione-tempo, la quale non è esperibile ma si fa con la nostra stessa esperienza . Semmai, la questione è impertinente perché, interrogando il tempo, rende oggettivo l’inoggettivabile, fino a dar libero corso all’immaginazione che viaggia ipotizzando la coesistenza di dimensioni temporali parallele. Con ciò, il tempo è reso “oggetto” di variazioni immaginative possibili e di fatto praticabili anche se non ne facciamo effettivamente l’esperienza. E sebbene ciascuno – o meglio: io che ora parlo del tempo – possa esercitarmi nel “paradosso del nonno” e ammettere la possibilità di viaggiare nel tempo, tale esperienza temporale non è quella che sto facendo ora mentre formulo l’ipotesi. Basterebbe leggere, d’altronde, il saggio “sulla necessità e la contingenza” di Quentin Meillassoux per aver conferma del fatto che la contingenza temporale non è per nulla una questione temeraria . Forse , il tempo è la condizione che, facendo di noi “esseri viventi”, fa sì che possiamo essere temerari e spingerci là dove la condizione di contingenza in cui siamo non ci autorizza a spingerci. Osiamo, ad esempio, pensare il fondamento di ciò che è contingente e noi, contingenti e finiti, domandiamo tempo e aneliamo a lasciare qualcosa che dopo di noi possa durare affinché qualcuno lo ricordi e dunque ci ricordi. Qualcosa che abbia più tempo di noi. Noi, esseri di tempo e “a tempo determinato”, ci impegniamo in cose per le quali auspichiamo durata. Le opere d’arte, i pensieri, le teorie, i monumenti, le ricerche: in questi e altri casi ci impegniamo a dare non tanto e soltanto quello che non abbiamo (tempo) ma assumiamo l’impegno con esse affinché abbiano quel tempo che non è nostro, lasciando tracce , ché una traccia, in definitiva, assegna tempo alla contingenza. Tutto ciò smentisce che la questione del tempo sia una questione temeraria. Perché, allora, non cambiare aggettivo e definire “temeraria” una questione che non lo è? Una risposta retorica alla domanda direbbe che già il solo fatto di parlare del tempo tenendo conto dell’eccezionalmente ampia letteratura (filosofica e non) è un azzardo. Ma, appunto, questa è una risposta soltanto retorica. Invece, l’azzardo sta nel fare del tempo una questione temeraria per l’uomo. Si tratta della questione che fa dell’uomo un arco che non si risolve mai a scoccare la sua freccia e resta sempre in tensione, dis-teso tra un istante che sta passando qui e l’anticipazione dell’assente. Il tempo è dunque una questione temeraria non in sé ma per chi la pone perché moltiplica (rinviando indietro/passato, dividendo l’istante/presente, aprendo al futuro e persino alle cose ultime) ciò che tuttavia viene sentito e vissuto come un unico arco, un’unica continuità nella quale ne va di quell’esistenza che chiamiamo nostra – la nostra vita.
2020
9788871054469
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/268790
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